La Cittadinanza europea

AuthorVillani, Ugo
Pages97-112
CAPITOLO IV
LA CITTADINANZA EUROPEA
1. L’attribuzione della cittadinanza europea
Tra le più significative novità del Trattato di Maastricht del 1992 vi fu l’isti-
tuzione della cittadinanza dell’Unione europea, consistente in un nuovo status
giuridico del quale è titolare chiunque abbia la cittadinanza di un Paese membro
dell’Unione.
Tale status, enunciato nell’art. 9 TUE, è disciplinato negli articoli 20-25 TFUE.
I diritti dei cittadini trovano un ulteriore riconoscimento nella Carta di Nizza dei
diritti fondamentali (articoli 39-46), riproclamata e adattata il 12 dicembre 2007,
avente – come si è visto (Cap. III, par. 5) – lo stesso valore dei Trattati.
L’art. 20 TFUE (ripetendo, in parte, l’art. 9 TUE) dichiara:
«1. È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’U nio ne chiun-
que abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cit tadinanza dell’Unione si
aggiunge alla cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima.
2. I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti
nei Trattati».
Benché il par. 2 menzioni anche i doveri, non sembrano ricono scibili doveri
specifici del cittadino europeo in quanto tale; come si vedrà, la cittadinanza eu-
ropea implica, quindi, il conferimento soltanto di taluni diritti, che, invero, sono
elencati già nel prosieguo di tale par. 2. Riguardo all’attribuzione della cittadi-
nanza europea, ai sensi del par. 1 della disposizione in esame essa consegue au-
tomaticamente alla cittadinanza di uno Stato membro. Essa rappresenta un arric-
chimento della cittadi nanza nazionale, che, senza in alcun modo sostituire
quest’ulti ma, la po tenzia mediante una serie di diritti. Rispetto alla cittadinanza
na zionale quella europea costituisce una cittadinanza duale, o derivata (o, come
pure è stato detto, ancillare).
L’attribuzione automatica della cittadinanza europea a chiunque sia cittadino
di uno Stato membro esclude l’esistenza di criteri, di acquisto o di perdita, di tale
cittadinanza definiti autonomamente dall’Unione. Sono gli Stati membri che
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mantengono il potere di disciplinare come credono l’attribuzione e la perdita
della propria cittadinanza, così determinando, in definitiva, la nascita o la perdita
anche della cittadinanza europea.
Si noti che la libertà di ciascuno Stato membro, per quanto riguarda la propria
cittadinanza, non può essere rimessa in discussione né dalle istituzioni europee,
né da alcuno altro Stato membro. In questo senso è estremamente chiara la Di-
chiarazione n. 2 sulla cittadinanza di uno Stato membro, allegata al Trattato di
Maastricht, secondo la quale:
«Ogniqualvolta nel Trattato che istituisce la Comunità [oggi Unione] euro-
pea si fa riferimento ai cittadini degli Stati membri, la questione se una persona
abbia la nazionalità di questo o quello Stato membro sarà definita soltanto in ri-
ferimento al diritto nazionale dello Stato membro interessato».
La stessa Dichiarazione permette agli Stati membri di comunicare quali per-
sone debbano considerarsi propri cittadini ai fini del diritto dell’Unione europea
(di tale facoltà si sono valsi la Germania e il Regno Unito).
Tale piena libertà degli Stati membri si riflette, evidentemente, sulla cittadi-
nanza dell’Unione: dato che essa consegue automatica mente alla cittadinanza
nazionale, gli Stati membri sono liberi, in principio, di determinare anche l’ac-
quisto o la perdita della cittadinanza europea. Così, nella sentenza del 20 feb-
braio 2001, causa C-192/99, Manjit Kaur, la Corte di giustizia ha riconosciuto le
diverse categorie di cittadini del Regno Unito previste dalla legge di tale Stato
(comunicata con una dichiarazione dello stesso Regno Unito del 31 dicembre
1982, ribadita, con precisazioni, nella Dichiarazione n. 63 allegata al Trattato di
Lisbona), categorie non provviste degli stessi diritti. Di conseguenza, riguardo
alla signora Kaur, nata in Kenya e rientrante nella categoria dei “British overseas
citizens”, i quali non hanno il diritto d’ingresso né di soggiorno nel Regno Unito,
la Corte, rinviando esclusivamente alla legislazione britannica, ha negato alla
stessa Kaur il diritto di entrare e rimanere nel territorio del Regno Unito, sebbene
un siffatto diritto derivi, per i cittadini dell’Unione, dall’art. 21 TFUE (all’epoca
art. 18 del Trattato sulla Comunità europea).
Per quanto concerne l’impossibilità di ciascuno Stato membro di sindacare
l’attribuzione della cittadinanza ad opera di un altro Stato membro è da ricordare
la sentenza del 7 luglio 1992, causa C-369/90, Micheletti. In questo caso la Corte
ha respinto la posizione della Spagna, la quale negava che una persona, provvista
di doppia cittadi nan za argentina e italiana, potesse considerarsi italiana (ed eser-
citare, pertanto, il proprio diritto di stabilimento in Spagna) poiché, per la leg ge
spagnola, in caso di doppia cittadinanza deve prevalere quella corri spondente
alla residenza abituale dell’interessato (in base a un criterio di effettività), che
nella specie, era in Argentina. La Corte ha affermato:
«La determinazione dei modi di acquisto e di perdita della cittadinanza rien-
tra, in conformità al diritto internazionale, nella competenza di ciascuno Stato

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