UEM ed Euro: i successi del passato e le sfide del futuro

AuthorMario Sarcinelli
PositionEconomista e presidente di DEXIA Crediop
Pages341-359

    Sono grato al prof. Alessandro Roncaglia per aver letto e commentato una precedente versione di questo lavoro, di cui resto l’unico responsabile.

Page 341

@1. Euro, un successo non percepito

1. L’Unione economica e monetaria (UEM) è un’esperienza storicamente straordinaria, sostenuta dalla fede di quanti hanno condiviso l’intuizione di Jean Monnet, dall’impegno di politici e funzionari nel disegnare, prima, e far funzionare, poi, la nuova istituzione monetaria pluristatuale, dall’entusiasmo per l’Euro di molta parte della popolazione europea al momento del suo lancio come moneta prevalentemente per le transazioni finanziarie nel 1999, divenuta tre anni dopo moneta a corso legale ad ogni effetto. Nacque anche circondata dallo scetticismo di economisti soprattutto anglosassoni o di scuola monetarista che nel tempo hanno in parte rivisto le loro posizioni50.

Tuttavia, la percezione del pubblico in vari Paesi, compreso il nostro, è diventata sempre più critica dell’Euro, addebitando alla sua introduzione ogni sorta di mali, ma in particolare la scarsa crescita del reddito disponibile e un aumento dei prezzi ben maggiore di quello incorporato negli indici ufficiali. Quello che è stato sul piano economico e su quello politico un chiaro successo ha innescato percezioni negative nel corpo sociale che hanno portato ad addebitare al nuovo metro monetario responsabilità che appartengono, invece, all’invecchiamento della popolazione, al mancato aumento della produttività, all’insufficienza degli investimenti in istruzione, ricerca e sviluppo, all’abbandono di un disegno riformatore nel campo istituzionale come in quello gestionale. Si èPage 342 trattato di aspettative eccessive riposte nell’avvento dell’Euro quasi fosse un deus ex machina? O di insufficiente comunicazione, sempre più chiamata in causa per giustificare il successo o l’insuccesso di qualsiasi decisione o evento? O come si è a lungo argomentato di inadeguata organizzazione e/o gestione della fase di transizione?

A dieci anni di distanza conviene passare in rassegna gli indubbi successi che l’Euro ha fatto segnare sia sotto il profilo economico come sotto quello politico e chiedersi quali sfide si porranno ad esso nel prossimo decennio51, anche se sono andate deluse alcune aspettative, ad esempio in tema di crescita. Per questa analisi mi avvarrò quasi esclusivamente di pubbliche valutazioni maturate negli uffici della Commissione52 e attraverso la penna di un autorevole membro53 del Comitato esecutivo della BCE.

@2. UEM, la mancanza della “gamba” economica

2. “Il mancato sviluppo del ramo economico dell’UEM, nel confronto con quello monetario, ha anche alimentato la preoccupazione che l’Eurozona sia incapace di affrontare le sfide fondamentali che le si parano dinanzi”54. Il vantaggio di essere vecchio è di avere ricordi. Quelli personali mi permettono di riandare con la memoria alla fase di preparazione dell’UEM, vale a dire al Vertice di Madrid del 1989, che partorì l’accordo di assumere come base il Rapporto Delors e di iniziare la preparazione per una Conferenza inter-governativa (CIG)55. La mancanza di una data per quest’ultima rendeva palpabile il rischio di declassamento del Rapporto Delors a una “buona” base per il proseguimento dei lavori, invece di essere “la” base della futura Unione economica e monetaria.

Nel luglio 1989, fu lanciata dall’allora Ministro degli esteri francese, Dumas, un’iniziativa per mantenere alta la pressione politica, tenere a bada i ministeri delle finanze che erano rimasti fuori dal Gruppo Delors ed evitare che evaporasse il consenso che era stato ottenuto a Madrid. Essa si sostanziò nella costituzione di un gruppo ad alto livello, formato da due alti funzionari, uno degli esteri e uno delle finanze, per ciascun Paese membro e presieduto dalla Francia per preparare i temi che la CIG avrebbe dovuto affrontare. La Presidenza fu affidata a Elisabeth Guigou, che nominò Tommaso Padoa Schioppa consigliere speciale, per assicurare la continuità col Gruppo Delors, di cui questi era stato rapporteur.

Durante i lavori del Gruppo Guigou, cui partecipai come rappresentante del Ministero del Tesoro, feci almeno un intervento sullo scarso peso che all’unionePage 343 economica veniva assegnato nell’ambito dell’UEM, ma senza ottenere appoggio alcuno per ampliarne la dimensione e i compiti. Ero pienamente consapevole: a) che se avessi trovato alleati, rischiavo di allontanare la fissazione della data per la CIG e di rimettere in discussione il Rapporto Delors facendolo diventare una “buona” base per delineare l’UEM; b) che quest’ultima nascendo sbilanciata sul fianco monetario avrebbe avuto qualche problema di funzionamento e di accettazione in più nel tempo. Feci buon viso a cattivo gioco, sperando che l’esperienza si sarebbe incaricata di consigliare un migliore equilibrio tra le due branche. Il timore espresso dal Commissario Almunia, perciò, non mi ha trovato impreparato…

@3. Prospettive di bassa crescita

3. Secondo il citato studio degli uffici della Commissione, una crescita potenziale intorno al 2% l’anno è obiettivamente troppo bassa, ma nella proiezione al 2050 ne è prevista, a cominciare dal 2012, una progressiva discesa all’1% circa a causa: a) della produttività totale dei fattori particolarmente bassa per la scarsa diffusione di nuova tecnologia, nonostante si ipotizzi un ritorno dell’efficienza verso valori più normali; b) soprattutto, della flettente offerta di lavoro implicita nelle più recenti proiezioni demografiche dell’Eurostat, che può essere attenuata dall’aumento dei tassi di attività e dall’immigrazione. A minare la coesione dell’UEM, oltre all’insufficiente crescita, contribuiscono differenze rilevanti e durevoli tra i Paesi membri con riferimento all’inflazione, ai costi unitari del lavoro, ai conti pubblici.

Il secondo decennio dell’UEM si troverà di fronte all’invecchiamento della popolazione nei Paesi membri con effetti: a) sul rapporto tra la popolazione attiva e quella inattiva; b) sulla quota del Pil assorbita dal pagamento delle pensioni a una popolazione anziana, per giunta con aspettative di vita in aumento; c) sulle spese sanitarie destinate ad espandersi per la crescente domanda terapeutica e di prevenzione da parte dell’intera popolazione, per le necessità di cura degli anziani, talvolta lungodegenti, per il progresso nella diagnostica in generale e nella terapia di molte malattie in particolare.

A queste sfide che si originano nella demografia l’Eurozona non sembra essere nelle migliori condizioni per rispondere adeguatamente, come esplicitamente afferma lo studio56. Si può cercare, però, di reagire aumentando la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, riducendo la disoccupazione, accrescendo le ore di lavoro, incentivando la produttività, azioni che in gran parte restano affidate ai singoli Paesi. Una spinta potrebbe derivare dal coordinamento delle azioni degli Stati membri o dall’attuazione della Strategia di Lisbona così come essa è stata concepita (vedi infra, paragrafi 4 e 5).

@4. Un esercizio econometrico per l’Italia

4. Indugiando ancora un po’ sul tema della crescita, se la prognosi è preoccupante per l’Europa, quella per l’Italia è veramente allarmante e la Strategia di Lisbona non appare essere una terapia sufficiente. La progressiva perdita diPage 344 velocità dell’economia italiana dai lontani anni del “miracolo economico” a questo primo decennio del nuovo secolo è ben nota e deriva fondamentalmente da politiche economiche inappropriate57. Quasi tutta l’indagine empirica sul tema, com’era da attendersi, non ha identificato una causa unica o prevalente, ma un insieme di fattori. Una ricerca da me condotta con la determinante collaborazione di due giovani studiosi58 ha cercato di contribuire a chiarire l’affievolimento del tasso di crescita e di avanzare qualche suggerimento per rafforzarlo analizzando l’andamento dei drivers individuati dai moderni modelli di crescita endogena, nei quali è sempre presente l’investment ratio, cioè il volume di investimenti rispetto al Pil.

Il fattore più importante, oggetto di molte critiche e dibattiti in Italia, è il capitale umano, una variabile in verità multidimensionale che comprende anche il grado di civismo. A causa della scarsa “produttività” del sistema dell’istruzione, il Paese non riesce a dotarsi di un adeguato capitale umano, inteso come insieme delle conoscenze e delle competenze incorporate in ogni individuo. Sotto questo aspetto l’Italia si colloca al di sotto della media dei Paesi industrializzati. Ciò emerge in termini sia quantitativi (basso numero medio di anni di studio per abitante), sia qualitativi (insufficienti capacità nella comprensione e nell’apprendimento).

Un’altra variabile rilevante per la crescita è presumibilmente il grado di apertura al commercio estero, misurato come media di import ed export rispetto al Pil. Nel confronto con gli altri Paesi, il nostro rapporto appare modesto, traducendosi in un’insufficiente pressione competitiva sulle imprese nazionali e in un’inadeguata circolazione di idee, tecnologie, novità nelle strutture organizzative.

Infine, la tendenza all’invecchiamento della popolazione italiana, riflessa nell’indice di dipendenza strutturale – ovvero il rapporto tra la parte della popolazione non attiva e quella totale – implica una disponibilità sempre minore di forza lavoro e una maggiore incidenza delle spese sociali e per la sanità, con conseguente riduzione delle risorse da utilizzare in investimenti.

Utilizzando il modello teorico della crescita endogena e mediante la stima di un modello econometrico sui drivers della crescita, si sono delineati gli scenari prospettici e illustrate le riforme per rilanciare la crescita, per rimettere in moto l’economia italiana. Identificando le politiche e i valori degli strumenti che consentano di passare a uno scenario obiettivo da quello inerziale – che incorpora un ciclo vizioso tra contenimento del debito pubblico, tagli a...

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