Introduzione. Culture economiche e scelte politiche nella costruzione europea. Qualche riflessione

AuthorDaniela Felisini
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DANIELA FELISINI1

@1. L’Europa, un progetto

In tempi recenti l’Europa attraversa una profonda crisi economica e conosce altresì gravi difficoltà non solo nel dare risposte condivise ed efficaci alla crisi ma anche nel portare avanti il processo di integrazione. Sono emerse, infatti, in particolare in alcuni Stati membri, critiche e riserve profonde circa il ruolo dell’Unione. Quest’ultima è il risultato di uno straordinario progetto, che implica autolimitazioni delle sovranità nazionali e attribuzioni di poteri effettivi a istituzioni sovranazionali per il perseguimento di obiettivi condivisi. Un progetto audace e complesso – secondo Etienne Davignon il più originale della seconda metà del ventesimo secolo2 - che necessita di un continuo impegno per la sua realizzazione. Come scrive lo storico francese François Roth “Son originalité [de l’Europe unie, NdA] est d’avoir déjà une histoire et de demeurer un projet”3. Ma è proprio questo progetto – di cui prevalgono interpretazioni diverse e a volte contrastanti – che risulta ora messo a dura prova. Le istituzioni comunitarie faticano ad as-1 Ringrazio la dottoressa Fabiana Pranzo per la valida collaborazione all’allestimento di questo volume.

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sumere un proprio ruolo nella guida dell’Europa, affidata piuttosto all’impegnativa dialettica tra i governi nazionali. È una di quelle fasi in cui il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha individuato i rischi di una deriva intergovernativa, con l’indebolimento di quella “volontà politica comune che sola può far crescere e portare avanti – come nei periodi più felici della vita della Comunità e dell’Unione – la grande impresa dell’integrazione europea”4. Si registra quella “mancanza d’Europa” identificata da Tommaso Padoa Schioppa con l’insufficiente capacità decisionale dell’Unione; un’insufficienza che può generare ulteriore delusione e disimpegno di fronte ai gravi problemi del tempo presente5.

Appare dunque quanto mai necessaria una riflessione storica sugli elementi portanti dell’integrazione europea, per contribuire al superamento di quella “idéologie du courttermisme” che secondo Jacques Delors mina le capacità di governo dell’Europa6. Tra questi elementi due ci paiono particolarmente importanti e degni di approfondimento in questo volume: l’intreccio tra culture economiche e scelte politiche e la faticosa dialettica tra la dimensione comunitaria e quella nazionale.

Al progetto europeo hanno concorso uomini e forze di matrici politiche differenti, portatori di concezioni e strategie economiche talora discordanti, che nel tempo hanno dialogato e hanno trovato composizioni e saldature su cui si è basato il procedere della costruzione europea. Sin dalle origini, nel processo di integrazione hanno convissuto culture economiche diverse: la prima istituzione comunitaria, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio – ideata non a caso da Jean Monnet, protagonista del planismo francese – era basata sul governo dei due settori interessati, delegato ad un’autorità con forti caratteri di sovranazionalità, alla quale venivano attribuiti poteri di controllo su produzioni, prezzi e distribuzio-4 Giorgio Napolitano, Prefazione al volume di Riccardo Perissich, L’Unione Europea. Una storia non ufficiale, Milano, Longanesi, 2008, p. 7 e discorso in occasione dell’incontro con Felipe Gonzalez Marquèz, Presidente del Gruppo di Riflessione sul futuro dell’Europa, Roma, 17 aprile 2009.

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ne dei prodotti carbosiderurgici. Con il Trattato di Roma del 1957 si poneva al centro il ruolo del mercato nel promuovere lo sviluppo economico dei Paesi membri: la nuova Comunità aveva tra i suoi principi fondativi la libertà di circolazione di uomini, merci e capitali, e si proponeva la realizzazione di un mercato comune europeo, in cui far crescere ordinamenti economici prosperi e democratici. Nella seconda metà degli anni Ottanta, il rilancio del processo di integrazione prendeva spunto dalle indicazioni del Libro Bianco, che esaminava gli ostacoli al funzionamento del mercato interno. Al tempo stesso l’Atto Unico disegnava una Comunità garante delle condizioni per cui diversi soggetti ed aree geografiche potevano competere con uguali opportunità. Dagli anni Novanta, i parametri di Maastricht – introdotti per ottenere la convergenza necessaria affinché un’area economica unita ma composta di Stati differenti possa esprimere un’unica moneta – cercano di far sì che i singoli Stati membri non abbiano una presenza troppo ingombrante nelle rispettive economie. Al tempo stesso, l’Unione difende lo stato sociale, considerato esplicitamente, sin dall’Atto Unico del 1986, elemento fondante della sua stessa identità. Ma, come stiamo sperimentando in tempi recenti, convergenza e coesione sono due obiettivi che possono entrare in conflitto tra loro e perciò spesso difficili da perseguire insieme7. La Comunità, e poi l’Unione, hanno dunque portato avanti l’ambiziosa sfida di tenere insieme Stato e mercato, laddove per Stato si intende un’autorità sovranazionale regolatrice della concorrenza e del libero gioco delle forze economiche e garante, al tempo stesso, del perseguimento della coesione economica e sociale dell’Europa8.

Si tratta di un meccanismo tanto più complesso in quanto si dispiega in una Unione composta da un numero crescente di Paesi, cui va trasposto per gradi l’intero acquis communautaire.

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La faticosa dialettica tra la dimensione comunitaria e quella nazionale rimane l’altra grande sfida della costruzione europea, come è emerso in modo più evidente nell’attuale fase di crisi. Si tratta di una sfida con esiti alterni: la storia europea ha dimostrato che il condizionamento esercitato dalle divergenze nazionali si fa maggiormente sentire nelle fasi di recessione, in cui gli Stati membri procedono in ordine sparso alla ricerca di soluzioni, come è avvenuto, ad esempio, negli anni Settanta del Novecento. Il fronteggiarsi – o la contraddizione, come dicono alcuni studiosi9 – di interessi nazionali e di istanze sovranazionali determina il frammentato mosaico dell’Europa, dove coesistono una costellazione di poteri istituzionali e normativi e gradi diversi di integrazione e sovranazionalità10.

Al tentativo di proporre una riflessione a più voci su questi temi è ispirato il nostro volume, che raccoglie gli interventi proposti da studiosi di diverse discipline in occasione dei convegni e delle summer school dell’Associazione Universitaria di Studi Europei degli anni 2006-2008. Con l’attività didattica e di ricerca dei propri associati, e con le sue iniziative scientifiche, in particolare con le summer school, l’AUSE si propone di contribuire a colmare quello è stato definito “a regrettable knowledge gap”11 e di concorrere al dibattito e alla costruzione di un patrimonio di conoscenze condivise, indispensabili per rinsaldare l’identità europea. Gli interventi riflettono la molteplicità di approcci propria delle ricerche presentate dall’Associazione, che riunisce i docenti italiani provenienti da quattro grandi aree (Storia, Economia, Diritto, Scienze politiche e sociali) e ha nella interdisciplinarietà uno dei suoi punti di forza. I saggi raccolti in questo volume non hanno, però, il solo denominatore comune di appartenere alla vasta area dei cosiddetti

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European Studies, bensì sono legati tra di loro da una più fitta trama di rinvii tematici. Tra i numerosi argomenti approfonditi abbiamo rintracciato alcune questioni principali che, come fil rouges, attraversano i saggi, che sono stati organizzati in tre grandi sezioni.

@2. Tra economia e politica: il lungo cammino dell’integrazione

Nella prima si è cercato di indagare alcune tappe importanti del lungo e complesso processo di integrazione: dal noto caso ottocentesco dello Zollverein ad una istituzione internazionale come l’UNNRA che, sia pure legata all’emergenza della seconda guerra mondiale, conteneva spunti significativi di mutuo sostegno tra sistemi economici; dalla prima delle Comunità, quella del carbone e dell’acciaio, al precoce progetto per la sua trasformazione in un’unione economica e monetaria, presentato nel 1970 da Pierre Werner. In tutti i saggi si pone l’accento sulle culture economiche e politiche in cui le varie istituzioni affondavano le loro radici, mettendo in luce la formazione e le esperienze dei gruppi dirigenti che hanno contribuito alla prima fase della costruzione europea.

Nel saggio di apertura, Francesca Fauri ci propone una riflessione di lungo periodo sul rapporto tra apertura dei mercati, crescita economica ed unificazione politica. L’esperienza dello Zollverein, la lega doganale costituita da oltre trenta Stati tedeschi nel 1833, rappresenta un esempio importante: da un lato svolse un ruolo determinante per il successivo decollo industriale della Germania, dall’altro ne favorì l’unificazione politica, avvenuta nel 1871. La sua affermazione generò numerose imitazioni di poco o nessun successo, in una fase in cui la cultura economica delle classi dirigenti europee vedeva nell’allargamento dei mercati e nel libero scambio una chiave di volta per la crescita economica.

Lo Zollverein rappresentò un’importante innovazione istituzionale e le sue vicende possono essere analizzate come precedenti significativi dell’integrazione europea nel Novecento. Come la Comunità Europea, e poi l’Unione, essa fu incentrata sull’unione doganale e monetaria, e sperimentò i conflitti interni, la leadership

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di alcune regioni, gli allargamenti a nuovi membri, la faticosa ricerca di meccanismi decisionali condivisi. Ad esempio nel 1866 lo Zollverein si sciolse a causa del sostegno dato dagli Stati tedeschi meridionali all’Austria nella guerra austroprussiana, ma fu ripristinata l’anno seguente sulla base di nuove regole che la rendevano più stabile, poiché nessuno Stato membro aveva più potere di veto nelle decisioni comuni. I parallelismi non si limitano a ciò: lo Zollverein rappresenta, infatti, un esempio di come la forza...

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