L'"autonomia" del dialogo sociale europeo nel Trattato di Lisbona

AuthorRossana Palladino
Pages149-173

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@1. Premessa

1. Il ruolo delle parti sociali a livello europeo si misura, oggi, con le novità introdotte dalla recente entrata in vigore del Trattato di Lisbona1, le quali, su di un doppio versante, incidono sull'"istituzionalizzazione" di quell'attributo "autonomo" che, un tempo del tutto carente, ha progressivamente connotato gli sviluppi del dialogo sociale nell'ordinamento comunitario.

Da una parte, rileva l'inserimento, nell'ambito del titolo IX dedicato alla politica sociale2, subito dopo l'art. 151 del Trattato sul funzionamento dell'Unione

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europea (TFUE)3, di un nuova disposizione generale che, una volta "riconosciuto" e "promosso" il ruolo delle parti sociali al suo livello, tenendo conto delle diversità dei sistemi nazionali, sancisce il compito dell'Unione di "facilitare" il dialogo tra le parti, "nel rispetto della loro autonomia". Dall'altra, il riconoscimento del valore giuridico obbligatorio della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea offre, per la prima volta, la possibilità di individuare una base di valori fondanti, costituita dalla "triade" di diritti sociali collettivi (libertà di associazione, diritto alla contrattazione collettiva e diritto di sciopero), sui quali tradizionalmente si articola la reale portata autonoma dell'azione degli attori sociali.

Nella direzione di un indubbio arricchimento dello sviluppo progressivo del dialogo sociale, quale "unique element"4 del "modello sociale europeo"5, le accennate novità costituiscono elementi potenzialmente in grado di determinare un superamento delle tradizionali linee di pensiero che hanno diffusamente ricondotto l'intero fenomeno del dialogo sociale europeo ad un mero "meccanismo di regolazione" di interessi propri delle istituzioni comunitarie e, in quanto tale, privo di quei connotati che dovrebbero contraddistinguere lo stesso concetto di "autonomia collettiva"6.

Sulla base di tali premesse, il presente contributo è diretto ad analizzare la reale portata e l'effettivo grado di incisività delle novità introdotte dal Trattato di Lisbona sull'affermazione della declinazione "autonoma" del dialogo sociale europeo7. A servizio di tale obiettivo si pone la previa indagine delle tappe più

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significative che hanno caratterizzato il cammino del dialogo sociale europeo e dei diritti sociali fondamentali nell'ordinamento comunitario: essa, infatti, funge da parametro per verificare quanto delle nuove disposizioni costituisca la "cristallizzazione" di quel concetto "monco" di "autonomia" delle parti sociali progressivamente emerso nell'ordinamento comunitario e quanto, piuttosto, esse possano essere lette in un ottica innovativo-propositiva verso il reale dispiegamento in senso "autonomo" dell'attività delle parti sociali, nell'ambito di un processo ancora in fieri.

@2. Il difficile processo di evoluzione del dialogo sociale autonomo

2. Il neo-introdotto art. 152 TFUE afferma: "L'Unione riconosce e promuove il ruolo delle parti sociali al suo livello, tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali. Essa facilita il dialogo tra le parti, nel rispetto della loro autonomia. Il vertice sociale trilaterale per la crescita e l'occupazione contribuisce al dialogo sociale"8.

La portata innovativa della disposizione in commento, in particolare nella parte in cui dispone il "rispetto" della declinazione "autonoma" del dialogo tra le parti sociali europee, va necessariamente misurata, come accennato in premessa, nel contesto dei progressivi sviluppi del dialogo sociale europeo, mentre la sua ratio va confrontata con quella che ha caratterizzato le tappe dell'affermazione di quest'ultimo in senso sempre più "autonomo".

È noto che, nell'articolato sviluppo del dialogo sociale9, la stagione della sua affermazione in senso "autonomo" non ha coinciso con quella della "codificazione" del dialogo sociale nel diritto primario10, ma è sopraggiunta solo in un

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momento successivo. Tant'è che, per lungo tempo, gli accordi negoziati tra le parti sociali europee hanno utilizzato -tra quelli previsti dal combinato disposto degli articoli 138 e 139 TCE11 -il meccanismo che è scandito dalla successione delle fasi di: consultazione degli attori sociali per impulso della Commissione; negoziazione e sottoscrizione dell'accordo tra le parti sociali; attuazione dell'accordo sulla base del secondo dei due meccanismi descritti dall'art. 139, par. 2 TCE (ossia tramite il suo recepimento in una "decisione" del Consiglio)12. In sostanza, tale di pratica di "legislazione negoziata" vede un parziale coinvolgimento degli attori sociali nella disciplina di materie della politica sociale, le quali restano, comunque, sia per quanto riguarda la scelta dei contenuti, sia per l'attuazione tramite atti normativi delle istituzioni, nella competenza e nell'alveo di responsabilità di queste ultime.

La prospettiva, apertasi al Vertice di Laeken nel dicembre 200113, di un dialogo sociale europeo spinto verso una maggiore indipendenza ed autonomia prende corpo nella sottoscrizione dei c.d. new generation texts che, definiti quali testi con cui le parti sociali "si assumono determinati impegni o formulano raccomandazioni ai loro membri nazionali e cercano attivamente di applicare il contenuto del testo al livello nazionale"14, si caratterizzano per il fatto che sono le parti sociali stesse a doversi occupare del loro follow-up15. Per tale via, pas-

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sando per l'adozione di Framework of Action16, gli attori sociali si sono spinti fino alla sottoscrizione dell'accordo-quadro sul telelavoro17, il quale, affidandosi per la sua attuazione alle prassi delle parti sociali e degli Stati membri, rappresenta il primo accordo che utilizza il primo dei due modelli di attuazione contemplati dall'139, par. 2 TCE18. Tale modello, non poggiando sull'emanazione di una "decisione" del Consiglio, fa registrare un mutamento dei soggetti responsabili dell'attuazione e della successiva attività di monitoraggio dello stato di attuazione dell'accordo. Infatti, la responsabilità ricade, negli accordi che seguono il "modello istituzionale", sui destinatari dell'atto normativo del Consiglio (per quanto attiene l'attuazione) mentre, negli accordi "non istituzionali", sulle parti sociali sia per quanto riguarda l'attuazione sia la fase di monitoraggio19.

A questo punto appare interessante valutare le ragioni sottese all'evoluzione del dialogo sociale verso l'affermazione di dinamiche improntate ad una maggiore autonomia ed indipendenza delle parti sociali rispetto alle prime esperienze in cui esso si è manifestato. Esse ruotano, in sostanza, attorno a due ordini di fattori, i quali hanno spinto in due direzioni diametralmente opposte: gli uni, nel senso di un rallentamento e, gli altri, verso un più veloce sviluppo di forme di dialogo sociale autonomo.

Orbene, i primi tipi di cause sono riconducibili a quella sorta di "condizionamento genetico" che ha caratterizzato (l'interesse verso) l'affermazione stessa del dialogo sociale europeo e del suo principale prodotto, la contrattazione collettiva. Sono note, infatti, le ampie indagini della dottrina che inquadrano il riconoscimento del dialogo sociale come "necessità istituzionale" volta all'intro

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duzione di uno strumento ritenuto valido per superare lo squilibrio esistente tra Europa economica ed Europea sociale20. Squilibrio divenuto "intollerabile" e generatore dell'incapacità dei tipici strumenti di armonizzazione a funzionare come mezzo uniformatore di politiche sociali degli Stati membri che -non avendo avuto l'incidenza dell'opera armonizzatrice di una Comunità europea proiettata verso un'integrazione eminentemente economica -si sono venute a sviluppare in maniera estremamente eterogenea.

Meglio si comprende, allora, perché abbiano trovato sviluppo più precoce e più consistente quelle forme di contrattazione "istituzionalizzate", di cui si è fatto cenno, le quali non presupponevano l'esistenza di un sistema di relazioni industriali più consolidate rispetto all'assetto esistente21, piuttosto che forme di contrattazione autonoma.

In questo contesto, la percezione -negli sviluppi più recenti del dialogo sociale -di un ruolo maggiormente indipendente e meno etero-diretto degli attori sociali mostra i segni di un dialogo sociale capace di muoversi sul fondamento di una "reale dialettica contrattuale"22 che, da sempre, è stata considerata elemento mancante a livello comunitario, per il privilegio accordato al coinvolgimento nei processi di produzione normativa comunitaria.

Le argomentazioni, fin qui svolte, circa l'individuazione di un nuovo fondamento del dialogo sociale vengono immediatamente e parzialmente "ridimensionate" dall'analisi relativa al secondo ordine di fattori che hanno inciso nello sviluppo concreto di forme di dialogo autonomo.

Questi fattori sono, in principal modo, riconducibili allo sviluppo della Strategia di Lisbona del 200023, che ha reso l'occupazione una materia di competenza delle parti sociali e ha considerato il dialogo sociale quale strumento per il raggiungimento degli obiettivi propri di tale Strategia; il riferimento è, in par-

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ticolare, all'introduzione del metodo aperto di coordinamento (MAC)24 ed alla conseguente diffusione di nuovi strumenti di regolazione normativa dalla natura soft.

Quale "naturale conseguenza dell'aumento del tasso di diversità, sia economica che strutturale, in seno all'Unione europea"25 il MAC si afferma quale "terza via"26 rispetto ai due tradizionali strumenti di raccordo degli ordinamenti nazionali (armonizzazione e cooperazione intergovernativa) tramite cui si è tentato di colmare le "constitutional asymmetry" tra i sistemi di welfare degli Stati membri, derivanti dallo stesso processo di integrazione europeo, notoriamente sbilanciato verso l'armonizzazione delle politiche economiche e strutturato sulla convinzione che la creazione di un mercato comune potesse generare di per sé benefici in materia sociale.

È...

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