Dalla golden share al golden power: il cambio di paradigma europeo nell'intervento dello Stato sull'economia

AuthorFabio Bassan
PositionAssociato di Diritto internazionale nell'Università degli studi di Roma Tre
Pages57-80
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Studi sull’integrazione europea, IX (2014), pp. 57-80
Fabio Bassan*
Dalla golden share al golden power:
il cambio di paradigma europeo
nell’intervento dello Stato
sull’economia
S: 1. Introduzione. – 2. La controversa vicenda ventennale delle golden shares, tra
riforme statali, prassi della Commissione e giurisprudenza della Corte di giustizia. – 3. Il
parametro di legittimità dell’azione statale. – 4. I poteri speciali e i criteri di utilizzo. – 5.
Il golden power italiano del 2012: i contenuti della riforma negoziata con la Commissione
europea. – 6. I poteri speciali e le attività di rilevanza strategica. – 7. Le condizioni per l’e-
sercizio. – 8. La procedura. – 9. La conformità della nuova disciplina alla normativa e alla
giurisprudenza comunitaria. – 10. Il confronto con la recente prassi degli Stati in materia di
investimenti esteri.
1. La vicenda delle golden shares ha appassionato in Europa la dottrina per oltre
un ventennio e ha costituito uno dei terreni più impervi di confronto serrato tra isti-
tuzioni dell’Unione e Stati membri1. Sullo sfondo, la questione critica, ma decisiva,
dei limiti del potere di intervento degli Stati sull’economia nazionale ha costituito
un nodo in cui si sono aggrovigliati principi generali dell’Unione e strumenti di con-
trollo degli Stati. La giurisprudenza della Corte di giustizia, con interventi ciclici,
massivi e chiari, ha tentato invano di sciogliere questo nodo gordiano: gli Stati
hanno ogni volta riproposto riforme non efficaci, quando non peggiorative.
La dottrina, la giurisprudenza e la prassi hanno scontato la progressiva perdita
di una dimensione (la ratio della tutela), appiattendo la contesa sulle procedure e sui
contenuti dell’azione speciale e dunque sul perimetro dei poteri che questa conferiva
allo Stato. Principi generali (dell’Unione) ed esigenze di controllo (degli Stati) non
potevano che continuare a confliggere in quanto antitetici: l’azione speciale dello
Stato contrastava per definizione con l’equivalenza di trattamento tra pubblico e
privato, principio cardine che guida l’azione dell’Unione sul mercato. La giuri-
sprudenza ha tentato una composizione concettuale del dilemma su basi diverse (a
seconda dei cicli), ma l’applicazione degli Stati non è stata mai conforme né poteva
* Associato di Diritto internazionale nell’Università degli studi di Roma Tre.
1 Un elenco degli studi in materia è oggettivamente impossibile ed esula dalle nalità di questo
lavoro. Ci si limiterà pertanto ai riferimenti giurisprudenziali e a pochi rinvii specici alla dottrina.
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esserlo, stante l’equivoco di fondo: l’interlocuzione avveniva su piani paralleli che
non potevano convergere.
Con la riforma radicale del 2012, il Governo italiano e la Commissione europea
(che ha condiviso i contenuti, le procedure e le modalità applicative della riforma)
hanno per la prima volta sciolto il nodo, separato i due piani (dei principi e dell’a-
zione) e restituito tridimensionalità (e dunque profondità) al dibattito. Il pubblico
sia trattato come il privato, ma sia consentito allo Stato di intervenire al verificarsi
di determinate condizioni: questo era il dilemma. Il Governo italiano (e poi il
Parlamento, in sede di conversione del decreto) ha scelto la soluzione più lineare
e chiara (e coraggiosa), e cioè garantire pari trattamento alle imprese pubbliche e
private, mediante l’esercizio ad opera del Governo – sottoposto a sindacato giuri-
sdizionale – di poteri elencati in modo esaustivo, al verificarsi di eventi e fattispecie
espressamente indicati, in settori specifici: difesa e sicurezza nazionale da un lato,
energia, trasporti e comunicazioni dall’altro.
Sin qui, una mera applicazione di principi e condizioni imposti dalla giurispru-
denza della Corte. Il Governo non si è limitato però a gestire un compromesso che
in passato non ha garantito stabilità alle misure esecutive suggerite da sentenze rego-
larmente disattese, nella sostanza; al contrario, ha operato anche sul piano teorico,
intervenendo sul simulacro su cui si fondava la superstizione del controllo statale:
l’azione d’oro. Portato infatti, con rigore concettuale, alle estreme conseguenze, il
ragionamento della Corte di giustizia aveva un solo esito possibile: ammettere un
intervento dello Stato, limitato temporalmente nonché sul piano dei poteri e delle
procedure, indipendentemente dalla titolarità di un’azione speciale. In sostanza, il
potere dello Stato doveva spostarsi da un piano privatistico (dei rapporti societari)
in cui venivano inseriti elementi pubblicistici (di controllo) a un piano meramente
pubblicistico (regolatorio). Lo Stato deve poter intervenire sulle decisioni delle
imprese che operano in determinati settori, anche se non detiene di queste neanche
un’azione. Speciale, non è più l’azione detenuta (golden share) ma l’intervento
esercitato dallo Stato (golden power).
L’evidente cambio di paradigma (il potere è non più solo su società partecipate
dallo Stato e in via di privatizzazione, formale o sostanziale, ma anche su società
private) è, più che meramente compatibile con, direttamente funzionale alla nuova
economia sociale di mercato dell’Unione. Lo scenario è non più quello delle priva-
tizzazioni – cui comunque la riforma potrebbe dare nuovo impulso – ma quello delle
garanzie minime (riferite ora non alle aziende ma all’attività) che lo Stato deve assi-
curare in settori ritenuti essenziali (per continuità e qualità della produzione e della
fornitura). Il perimetro dell’intervento si amplia sul piano soggettivo e si riduce sul
piano sia delle condizioni e dei presupposti, definiti ora dalla legge e non più affidati
alla prassi, sia delle finalità, dalle quali viene espunta la tutela degli interessi generali
del mercato, tra cui la libera concorrenza. L’oggetto della tutela, così ri-perimetrato,
non può essere che l’interesse nazionale, declinato in ragione dei settori di applica-
zione. Per il resto, opera lo strumento alternativo suggerito a più riprese dalla Corte:
la regolazione, il cui progressivo sviluppo riduce in modo almeno proporzionale la
(residuale) discrezionalità riconosciuta al Governo nell’esercizio dei poteri speciali.
Il rigore della scelta e le procedure adottate dal Governo italiano per tutelare
l’interesse nazionale, quando messo seriamente a rischio, rappresentano una novità

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