Il deficit di rappresentatività del Parlamento europeo: limiti e soluzioni

AuthorFabio Raspadori
PositionAssociato di Diritto internazionale nell'Università degli studi di Perugia
Pages121-132

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1. Il Parlamento europeo (PE) è un soggetto centrale nel quadro delle istituzioni dell'Unione europea e, più in generale, dello stesso processo di integrazione. Esso rappresenta i cittadini degli Stati membri e in quanto tale assicura quella legittimità democratica, che secondo molti costituisce l'elemento indispensabile - sebbene ancora carente - per procedere nel cammino verso l'unificazione.

Come noto, nel corso degli anni il PE ha visto crescere notevolmente i suoi poteri. Da organo di mero ruolo consultivo esso ha acquisito, soprattutto con il Trattato di Maastricht, la posizione di co-legislatore insieme al Consiglio in tutti i casi in cui è prevista la procedura legislativa di codecisione. Tale posizione è stata poi rafforzata con il Trattato di Amsterdam e con quello di Nizza. Inoltre, in prospettiva, con Trattato di Lisbona - firmato il 13 dicembre 2007 e ancora in attesa di entrare in vigore - la procedura di codecisione diverrà procedura ordinaria e sarà applicata per l'adozione della quasi totalità dei provvedimenti legislativi della nuova Unione europea.

A quanto detto si deve aggiungere che il PE ha sviluppato significativi poteri anche in altri ambiti chiave, quali, in particolare, il bilancio e la programmazione; esso inoltre ha esteso la sua influenza pure al di fuori dell'ordinamento comunitario.

Più specificamente, a partire dagli anni '70 il PE adotta il bilancio comunitario e, in misura crescente, decide insieme al Consiglio quali siano le voci e le entità di spesa per finanziare l'azione delle istituzioni e degli organi europei; inoltre, tali attribuzioni saranno ulteriormente rafforzate con il Trattato di Lisbona. Sempre in questa materia, poi, il Parlamento controlla la Commissione europea nell'esecuzione del bilancio comunitario. Page 122

Sul piano della programmazione, il PE a partire dagli anni '90 partecipa con la Commissione europea alla predisposizione dell'agenda politica annuale, che consiste, in particolare, nella definizione di politiche legislative mediante le quali si attua e si sviluppa il processo di integrazione. Sempre dopo Maastricht, esso può anche sollecitare la Commissione a presentare specifiche proposte di atti legislativi1.

Venendo al ruolo del PE nei settori di cooperazione dell'Unione europea - ossia la politica estera e l'azione in materia di giustizia penale e di polizia - esso sicuramente dispone di minore voce in capitolo. Ciò nonostante riesce ugualmente a condizionare le posizioni delle altre istituzioni. Questo avviene in quanto il PE, da un lato sfrutta i poteri di cui dispone in ambito comunitario, soprattutto in materia di bilancio; dall'altro lato, fa pesare l'autorevolezza che gli deriva dall'essere l'espressione "dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità", riuscendo in alcuni casi a imporre le sue scelte.

In base a quanto detto, quindi, i sostenitori del superamento del deficit demo- cratico attraverso il potenziamento del Parlamento europeo dovrebbero ritenersi soddisfatti: il PE non solo ha acquisito maggiori poteri, ma è inserito in un trend di rafforzamento del suo ruolo all'interno del processo di riforma dei Trattati istitutivi. In realtà, a nostro avviso, se ci si concentra sull'effettiva rappresentatività degli europarlamentari, il quadro è decisamente meno rassicurante.

Anzitutto, la natura dell'istituzione appare ancora incompiuta. Il fatto che il PE sia formato - come recita l'art. 189, par. 1 - da "rappresentati dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità" e non da "rappresentanti dei popoli europei" tout court, comporta, oltre a difficoltà di inquadramento sul piano teorico, anche alcuni problemi concreti, come vedremo in riferimento al sistema elettorale.

Quindi, la distanza tra cittadini e Unione europea, ritenuta da molti notevole, ha tra le sue tante cause anche lo scollamento tra europarlamentari e loro elettorato. Anzi, a nostro avviso, quest'ultimo aspetto costituisce uno dei maggiori limiti all'identificazione dei cittadini europei nel processo di integrazione. Come cercheremo di dimostrare in questo contributo, una delle ragioni principali di tale difetto - quantomeno sul piano strutturale - sta nell'attuale sistema elettorale del PE.

Per introdurre questa tematica si ritiene utile in via preliminare descrivere sommariamente le caratteristiche del sistema attraverso il quale si forma il PE.

2. Originariamente il Trattato istitutivo della Comunità europea (TCE), all'art. 138, par. 3 (attuale art. 190, par. 4 TCE) prevedeva che il Parlamento europeo (allora Assemblea) elaborasse una proposta volta "a permettere l'elezione a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli stati membri". Sulla base di tale proposta il Consiglio, pronunciandosi all'unanimità, avrebbe quindi stabilito il sistema elettorale di cui avrebbe raccomandato Page 123 l'adozione da parte degli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali2.

Sebbene il Parlamento nel corso degli anni '60 e '70 abbia più volte preso iniziative in tale senso, queste hanno sempre incontrato forti resistenze in seno al Consiglio3. Solo in seguito al Vertice di Parigi del 1974 gli Stati membri hanno superato le reciproche riserve e, con la decisione 76/787, è stata disposta l'elezione a suffragio universale e diretto del Parlamento europeo4. Tuttavia, si trattò di un'attuazione parziale dell'art. 138, in quanto fu sì introdotta l'elezione a suffragio universale e diretto, ma non si stabilì quale fosse la procedura uniforme da seguire in tutti gli Stati. A tale riguardo, la stessa Assemblea decise che sarebbe stato il primo Parlamento europeo eletto a suffragio universale a completare l'opera5. In realtà si è dovuto attendere diversi anni prima di vedere realizzato - seppure in maniera incompleta - questo obiettivo.

Nel frattempo, con il Trattato di Amsterdam, nell'ex art. 138, par. 3 TCE è stata inserita una nuova opzione meno impegnativa. Ossia si prevede, come possibile alternativa alla definizione di una procedura uniforme, l'elezione del PE secondo un sistema elettorale basato soltanto su principi comuni a tutti gli Stati membri6. Ciò ha reso evidentemente più agevole giungere ad una soluzione che risultasse a tutti soddisfacente. Ed infatti, con la decisione del Consiglio 2002/772 del 25 giugno 20027 (che ha integrato la decisione 76/787), è stato finalmente introdotto un sistema che prevede per tutti gli Stati di procedere all'elezione dei parlamentari europei attraverso scrutini basati sul principio proporzionale. Page 124

Il nuovo meccanismo è stato applicato per la prima volta nelle elezioni del 2004. La scelta del proporzionale appare coerente alle caratteristiche del PE e, più in generale, a quelle dello stesso ordinamento comunitario. Il sistema istituzionale dell'Unione europea, infatti, non contempla un rapporto di responsabilità politica dell'organo depositario del potere esecutivo rispetto a quello che esercita la funzione legislativa. Di conseguenza, la presenza in Parlamento di schieramenti politici che facilitino la formazione di esecutivi stabili è un problema che non si pone. Più importante è invece l'effettiva rappresentatività degli orientamenti politici presenti negli Stati membri. Aspetto questo che è meglio assicurato da sistemi elettorali basati sul principio proporzionale.

Oltre allo scrutinio universale e diretto e al principio proporzionale, un altro importate tratto comune delle elezioni del PE riguarda l'elettorato attivo e passivo. Come noto, infatti, in forza della cittadinanza europea (istituita con il Trattato di Maastricht) ogni cittadino degli Stati membri può votare o candidarsi in un Paese dell'Unione di cui non possiede la nazionalità, purché vi risieda da un certo periodo di tempo8 (art. 19 TCE).

In realtà, nonostante quanto fin qui detto in merito ai tratti comuni delle elezioni del PE, la normativa europea - in particolare la decisione 2002/772 - consente il mantenimento di numerosi elementi di differenziazione tra i sistemi elettorali nazionali. Anzitutto, è ammessa la presenza di una certa percentuale di seggi attribuiti secondo criteri maggioritari. Tale concessione è stato il prezzo da pagare per ottenere l'assenso del Regno Unito, unico Paese membro che prima del 2002 ancora manteneva il sistema maggioritario nelle elezione europee. La decisione, quindi, prevede espressamente che gli Stati membri possano decidere in maniera autonoma su altri rilevanti aspetti, quali: la definizione di collegi elettorali nazionali o sub-nazionali, la possibilità di esprimere o meno preferenze all'interno delle liste elettorali, la soglia di sbarramento opzionale entro il tetto massimo del 5%, la fissazione di criteri per l'assegnazione di seggi vacanti e l'ammissibilità di quote riservate a comunità e aree regionali.

Anche in merito alle cause di incompatibilità il regime europeo permette agli Stati di conservare alcune specificità. In verità, la decisione 2002/772 ha aggiunto nuove condizioni da applicare in tutti gli Stati membri. In particolare è stata introdotta, a partire dal 2004, l'incompatibilità con cariche dell'Unione che Page 125 non esistevano nel 19769. Ma soprattutto la decisione del 2002 ha disposto l'incompatibilità con lo status di deputato nazionale10. Resta ferma, tuttavia, la possibilità per gli Stati di introdurre ulteriori condizioni di incompatibilità (art. 7, par. 3 decisione 2002/772), a patto di non pregiudicare il carattere proporzionale del voto. Così in Italia, con la legge 78 e la legge 90 del 2004, è stata estesa l'incompatibilità (oltre che ai deputati ed ai senatori della Repubblica) ai consiglieri regionali, ai presidenti delle Province ed ai sindaci di Comuni con più di 15.000 abitanti (condizioni che si aggiungono a quelle di presidente della Giunta regionale e di assessore regionale, già previste come incompatibili in base alla legge n. 18 del 1979).

Dalla breve illustrazione svolta, quindi, risulta chiaro che gli elementi di...

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