Le responsabilità dell'Unione europea nell'area mediterranea

AuthorUgo Villani
PositionOrdinario di Diritto internazionale nella LUISS "Guido Carli" di Roma
Pages551-583

Il presente scritto riproduce la relazione svolta al XIV Convegno della Società Italiana di Diritto Internazionale (SIDI) su "Europa e Mediterraneo. Le regole per la costruzione di una società integrata", Bari 18-19 giugno 2009.

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1. I rapporti dell'Unione europea con i Paesi del Mediterraneo mettono in luce varie linee di tendenza1. Un dato costante è rappresentato dalla assunzione di un ruolo di "normative power"2, diretto, cioè, alla "esportazione" dei propri principi fondamentali, giuridici, politici, economici. Tale ruolo è svolto, special- mente, attraverso un meccanismo di condizionalità, che subordina al rispetto e all'attuazione di tali principi da parte degli Stati terzi la concessione di vantaggi di diversa natura. Nei riguardi di situazioni di crisi, caratterizzate da forti contrapposizioni, talvolta suscettibili di degenerare in conflitti armati (o frutto di tali conflitti) - si pensi al Kosovo, alla questione israelo-palestinese, a Cipro -, l'Unione è impegnata a contribuire alla loro soluzione, generalmente in un rap- porto di sinergia e di collaborazione con le Nazioni Unite, tuttavia mostrando, in Page 552 certi casi, qualche tensione con queste ultime, se non qualche deviazione rispetto alle stesse norme di diritto internazionale rilevanti in materia. Un altro elemento che emerge dall'atteggiamento dell'Unione europea è la diversificazione delle sue strategie, in rapporto alle differenti situazioni e problematiche con le quali essa viene in contatto, nonché ai diversi interessi che intende perseguire. Infine l'Europa sembra muoversi nell'area del Mediterraneo anche alla ricerca della definizione dei propri confini, non solo in senso geografico, e, in qualche misura, della propria stessa identità3.

2. Lo scenario del Mediterraneo si apre con i Paesi dei Balcani occidentali, verso i quali le responsabilità dell'Europa nascono non solo da interessi comuni di stabilità e di sicurezza, insiti nell'estrema prossimità geografica tra questa area e l'Unione, con la quale alcuni Stati direttamente confinano, ma anche dal ruolo che alcuni Paesi europei hanno svolto dai primi anni '90 nel favorire, per esempio con i loro riconoscimenti quanto meno prematuri, la disgregazione della Iugoslavia, con i drammatici eventi che hanno segnato tale fenomeno. In altri termini, l'Unione europea, sia per la tutela dei propri interessi di sicurezza, sia per un dovere politico-morale nei confronti dei Paesi balcanici, non può disinteressarsi di questi ultimi. E invero, l'Unione europea mostra di avere profondamente a cuore le sorti future degli Stati nati dallo smembramento della Iugoslavia, così come dell'Albnia e di quel piccolo territorio, il Kosovo, dall'incerto stato giuridico e nel quale si concentra un intreccio di acuti problemi politici e giuridici.

Nel quadro delle diverse forme di azione dell'Unione europea verso i Paesi balcanici due linee di sviluppo sembrano meritevoli di particolare attenzione: da un lato, lo svolgimento di operazioni di pace in tali Paesi, dall'altro, l'attuazione di strategie di vicinato e di stabilizzazione, anche in una prospettiva di possibile adesione all'Unione.

Per quanto riguarda le prime, ci riferiamo a una tipologia variegata di inter- venti che comprendono operazioni di polizia (prive di carattere coercitivo), operazioni di peace-keeping, di carattere militare, ma prive anch'esse di poteri coercitivi, e operazioni di peace-enforcement, che, sebbene costituite pur sempre con il consenso dello Stato interessato, contemplano l'uso della forza non solo per legittima difesa, ma anche per più ampi obiettivi, quali la protezione di popolazioni civili, o di aeroporti o, più in generale, per l'esecuzione del proprio mandato. Si tratta di operazioni che trovano la loro collocazione nella PESD, istituita dal Trattato di Maastricht e, più precisamente, nell'ambito delle cosiddette operazioni di Petersberg, contemplate dall'art. 17, par. 2 del TUE, come modificato ad Amsterdam4. Page 553

In questo contesto è evidente che l'azione dell'Unione europea deve raccordarsi alle norme e alle funzioni dell'ONU - dato che questa tende ad affermare un monopolio dell'uso della forza - quali, anzitutto, il riconoscimento della responsabilità principale del Consiglio di sicurezza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (art. 24 Carta), la prevalenza degli obblighi derivanti dalla Carta per gli Stati membri rispetto ad altri obblighi derivanti da accordi internazionali (art. 103) e, principalmente, le disposizioni del capitolo VIII della Carta concernente i rapporti tra le Nazioni Unite e gli accordi e organizzazioni regionali relativamente al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Rispetto ad operazioni svolte dall'Unione europea - che è certamente qualificabile come organizzazione regionale - viene in rilievo l'art. 53, ai sensi del quale azioni coercitive possono essere intraprese solo se utilizzate o autorizzate dal Consiglio di sicurezza (art. 53, par. 1), nonché l'art. 54, il quale prescrive un obbligo di informazione del Consiglio di sicurezza, in ogni momento, dell'azione intrapresa o progettata in base ad accordi regionali o da parte di organizzazioni regionali per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Tali disposizioni disegnano un quadro di sicura subordinazione delle organizzazioni regionali alle Nazioni Unite per quanto attiene all'azione per il mantenimento della pace. Esse, invero, formalmente obbligano gli Stati membri dell'Unione europea, non quest'ultima in quanto tale. Tuttavia deve osservarsi, anzitutto, che detti Stati sono tenuti a rispettare le disposizioni della Carta anche quando operano all'interno dell'Unione europea; e, in secondo luogo, che la stessa Unione europea, man mano che si delinea, con il Trattato di Maastricht, una politica di difesa nell'ambito della PESC e che essa si sviluppa con i Trattati successivi e con una serie di atti, di importante rilevanza politica (pur se non sempre giuridica), afferma con chiarezza una fedeltà ai principi della Carta. L'art. 11 - con il quale si apre il titolo V dedicato alla PESC - richiama per due volte i principi della Carta, dichiarando che sia la difesa dei valori, degli interessi fondamentali, dell'indipendenza e dell'integrità dell'Unione, sia il mantenimento della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale sono perseguiti conformemente ai suddetti principi. Ma tale fedeltà - come si è accennato - è chiaramente espressa anche in atti fondamentali, che hanno segnato la nascita effettiva della PESD e che ne hanno accompagnato i più significativi sviluppi, a partire dal Consiglio europeo di Colonia del 3 e 4 giugno 1999, nei quali l'Unione europea ha dichiarato, di volta in volta, che essa avrebbe aumentato la propria capacità di contribuire alla pace e alla sicurezza internazionale secondo i principi della Carta, che le proprie iniziative sarebbero state invariabilmente Page 554 coerenti con le decisioni e i quadri elaborati dall'ONU, ribadendo l'intenzione di elevare il suo profilo nella prevenzione dei conflitti, nella gestione delle crisi, nel mantenimento e nel consolidamento della pace, così apportando un importante valore aggiunto alle attività dell'ONU.

Il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (come, analogamente, già la c.d. Costituzione europea) conferma e rafforza questa determinazione dell'Unione europea di mettersi a disposizione delle Nazioni Unite, in specie del Consiglio di sicurezza, nelle azioni per il mantenimento della pace. Oltre ai ripetuti richiami ai principi della Carta, contenuti nel TUE (art. 3, par. 5, art. 21, par. 1 e par. 2, lett. c), art. 34 e art. 42, par. 1), così come nel Protocollo n. 10 sulla cooperazione strutturata permanente, va sottolineato che la Dichiarazione n. 13 relativa alla PESC afferma espressamente che "l'Unione europea e i suoi Stati membri resteranno vincolati dalle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite e, in particolare, dalla responsabilità primaria del Consiglio di Sicurezza e dei suoi membri per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali"5.

Si aggiunga che l'Unione europea, in quanto soggetto di diritto internazionale, è destinatario delle norme di diritto internazionale generale (del quale l'art. 21 TUE di Lisbona dichiara espressamente l'obbligatorietà per l'Unione), in particolare di quelle rilevanti in materia di pace, quali, anzitutto, il divieto dell'uso della forza e quindi il rispetto della sovranità e dell'indipendenza degli Stati, il diritto di autodeterminazione dei popoli.

La prassi sinora seguita dall'Unione europea nelle missioni di pace nei Balcani appare, in generale, conforme ai principi della Carta e del diritto inter- nazionale e al ruolo di sostegno alle iniziative delle Nazioni Unite, che si configura non solo alla luce della Carta ma, come si è rilevato, anche alla stregua delle norme e degli atti dell'Unione europea. Essa, inoltre, esprime una responsabilità che, evidentemente, l'Unione europea ritiene di doversi assumere nei processi di pace in tale area. Non è il caso di procedere ad un'analisi delle numerose missioni di pace dell'Unione europea nei Balcani, che hanno interessato in particolare, e più volte, la Macedonia e la Bosnia-Erzegovina. Ci limitiamo a osservare che spesso esse hanno avuto (o tuttora svolgono) un ruolo di supporto ad attività di polizia (EUPM in Bosnia-Erzegovina) e di lotta alla criminalità organizzata (EUPOL-Proxima in Macedonia), oppure che si tratta di vere operazioni di peace-keeping, quindi di carattere militare, ma senza funzioni coercitive, come l'operazione Concordia in Macedonia, o, infine, che si tratta di operazioni militari aventi anche poteri coercitivi, come l'operazione EUFOR-Althea in Bosnia- Erzegovina6, avente il mandato di adottare tutte le misure necessarie ad assicu- rare l'applicazione dell'Accordo di Dayton, espressamente autorizzata, pertanto, dal Consiglio di sicurezza...

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