La democrazia partecipativa ed il diritto di iniziativa dei cittadini europei

AuthorFabio Raspadori
Pages675-689

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La democrazia partecipativa ed il diritto di iniziativa dei cittadini europei

Sommario: 1. La democrazia partecipativa. – 2. Gli istituti della democrazia partecipativa nel

Trattato sull’Unione europea come modificato dal Trattato di Lisbona. – 3. Il diritto di iniziativa introdotto dal Trattato di Lisbona nell’art. 11, par. 4 TUE. – 4. Punti rilevanti della disciplina prevista nella Proposta di regolamento presentata dalla Commissione sull’iniziativa dei cittadini europei. – 5. Conclusioni.

L’iniziativa popolare (iniziativa) solitamente è considerata, insieme al referendum, uno strumento di democrazia diretta1. Questa posizione non ci sembra condivisibile. Il popolo con l’iniziativa, a differenza del referendum, non si riappropria del potere sovrano di decidere autonomamente ed in maniera ultimativa quali nuove norme introdurre o quali delle preesistenti abrogare. Attraverso questo istituto, invece, i cittadini possono solo suggerire alle istituzioni che esercitano il potere legislativo di adottare un progetto di atto normativo, senza avere la capacità di imporre tale scelta. In questo senso l’iniziativa rientra nell’ambito degli strumenti della cosiddetta democrazia partecipativa.

Quest’ultima – spesso confusa, al pari dell’iniziativa popolare, con la democrazia diretta – è una nozione che ha acquisito crescente considerazione a partire dagli anni ‘70. Ossia da quando la democrazia rappresentativa – concezione con la quale si tende ad identificare la democrazia tout cour – ha iniziato a mostrare i primi segni di affaticamento. Segnali che si sono andati intensificando con il passare del tempo e che si riscontrano – limitandoci al vecchio continente – praticamene in tutti gli Stati europei. Basti ricordare a questo riguardo il costante calo della percentuale di cittadini che partecipano alle votazioni per eleggere i

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propri rappresentati nei parlamenti nazionali2. A questo dato – già di per sé esplicativo – si somma la crescente sfiducia manifestata da una consistente percentuale di popolazione verso i partiti politici tradizionali, le istituzioni di governo e, più in generale, l’azione politica. A tale rigetto corrisponde un rafforzamento dei gruppi estremisti e antisistema, che in diversi Paesi europei fioriscono e in alcuni casi si rafforzano3.

Le ragioni della crescente disaffezione verso la politica sono varie e profonde. A nostro avviso la principale risiede proprio nei meccanismi della democrazia rappresentativa, che in parte si sono inceppati. In particolare i partiti politici non riescono più a svolgere la loro funzione originaria, ossia quella di fungere da cinghia di trasmissione tra il popolo e le istituzioni. Essi, come prefigurava Simone Weil in un lucido quanto preveggente pamphlet, si sono trasformati in una macchina del consenso, che ha come fine ultimo non il bene comune ma il consolidamento e l’espansione delle posizioni di potere4. Questo infingimento è percepito in maniera sempre più netta dai cittadini che, percependo di non disporre di strumenti efficaci per far fronte a questa degenerazione, in misura crescente indulgono nell’apatia e nel disinteresse politico oppure ricorrono a forme di contestazione anarchica e irrazionale.

La democrazia partecipativa nasce proprio per fare fronte a questa situazione e per fornire un sostegno alla “zoppicante” democrazia rappresentativa. Come affermato da una delle principali teoriche di questa concezione, Carole Pateman, attraverso la democrazia partecipativa si vuole fare in modo che la democrazia abbia “realmente importanza nella vita quotidiana della gente, estendendo[ne] la sfera di controllo”5. L’intento non è dimostrare la superiorità della democrazia diretta e riportare tutti i poteri nelle mani del popolo. Al contrario, fermi restando i principi cardine della democrazia rappresentativa (libere elezioni, divisione dei poteri, principio di legalità), l’obiettivo è mettere i cittadini in condizione di apportare un contributo effettivo alla realizzazione del bene comune. Questo risultato presuppone l’introduzione di nuovi strumenti, che incoraggino e ren-

2 Si veda in merito alla progressiva disaffezione al voto nelle democrazie moderne D. Campus, L’elettore pigro. Informazione politica e scelte di voto, Bologna, 2000.

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dano possibile il coinvolgimento individuale e di gruppo alla vita politica attiva. A tale riguardo, istituti quali: il bilancio partecipato, l’iniziativa popolare, le consultazioni pubbliche, il difensore civico, il diritto di petizione alle istituzioni politiche, le consulte, gli incentivi fiscali ed il sostegno all’associazionismo, la comunicazione attiva tra istituzioni e cittadini sono solo alcuni degli strumenti che possono portare i cittadini a svolgere un ruolo rilevante nell’azione politica e tradursi in forme di reale controllo sulla gestione del potere6.

Alla luce di quanto detto, non si capisce perché autorevoli commentatori ritengano che la democrazia partecipativa sia sostanzialmente priva di contenuto originale. In particolare, di questo avviso è chi ritiene che le istanze di partecipazione siano già riassunte nell’ambito della democrazia rappresentativa7. A noi sembra evidente, invece, che in quest’ultima l’enfasi cada sul “rappresentante” e sui meccanismi attraverso i quali si stabilisce chi sarà il “rappresentante”. Nell’ambito di tale concezione, poi, se è vero che i cittadini sono chiamati ad interessarsi all’operato dei governanti, ciò avviene essenzialmente al fine di consentire loro di esprimere un giudizio complessivo al momento delle elezioni.

Nella democrazia partecipativa, invece, l’enfasi si pone sulla presenza di concreti e specifici istituti di partecipazione (consultazione, iniziativa, ecc.), capaci di coinvolgere significative porzioni di popolazione (non solo elettori, ma anche giovani, stranieri, e ulteriori categorie escluse dal voto) chiamate a fornire il loro contributo per aiutare i “rappresentanti” a decidere al meglio, al di fuori ed indipendentemente dalle elezioni. In questo senso la nozione di democrazia partecipativa assume una evidente specificità.

Una delle novità più interessanti del Trattato di Lisbona consiste nell’aver inserito nel Trattato sull’Unione europea (TUE) un nuovo titolo II dedicato alle “Disposizioni relative ai principi democratici”. Esso consta di quattro articoli: l’art. 9 sull’acquisizione della cittadinanza europea; l’art. 10 sui principi di rappresentatività, di partecipazione e sui partiti politici a livello europeo; l’art. 11 sugli strumenti di partecipazione popolare, tra cui il diritto di iniziativa; e l’art. 12 sul ruolo dei parlamenti nazionali.

Per quanto concerne l’oggetto di questo contributo, un merito delle disposizioni appena ricordate è la speciale attenzione data alla democrazia partecipativa. Ciò si evidenzia in riferimento a due aspetti. Anzitutto l’istituto dell’iniziativa è collocato nell’alveo della democrazia partecipativa, quindi sono introdotti nuovi strumenti di partecipazione popolare.

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Riguardo al primo aspetto, l’art. 11 TUE – il cui par. 4, come accennato, contempla il diritto di iniziativa – riprende letteralmente il testo dell’art. I-47 del poco fortunato Trattato costituzionale. In quest’ultimo, l’art. 47 era espressamente intitolato: “Principio della democrazia partecipativa”. Coerentemente a questa impostazione, la Commissione europea nella Proposta di regolamento sull’iniziativa – definita iniziativa dei cittadini europei e di cui tratteremo ampiamente più avanti – afferma che tale istituto si colloca nell’ambito degli strumenti della democrazia partecipativa8. Questi elementi avvalorano le considerazioni da noi svolte in apertura del precedente paragrafo in merito alla natura del diritto di iniziativa.

Relativamente al secondo aspetto, l’art. 11 prevede quali ulteriori strumenti di partecipazione: la promozione dello scambio di opinioni tra cittadini e associazioni nel quadro delle competenze UE (par. 1); un dialogo aperto tra le istituzioni europee e la società civile (par. 2); il dovere di procedere – rivolto soprattutto alla Commissione – ad ampie consultazioni delle parti interessate al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza dell’azione europea. Infine, un alto livello di coinvolgimento popolare è richiamato nell’art. 10, par. 3, secondo il quale “Ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione”.

La chiarezza e l’ampiezza con le quali il Trattato di Lisbona affronta il tema della democrazia partecipativa sono straordinarie, soprattutto se le si mette a confronto con le costituzioni degli Stati membri. Nessuna di esse, infatti, contiene un corpo normativo paragonabile a quello che il nuovo TUE riserva all’argomento in oggetto. Se alcune Carte contemplano l’istituto dell’iniziativa (Italia, Spagna, Austria, Lituania, Lettonia, Ungheria, Polonia, Portogallo e Slovenia9), ulteriori strumenti di partecipazione sono pressoché assenti. Oppure, quando sono menzionati, risultano decisamente generici, come nel caso dell’art. 3, 2° comma della Costituzione italiana, quando prevede che è compito dello Stato “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che (...) impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Anche se si guarda ai principali atti internazionali in materia di diritti umani, nelle previsioni dedicate ai cosiddetti diritti politici, ci si limita a sancire diritti quali quelli: “di partecipare al governo del proprio paese” (art. 21 Dichiarazione

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universale dei diritti dell’uomo), “di partecipare alla direzione degli affari pubblici, di votare e di essere eletto” (art. 25 Patto sui...

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