Fino a dove si può spingere il diritto comunitario nell’ambito dell’Unione. Un commento alla sentenza ECOWAS alla luce dei precedenti

AuthorEmanuela Pistoia
PositionRicercatore di Diritto internazionale nell’Università degli studi di Teramo
Pages481-499

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@1. Introduzione

1. La sentenza del 20 maggio 2008 sul caso c.d. ECOWAS1 è la quarta2 pronunciata dalla Corte di giustizia su supposte ingerenze di un pilastro intergovernativo nell’ordinamento comunitario in esito all’actio finium regundorum prevista dall’art. 46, lett. f) TUE3. I richiami operati da questa sentenza alle precedenti,Page 482 in particolar modo alle due più articolate (concernenti rispettivamente una decisione-quadro sulla tutela dell’ambiente con strumenti penali, c.d. sentenza Reati ambientali, e una decisione-quadro sull’inquinamento marino causato dalle navi, c.d. sentenza Inquinamento provocato da navi), sono formulati nel senso della continuità4. In effetti, sono più d’uno gli aspetti sotto i quali è possibile ravvisare un’identità di vedute fra le pronunce in gioco. Ad una prima considerazione, tuttavia, la sentenza ECOWAS sembra evidenziare soprattutto discontinuità rispetto alla giurisprudenza pregressa, in particolar modo rispetto alle due sentenze relative a decisioni-quadro. Tali discontinuità riguardano la problematica centrale dei casi sottoposti alla Corte, vale a dire la questione della corretta base giuridica di discipline trasversali rispetto all’ordinamento comunitario e ad un pilastro intergovernativo. La sentenza ECOWAS indica infatti al riguardo un criterio del tutto nuovo che costituisce espressione dell’art. 47 TUE5.

Nel presente scritto si intende ripercorrere i caratteri della disciplina interpiliers oggetto del caso ECOWAS e i principi alla base della declaratoria di illegittimità dell’atto PESC che la conteneva, per operare poi un confronto con la disciplina dedotta in causa nei due precedenti temporalmente più vicini e con i criteri impiegati dalla Corte per negare allora la legittimità delle decisioni-quadro. Il quadro così ricavato fornirà gli strumenti per esaminare l’interpretazione dell’art. 47 seguita dalla Corte di giustizia e per trarre alcune conclusioni circa il ruolo di questa disposizione nell’attuale struttura dell’Unione.

@2. I contenuti della sentenza

2. L’oggetto del ricorso portato dinanzi alla Corte nella causa ECOWAS è costituito da due atti: la decisione 2004/833/PESC del 2 dicembre 2004, e l’azione comune 2002/589/PESC del 12 luglio 2002, cui la prima dava attuazione. La sentenza verte però solo sulla decisione 2004/833/PESC (d’ora innanzi “la decisione”), poiché il suo annullamento ha reso superfluo l’esame delle contestazioni – le stesse lamentate con riferimento alla decisione – relative all’azione comune.

La decisione impugnata disponeva che l’Unione dovesse apportare un contributo finanziario e fornire un’assistenza tecnica all’ECOWAS in relazione aPage 483 due attività: la creazione dell’unità “armi leggere” in seno al Segretariato tecnico di quest’Organizzazione e la trasformazione della moratoria da essa sancita sull’importazione, l’esportazione e la fabbricazione delle armi leggere e di piccolo calibro in una convenzione tra i suoi Stati membri. La Commissione, sostenuta dal Parlamento europeo, ha chiesto l’annullamento della decisione, ritenendo che misure siffatte rientrassero nella politica comunitaria di sviluppo e che per questo motivo la decisione violasse l’art. 47 TUE6. La Corte ha accolto il ricorso, rinvenendo il contrasto con l’art. 47 per l’appunto nel fatto che la decisione trovasse il proprio fondamento giuridico nel titolo V del TUE.

I parametri utilizzati per valutare la correttezza del fondamento giuridico della decisione impugnata sono i medesimi dalla Corte già enunciati nella giurisprudenza pregressa, in particolare nelle due sentenze che hanno portato all’annullamento di decisioni-quadro peraltro in continuità con le precedenti pronunce sulla questione della base giuridica nell’ordinamento comunitario. Si tratta del contenuto e delle finalità delle disposizioni contestate. Secondo la Corte, si è così in presenza di una violazione dell’art. 47 TUE allorché le disposizioni adottate nel quadro di uno dei pilastri c.d. intergovernativi dell’Unione abbiano contenuto e finalità tali da avere in effetti “come oggetto principale l’attuazione di una politica attribuita alla Comunità dal Trattato CE”7. In tale eventualità, le disposizioni in questione devono trovare fondamento in quest’ultimo Trattato.

Nel caso ECOWAS, il contenuto delle disposizioni contestate, vale a dire l’attribuzione di un contributo finanziario e di un’assistenza tecnica, per la Corte era tale da poter rientrare sia nella PESC che nella politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo8.

L’individuazione della base giuridica adeguata dipendeva dunque dalle loro finalità: nelle parole della Corte, l’inquadramento delle misure interessate nel primo o nel secondo pilastro poteva essere valutato “solo alla luce delle finalità che perseguono”.

Queste ultime erano due ed erano ricollegabili l’una (il sostegno allo sviluppo economico e sociale) alla politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo, l’altra (il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale) alla PESC. Di qui l’individuazione, da parte della Corte, di una distinzione nuova: quella tra finalità principali e accessorie, da una parte, e concorrenti, dall’altra. Il suo rilievo per la soluzione del problema della base giuridica di discipline interpiliers è il seguente: l’esistenza di una finalità principale rispetto alle altre riconduce al fondamento normativo corrispondente; se le finalità perseguite risultano sullo stesso piano, si dovranno utilizzare i diversi fondamenti giuridici cui sono collegate. Ciò a meno che una delle finalità concorrenti si inquadri nell’ordinamento comunitario: in questo caso il fondamento giuridico nel TCE prevale sugli altri.

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Nel merito, l’analisi della Corte nella sentenza ECOWAS ha rivelato che il programma di lotta contro la proliferazione delle armi leggere e di piccolo calibro ha una “duplice ottica di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, da un lato, e di tutela delle prospettive di sviluppo, dall’altro”9. Quanto alla decisione impugnata, la Corte ne ha ammesso la riconducibilità a “un’ottica generale di mantenimento della pace e di rafforzamento della sicurezza internazionale”10, sottolineandone però lo “scopo specifico di rafforzare le capacità di un gruppo di Paesi africani in via di sviluppo di lottare contro un fenomeno che costituisce (…) un ostacolo al loro sviluppo sostenibile”11. Per la Corte, dunque, le finalità della decisione impugnata, rientranti rispettivamente nella PESC e nella politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo, erano sullo stesso piano12.

Alla luce di siffatte risultanze, il nuovo criterio per identificare il corretto fondamento giuridico di discipline interpiliers ha agevolmente condotto alla soluzione della causa13: la decisione impugnata avrebbe dovuto essere inquadrata nel Trattato CE e, sulla base dell’art. 47 TUE, è stata pertanto annullata.

  1. Il criterio generale enunciato nella sentenza ECOWAS alla luce delle due precedenti Reati ambientali e Inquinamento provocato da navi: novità o riaffermazione dell’orientamento precedente?

3. Il tratto della sentenza ECOWAS che certamente è nuovo rispetto ai precedenti è l’elaborazione, per l’individuazione dei confini tra i pilastri, di un criterio di tenore generale. La distinzione tra finalità principali e secondarie, da una parte, o concorrenti, dall’altra, si applica infatti ai casi di sovrapposizione al pilastro comunitario sia della PESC che del terzo pilastro, e qualunque siano i contenuti e gli obiettivi degli atti specificamente interessati. Tanto non si può dire dei due precedenti in cui la Corte ha annullato, rispettivamente, le decisioniquadro 2003/80/GAI sulla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale e 2005/667/GAI sul rafforzamento del quadro penale per la repressione dell’inquinamento provocato dalle navi. Nelle due sentenze e in special modo nella seconda, le ragioni a sostegno dell’inquadramento nell’ordinamento comunitario delle discipline contenute nelle decisioni-quadro riguardavano strettamente il confine tra primo e terzo pilastro e anzi, in modo ancor più specifico, il confine tra il pilastro comunitario e la porzione di terzo pilastro relativa al ravvicinamento delle legislazioni penali sostanziali. In tali sentenze, infatti, in seguitoPage 485 all’identificazione della finalità “comunitaria” della decisione-quadro impugnata, il confine suddetto è formulato così: “Se è vero che, in via di principio, la legislazione penale, così come le norme di procedura penale, non rientrano nella competenza della Comunità (…), resta nondimeno il fatto che il legislatore comunitario, allorché l’applicazione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle competenti autorità nazionali costituisce una misura indispensabile di lotta contro danni ambientali gravi, può imporre agli Stati membri l’obbligo di introdurre tali sanzioni per garantire la piena efficacia delle norme che emana in tale ambito”14. Il criterio usato per l’identificazione nel TCEPage 486 della corretta base giuridica per la disciplina collocata nelle decisioni-quadro riguardava dunque le sole norme sulle sanzioni penali da applicarsi per violazioni di norme sostanziali inquadrabili nel pilastro comunitario15. Tale ristretto ambito della giurisprudenza pregressa è ancora più evidente nella sentenza Inquinamento provocato da navi, dove si esclude, peraltro senza addurre motivazioni, che il criterio suddetto operi a favore del Trattato CE riguardo ad alcune specifiche norme della decisione-quadro contestata nel relativo giudizio: quelle sul tipo e il livello delle sanzioni penali applicabili16.

Quanto sopra non significa che l’omogeneità del criterio enunciato nella sentenza ECOWAS rispetto a quello (o quelli, come si dovrà appurare) utilizzato nei due precedenti non sussista. In verità, il confronto non è agevole poiché le due sentenze sulle decisioni-quadro sono state commentate soprattutto alla luce...

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