L'eccezione di sicurezza nazionale e i "defence procurement" nell'Unione europea

AuthorRoberto Baratta
PositionOrdinario di Diritto internazionale nell'Università degli studi di Macerata
Pages75-92

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1. Il carattere peculiare della sicurezza nazionale è riconosciuto a vario titolo nel diritto dell'Unione europea. Per esempio, agli Stati membri è consentito di non applicare la disciplina comunitaria in tema di valutazione di impatto ambientale qualora ne ritengano l'applicazione pregiudizievole per la difesa nazionale1. Inoltre, la Corte di giustizia si è di recente occupata della questione in relazione al Trattato Euratom che pure è sprovvisto di norme riguardanti la sicurezza nazionale. Nel valorizzare la specificità delle attività militari, la Corte ha affermato che "l'assenza nel detto Trattato di qualsiasi deroga che fissi le modalità secondo le quali gli Stati membri sarebbero autorizzati ad invocare ed a proteggere tali interessi essenziali permette di concludere che le attività che rientrano nel settore militare sfuggono all'ambito di applicazione del Trattato"2. La Corte, tuttavia, ha ammesso che in tale contesto "misure appropriate", per proteggere la salute della popolazione e l'ambiente dai pericoli connessi all'utilizzo di energia nucleare "a fini militari", possano essere adottate "sulla base delle disposizioni pertinenti del Trattato CE"3. Nel ragionamento della Corte la Page 76 lacuna normativa del diritto primario è sembrata decisiva per negare l'applicazione del Trattato Euratom. Si è così rovesciato l'approccio dell'Avvocato generale Geelhoed il quale, anche per interpretazione sistematica, aveva invece respinto la tesi che escludeva "di per sé il settore della difesa nucleare dalla sfera di applicazione del Trattato Euratom"4.

Nel Trattato istitutivo della CE, la tutela della sicurezza dello Stato è prevista da una pluralità di clausole derogatorie (articoli 30, 46, 55 e 58), tra le quali una funzione più specifica è svolta dalla clausola di salvaguardia di cui all'art. 296 che permette agli Stati membri di invocare gli "interessi essenziali della sicurezza nazionale" per sottrarsi agli obblighi comunitari sotto un duplice profilo. Anzitutto, per giustificare l'inadempimento di un obbligo di cooperazione con la Commissione che si dà per presupposto: uno Stato può infatti rifiutarsi di fornire informazioni che reputi pregiudizievoli alla propria sicurezza (par. 1, lett. a), la quale - giova sottolinearlo - non è espressamente qualificata in chiave militare. In secondo luogo, riguardo questa volta ai beni "destinati a fini specificamente militari", per giustificare una certa condotta tenuta in violazione di norme comunitarie: uno Stato membro, invero, "può adottare le misure che ritenga necessarie alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza e che si riferiscano alla produzione o al commercio di armi, munizioni o materiale bellico"; ma ciò non gli consente di assumere misure che alterino le condizioni di concorrenza sui beni non destinati specificatamente a scopi militari (par. 1, lett. b).

Per motivo di uniformità - e talora, si osserva, per prevenire abusi - il 15 aprile 1958 il Consiglio definì i beni destinati a scopi "specificamente" militari. L'elenco, su proposta della Commissione, è modificabile all'unanimità (art. 296, par. 2), sebbene ciò non consta essersi mai verificato, probabilmente in ragione del meccanismo di voto. Inizialmente non ne fu reso pubblico il contenuto: una riunione Coreper del 17-19 luglio 1963 stabilì che la decisione continuasse a restare riservata e, nel contempo, attribuì ai governi nazionali il potere di auto- rizzarne l'accesso a coloro che avessero dimostrato un valido interesse5. Successivamente, in seguito ad una interrogazione parlamentare, l'elenco è stato riprodotto nella Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee nel dicembre 20016.

La ricerca di un ragionevole equilibrio tra la protezione della sicurezza nazionale (rectius, degli "interessi essenziali" ad essa connessi) e l'applicazione delle regole del mercato interno - affinché si realizzi un'effettiva concorrenza7 Page 77 - rappresenta l'intima essenza del problema interpretativo posto dall'art. 296. Si tratta di un esercizio cui si sono dedicate - come si sa - la dottrina e la giurisprudenza comunitaria. Recentemente anche la Commissione ha proposto vari spunti interpretativi in argomento con l'adozione, il 7 dicembre 2006, della "Interpretative communication on the application of Article 296 of the Treaty in the field of defence procurement" (COM(2006)779 final)8. La Commissione sembra, in Page 78 sostanza, aver inteso chiarire condizioni e modalità applicative dell'eccezione della sicurezza nazionale in tema di norme comunitarie applicabili agli appalti di forniture e servizi militari: in breve, le condizioni - a suo dire estremamente rigorose - che consentono ad uno Stato membro di invocare la tutela di interessi essenziali in materia di sicurezza.

Con l'approvazione della comunicazione, la Commissione ha chiuso un lungo iter di studio e di consultazioni in primis con gli Stati membri, non tutti forse favorevoli all'iniziativa. Avviate con una comunicazione del 2003, allo scopo di creare un mercato europeo delle attrezzature militari (European Defence Equipment Market), e proseguite con un Libro verde sui defence procurement del 20049, le consultazioni avrebbero confermato la convinzione iniziale secondo cui il quadro normativo comunitario "is not functioning properly"10. La Commissione ha pertanto voluto fornire alle amministrazioni nazionali una serie di linee guida su limiti e modalità di invocazione dell'eccezione di sicurezza nazionale11 e preannunciato, per il futuro, a "possibile procurement directive for military equipment to which Article 296 TEC does not apply". La misura sarà probabilmente ispirata alla direttiva 2004/18/CE, ma assai più flessibile nei contenuti al fine di apprestare una disciplina idonea a regolare gli appalti della difesa in cui, pur non essendo in gioco gli interessi essenziali della sicurezza nazionale, sussistano esigenze di segretezza o di particolari misure di sicurezza12. La comunicazione dovrebbe quindi considerarsi un primo passo verso una normativa comunitaria vincolante che regoli l'appalto pubblico di beni nel settore della Page 79 difesa per i quali non è possibile invocare l'eccezione di sicurezza nazionale. Dovrebbe quindi trattarsi, con una certa approssimazione, di beni e di servizi "non 296", ossia non riconducibili alla lista del 1958 o rectius, più in generale, come si vedrà, non strumentali alla difesa nazionale13.

2. La comunicazione si riferisce quindi all'acquisto da parte degli Stati membri di "beni 296" nel settore della difesa, concerne i soli appalti intra-comunitari14ed è probabilmente destinata ad influire, seppure in modo indiretto, sull'applicazione della direttiva 2004/18/CE contribuendo a definirne a contrariis la sfera di applicazione15.

Come accennato, il 15 aprile 1958 il Consiglio elencò i beni destinati a scopi "specificamente" militari al fine di individuare quelli cui è in principio applica- bile l'eccezione di sicurezza nazionale di cui all'art. 296, par. 1, lett. b). Ê presumibile che, nella logica originaria, l'inclusione nella lista di un certo bene equivalesse ad una sorta di presunzione iuris et de iure di per sé esclusiva dell'applicazione della normativa comunitaria. La genericità della lista, sottolineata peraltro dalla Commissione, ne potrebbe consentire l'applicazione esten- siva per interpretazione. Risulterebbe così compensata la sua non attualità (non essendo stata aggiornata) ed attenuato il rischio di impedire l'invocazione dell'eccezione di sicurezza nazionale riguardo a beni strategicamente necessari alla protezione di interessi essenziali alla difesa, ma frutto delle più recenti ricerche e innovazioni tecnologiche (si pensi, a titolo esemplificativo, a software e apparecchiature per l'addestramento); si tratta, in breve, di beni non inclusi nella lista, né ad essa immediatamente riconducibili. Sarebbe inoltre difficile impedire ad uno Stato di avvalersi dell'eccezione di sicurezza nazionale in presenza di materiale, in uso alle forze armate o alle forze adibite alla sicurezza del territorio statale, che sia strumentale alla protezione di interessi essenziali di sicurezza nazionale. Sua genericità a parte, considerare la lista un elenco tassativo indicante i beni funzionali alla protezione di interessi essenziali alla sicurezza di uno Stato finirebbe per restringerne le potenzialità applicative, le quali dipenderebbero dall'unanimità degli Stati ex art. 296, par. 2 e quindi dal veto di uno di essi. L'interpretazione sistematica delle due disposizioni indurrebbe piuttosto a pensare Page 80 che l'esclusione di un bene dalla lista non sia elemento decisivo e, per contro, che l'inserimento di un bene non esima dall'esigenza di osservare i presupposti applicativi dell'eccezione di sicurezza nazionale, incluso l'obbligo di non "alterare le condizioni di concorrenza nel mercato comune" riguardo ai beni non specificamente militari. Si potrebbe invero pensare che non sempre (e comunque non necessariamente) l'acquisto, la progettazione e la produzione di un'arma leggera e delle relative munizioni in dotazione all'esercito siano funzionali alla protezione di interessi essenziali alla sicurezza nazionale. In definitiva, se non è sempre agevole stabilire a priori con certezza tutti i beni militari cui è applicabile l'eccezione di cui all'art. 296, non sembra irragionevole sostenere l'esigenza di interpretare la normativa in esame in modo dinamico, funzionalmente cioè alla protezione della sicurezza nazionale, individuando dei meccanismi di contemperamento con gli obblighi imposti dal diritto primario (su cui ci si soffermerà più avanti).

In questa logica dovrebbe esaminarsi l'affermazione, contenuta nella comunicazione, secondo cui è normalmente possibile distinguere gli appalti non militari da quelli militari, i quali ultimi sarebbero legati alla lista dei beni decisa dal Consiglio nel 1958: solo l'appalto di un bene sviluppato e prodotto per specifici scopi militari...

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