Carl Schmitt e l’Europa. Attualità e memoria

AuthorRiccardo Cavallo
PositionAssegnista di ricerca in Filosofia teoretica nell’Università degli studi di Catania
Pages361-394

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Con quale diritto gli uomini di oggi scrivono una costituzione per gli uomini di domani? (C. Schmitt)

@1. Introduzione

1. Perché è importante rileggere oggi Carl Schmitt? La sua riflessione è ancora utile per comprendere il dibattito giuridico-filosofico europeo?

A partire da questi interrogativi cercheremo di spiegare come tale appassionato dibattito – occasione proficua per illustri giuristi, filosofi e politologi per potersi, dopo decenni di silenzio, nuovamente confrontare e interrogare non solo sul problema della forma politica dell’Unione europea ma sul significato stesso di “costituzione” e il senso di “sfida” che tale termine sembra evocare1 – sia il luogo privilegiato per saggiare la fecondità di alcune categorie schmittiane, quali popolo e potere costituente. Tali concetti, infatti, risultano fondamentali per ricostruire non solo i tratti più peculiari della querelle sulla Costituzione europea, ma anche la genealogia stessa dell’Europa e le inevitabili aporie che costellano il Moderno2. Da questo punto di vista, l’importanza del pensiero di Schmitt risiede nel suo essere una sorta di grande narrazione3 tragica della storia dell’Europa moderna a partire dalle sue origini, passando per la sua fase di massimo splendore fino al suo inesorabile tramonto4. Non essendo possibile analiz-Page 362zare compiutamente le suddette problematiche ci soffermeremo qui sull’attualità5 della riflessione schmittiana (ma lo stesso potrebbe dirsi di altri autorevoli giuristi weimariani)6, la quale viene drammaticamente alla luce con l’affermarsi dell’ideologia europea che comporta la reductio dell’Europa al solo aspetto giuridico-formale, ovvero una totale giuridicizzazione del politico7 e, al contempo, una eccessiva enfasi sui diritti8.

Tale ideologia (efficacemente riassunta nella formula massimalismo giuridico/minimalismo politico)9 ha trovato ulteriore conferma soprattutto in seguito all’approvazione della Carta dei diritti fondamentali e alla solenne ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa che, malgrado l’entusiasmo con cui sono state accolte, hanno lasciato ancora senza alcuna risposta la domanda fondamentale racchiusa nelle perentorie affermazioni di Mario Tronti il quale si chiede: “dov’è un popolo europeo? E si può fare Costituzione senza popolo? (…) È un dramma che non ci sia, né costituita né costituente, un’Europa politica capace di esercitare egemonia culturale dentro gli attuali equilibri/squilibri del capitalismo-mondo. Non saranno le fanfare che accompagneranno la firma del Trattato costituzionale a offrire per il dramma un lieto fine (...). Kultur è Verfassung non semplicemente Konstitution. Dà forma politica al popolo, e dunque fonda un popolo. Non è solo Carta scritta di principi e ordinamenti. È un’idea che si fa storia e storia che diventa un’idea”10.

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La situazione non sembra affatto mutata11 anche dopo la firma del Trattato di Lisbona12 del 13 dicembre 2007 che aveva il precipuo scopo di porre fine alla lunga “pausa di riflessione” seguita ai no francese ed olandese al Trattato-Costituzione. Ma tale Trattato riesce veramente a risolvere i nodi problematici che assillano ab origine il processo di costruzione dell’Europa, oppure si tratta di “una pantomima per liberarsi degli elettori francesi ed olandesi”?13. Se la reale intentio sottesa all’approvazione del Trattato di Lisbona era quella di uscire dalla crisi, ci riesce solo apparentemente. Il tentativo, neppure troppo dissimulato, di voler porre un freno (katéchon) alla deriva “euro-scettica” si traduce in una serie di espedienti giuridici creati ad hoc per scongiurare il “pericolo” di una nuova consultazione popolare che aveva già bloccato l’entrata in vigore del Trattato-Costituzione. In tal senso, le élites europee hanno cercato di neutralizzare la volontà popolare riducendo il popolo a mero soggetto passivo che deve solo ratificare decisioni imposte dall’alto oppure il cui parere acquista autorità solo se in sintonia con quanto stabilito dai governanti.

Non deve sorprendere pertanto che alcuni degli interrogativi, quali ad esempio se sia possibile concepire una Costituzione europea senza popolo14 o, ancora, se sia ipotizzabile uno stesso popolo europeo15 posti oltre un decennio fa dallaPage 364 sentenza Maastricht16, nonostante le critiche ricevute17, suonino ancora attuali ponendo l’attenzione su nodi problematici tutt’oggi ancora irrisolti18.

Com’è noto, il Tribunale Federale tedesco il 12 ottobre 1993 con sentenza interpretativa di rigetto19 si è pronunciato su due distinti ricorsi: il primo di “area progressista” sottolineava la violazione, derivante dalla stipulazione del Trattato di Maastricht dei diritti fondamentali tutelati dal Grundgesetz; il secondo d’ispirazione “conservatrice”, invece, rilevava la presunta perdita di sovranità del popolo tedesco. In realtà, la disamina di tali ricorsi da parte della Corte è stata anche una sorta di pretesto per affrontare una serie di problematiche piuttosto articolate e complesse sia sotto il profilo giuridico tout court che politico.

La sentenza Maastricht ha rappresentato, dunque, una delle tappe più significative del processo di integrazione europea oltre che per i suoi contenuti, seppur non del tutto condivisibili, per il percorso indicato, vale a dire il “coinvolgimento delle istituzioni nazionali nella vita e negli sviluppi dell’ordinamento comunitario”20.

Al di là di tali aspetti, tale discussa21 sentenza assume qui un rilievo poiché nelle sue pieghe è rintracciabile il concetto di omogeneità politico-sociale riconducibile, secondo i suoi estensori, alla riflessione del giurista Herman Heller22 uno dei principali esponenti dell’Allgemeine Staatslehre weimariana. Com’è noto, però il concetto di omogeneità politico-sociale è stato elaborato soprattutto da Carl Schmitt, il quale sembrerebbe privilegiarne il carattere sostanziale, a differenza di Heller che invece mette in risalto più il suo carattere simbolico23. Allora perché iPage 365 giudici costituzionali tedeschi hanno operato una siffatta scelta? Probabilmente il loro era un tentativo di contemperare orientamenti dottrinali antitetici, come dimostra, del resto, l’impianto armonizzante di tutta la decisione. La Corte Costituzionale avrebbe probabilmente fatto meglio a riferirsi al concetto schmittiano di omogeneità24 piuttosto che a quello helleriano, non solo per le intrinseche differenze tra le loro teorizzazioni ma anche per la diversità che si evince dallo stesso raffronto tra la sentenza e il testo helleriano ivi richiamato, in particolare, laddove i giudici osservano che sia necessario operare un passaggio di legittimazione democratica dai parlamenti delle singole nazioni all’Unione europea; di ciò è difficile trovare un chiaro riscontro nei testi di Heller25.

Ma prima di addentrarci nei meandri della riflessione schmittiana – per capire se il concetto di omogeneità (del popolo) possa ridursi semplicemente alla sola dimensione sostanzialistica, oppure se si tratti di un concetto che nella sua evoluzione storica venga declinato in maniera molto più complessa e articolata – è utile ripercorrere, sia pur sinteticamente, il dibattito giuridico-filosofico26 sviluppatosi da oltre un decennio a partire dal seguente interrogativo: il popolo preesiste alla Costituzione o è un prodotto della stessa?

@2. Una Costituzione senza popolo?

2. Tale dibattito può essere riassunto, al di là delle diverse sfumature, in due posizioni: la prima “euro-scettica” – il cui maggiore esponente è Dieter Grimm – rielabora il concetto di popolo depurandolo dai suoi elementi etnici (il popolo fonda la Costituzione) e si basa sul primato della politica, inscrivendosi nella tradizione giuridico-filosofico tedesca27; la seconda “euro-ottimista” – teorizzata soprattutto da Jürgen Habermas – dissolve il concetto di Volk e afferma il primato del diritto (la Costituzione produce il popolo) richiamandosi all’opposta tradizione illuministica francese28.

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In un breve ma denso saggio29, intitolato Braucht Europa eine Verfassung? Dieter Grimm espone le sue riflessioni critiche sul processo di integrazione europea, non prima di aver svolto un documentato excursus di carattere storico-giuridico a partire dagli albori delle moderne Costituzioni, evidenziandone la rottura epocale rispetto all’immaginario pre-moderno. Ciò rappresenta sia l’atto di nascita dello Stato moderno che del diritto positivo, cioè del diritto storico, contingente, modificabile in qualsiasi momento e fondato sulla volontà umana anziché sulla verità divina. Fatte queste premesse, Grimm volge lo sguardo al dibattito presente, passando in rassegna tutti gli ostacoli che si frappongono al processo di integrazione europea. Il primo tra tutti è l’impossibilità di equiparare i Trattati ad una “Costituzione” nel senso tradizionale del termine, come sono soliti fare numerosi giuristi soprattutto sulla scorta del ruolo propulsivo svolto dalla Corte di giustizia europea. Al riguardo, le parole del costituzionalista tedesco non danno adito a dubbi: “le costituzioni danno fondamento giuridico agli Stati. Le istituzioni internazionali hanno invece il loro fondamento giuridico nei trattati (Verträge) di diritto internazionale. O almeno così si diceva in passato”30.

Un ulteriore impedimento è costituito dalla mancanza dell’elemento linguistico31, cioè dall’assenza di un logos32 comune, la cui inesistenza non farebbe altro che acuire a livello comunitario la secessione tra le élites33 (colte e capaci di parlare una lingua comune) e il popolo (incolto e in grado di interloquire solo nella lingua madre). Ma, al di là di questi aspetti formali, sicuramente importanti, ciò che secondo Grimm sembra costituire il reale, insormontabile ostacolo alla creazione di una vera Costituzione per l’Europa, è l’assenza di un demos comune34. Infatti, una Costituzione per definirsi tale, secondo il giurista tedesco,Page 367 deve derivare da un atto del popolo direttamente...

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