La fase ascendente del processo decisionale dell’Unione europea e il ruolo dei parlamenti nazionali

AuthorMarcello Di Filippo
PositionAssociato di Diritto internazionale nell’Università degli studi di Pisa
Pages543-569

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@1. Considerazioni introduttive sulle caratteristiche del processo decisionale dell’Unione europea

1. A partire dalla Dichiarazione di Laeken1, il dibattito sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea ha conosciuto un rinnovato vigore sul piano dottrinale e politico. La Convenzione incaricata di redigere il testo preliminare di quello che sarebbe stato poi il Trattato costituzionale istituì un gruppo apposito2, mentre il testo definitivo di detto Trattato, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, contiene varie disposizioni e un Protocollo dedicati ai parlamenti nazionali. Le novità ivi ipotizzate saranno rifuse, con qualche ritocco, nel nuovo Trattato di riforma, destinato a prendere il posto del Trattato costituzionale, ormai accantonato, giusto l’esito del Consiglio europeo di Bruxelles del 21 e 22 giugno 20073. In questa sede, peraltro, non si procederà ad una disamina dellePage 544 soluzioni elaborate nell’ambito del cantiere istituzionale – peraltro già discusse in dottrina4 – preferendo rivolgere l’attenzione alle disposizioni e ai meccanismi, attualmente vigenti a livello europeo5, che sono finalizzati a coinvolgere i parlamenti nazionali nel circuito decisionale dell’Unione (e in particolare nella c.d. fase ascendente, cioè la fase di formazione degli atti e degli orientamenti politici). Tale approfondimento consentirà di svolgere un esame critico delle novità introdotte nel nostro ordinamento con la legge n. 11/20056 – che ha integralmente sostituito la legge n. 86/1989 (c.d. legge La Pergola) e ha dedicato alcune disposizioni innovative al ruolo del Parlamento nella fase ascendente del processo decisionale europeo – e di formulare alcune valutazioni con riguardo alla più recente prassi applicativa italiana.

L’approccio qui prescelto, consistente nel verificare dapprima i meccanismi europei vigenti e successivamente la reazione del nostro ordinamento, muove dalla convinzione che il quadro europeo, pur non brillando per la centralità degli organi parlamentari, contenga già oggi alcuni elementi di flessibilità che, se opportunamente sfruttati, possono consentire al parlamento nazionale di trasformarsi da mero destinatario passivo di scelte maturate altrove a soggetto attivo, insieme ad altri, nel processo di elaborazione degli atti e degli orientamenti più significativi dell’Unione europea.

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Preliminarmente, appare utile ricordare alcune caratteristiche essenziali del fenomeno dell’integrazione europea e individuare gli elementi critici dal punto di vista della democraticità dei relativi procedimenti istituzionali.

In primo luogo, l’Unione europea è dotata di significativi poteri decisionali (nel senso ampio del termine) che trovano espressione in atti che, una volta adottati, si impongono all’insieme degli Stati membri, parlamenti nazionali compresi. Per quanto riguarda, in particolare, gli atti di natura vincolante, le disposizioni relative al processo decisionale conferiscono solitamente all’organo rappresentativo dei Governi (il Consiglio) un ruolo determinante nell’adozione, mentre il ruolo di iniziativa compete alla Commissione europea, organo non eletto dai cittadini né designato direttamente dal Parlamento europeo7, o ai singoli governi8. Quanto agli organi di natura parlamentare, si ricorderà che i Trattati istitutivi avevano relegato ad un ruolo marginale l’organo rappresentativo dei popoli (il Parlamento europeo), non riconoscendo alcun rilievo ai parlamenti nazionali. Le numerose modifiche intervenute a seguito dell’Atto unico europeo, del Trattato sull’Unione europea (in seguito, TUE) e dei Trattati di Amsterdam e di Nizza hanno incrementato il ruolo del Parlamento europeo (grazie soprattutto alle procedure di cooperazione, di parere conforme e di codecisione) per ciò che concerne l’adozione degli atti in numerose materie regolate dal TCE: il quadro complessivo risulta tuttavia ancora fortemente sbilanciato a favore del Consiglio, sia in significative materie del primo pilastro9, sia, inPage 546 maniera più evidente e generalizzata, nell’ambito del secondo e terzo pilastro10. Con riguardo alla determinazione dell’indirizzo politico, è il Consiglio europeo – organo espressione degli Stati membri (in sostanza, dei rispettivi governi) e, seppur in misura ridotta, della Commissione11 – che definisce gli orientamenti generali dell’Unione e traccia le linee essenziali relative al suo sviluppo (incluse questioni “costituzionali” quali la revisione dei Trattati istitutivi e l’adesione di nuovi Stati)12.

L’impostazione del processo decisionale europeo comporta pertanto che gli organi intergovernativi rivestano tuttora un ruolo di primario rilievo e che la posizione dei singoli Stati all’interno del Consiglio e del Consiglio europeo risulti espressa da un esponente di un organo (l’esecutivo e/o il Capo dello Stato nelle forme di governo di impostazione presidenziale) che sul piano interno non è normalmente titolare di una competenza esclusiva con riguardo alla materia oggetto dell’atto in corso di elaborazione. Difatti, sul piano interno, le competenze normative appartengono in via principale all’organo parlamentare, mentre quelle di indirizzo politico sono normalmente condivise tra Governo e Parlamento, o tra Capo dello Stato e Parlamento. Quand’anche il diritto costituzionale statale preveda una competenza normativa in capo all’esecutivo, questaPage 547 risulta pur sempre condizionabile dall’attività legislativa e di indirizzo politico del Parlamento.

Si pongono pertanto due questioni. In primo luogo si può parlare di deficit democratico dell’Unione europea, nelle situazioni in cui il Parlamento europeo non giochi un ruolo decisivo, in quanto non risulta applicabile la procedura di codecisione o del parere conforme. Ciò avviene innanzitutto per la determinazione, in termini generali, dell’indirizzo politico dell’Unione13. Quanto all’adozione di atti vincolanti per gli Stati, pare opportuno precisare che un deficit democratico non è ravvisabile per il solo fatto che il Parlamento europeo fornisca un semplice parere non vincolante14 o addirittura non venga consultato15, dovendosi altresì appurare che in quella materia e per quella tipologia di atto sarebbero normalmente competenti sul piano interno i parlamenti nazionali16.

In secondo luogo, si profila un problema di rappresentatività della posizione espressa dal singolo esponente governativo in seno al Consiglio o al Consiglio europeo: dal punto di vista dell’ordinamento interno, l’assetto configurato dai Trattati istitutivi rischia di alterare in profondità i tratti caratteristici delle strutture costituzionali statali – soprattutto di quelle ispirate al modello della democrazia parlamentare17 – ove non vengano predisposti accorgimenti idonei ad assicurare che la suddetta posizione recepisca gli orientamenti espressi dalle assemblee parlamentari o sia comunque da queste conosciuta e condivisa. Con riguardo a questo profilo, piuttosto che l’espressione, talvolta abusata, di “deficit democratico”, sembra più appropriata quella di “deficit rappresentativo”18; inoltre, l’incidenza di questo fenomeno si atteggia variamente in funzione dell’as-Page 548setto della forma di governo del singolo Stato19, in proporzione maggiore di quanto non accada per il deficit democratico propriamente detto.

Tali problematiche risultano peraltro acuite dal progressivo ampliamento da parte delle istituzioni europee delle proprie competenze (operato soprattutto grazie a basi giuridiche c.d. “orizzontali”20 e alla clausola di chiusura sui c.d. poteri impliciti21), tanto da sollevare dubbi circa l’effettiva rilevanza del principio di attribuzione all’interno dell’UE e da indurre alcune corti costituzionali statali22 a sollevare perplessità circa la conformità alla rispettiva legge fondamentale della sottrazione “strisciante” di competenze a scapito (soprattutto) del parlamento nazionale e ad attribuire rilievo primario ad una rigorosa applicazione dei principi che regolano l’attribuzione e l’esercizio delle competenze europee e che trovano formale riconoscimento nell’art. 5 TCE23.

A fronte delle tematiche ora delineate, è tempo di approfondire lo stato dell’arte a livello europeo con riguardo ai margini di intervento dei parlamenti nazionali sui rispettivi governi, per poi passare a studiare le soluzioni elaborate nell’ordinamento e nella prassi parlamentare italiana.

@2. Le soluzioni adottate a livello europeo per agevolare il controllo dei parlamenti nazionali sui rispettivi governi nell’ambito del processo decisionale europeo

2. Come anticipato, i meccanismi di elaborazione di atti normativi e dell’indirizzo politico dell’UE privilegiano gli esecutivi nazionali. Non è un caso, pertanto, che in vari Stati membri siano state elaborate procedure apposite, le quali mirano a realizzare con varie modalità un controllo del Parlamento sulle posizioni assunte dal rappresentante statale in seno al Consiglio24. La soluzione più comune consiste nell’istituzione di organi parlamentari permanenti (solita-Page 549mente, commissioni parlamentari) specializzati in affari comunitari o europei, che operano un controllo di massima sugli sviluppi del processo di integrazione e interagiscono sia col Governo che con le commissioni parlamentari specializzate per materia: le regole e la prassi applicativa variano da Stato a Stato, in ragione delle peculiarità costituzionali, politiche e culturali25.

La diffusa convinzione circa l’utilità di un monitoraggio parlamentare sull’attività normativa delle istituzioni europee e sul ruolo dei rispettivi governi ha inoltre indotto a sperimentare forme di cooperazione interparlamentare di diversa natura: tra queste, merita particolare menzione la Conferenza degli organi specializzati negli affari comunitari ed europei dei Parlamenti dell’Unione europea (d’ora in avanti, COSAC), riunitasi per la prima volta a Parigi nel novembre 1989 e gradualmente affermatasi come la forma più stabile e credibile di raccordo tra i...

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