Il rapporto tra diritto comunitario e giudicato nazionale: meccanismi di balance e meccanismi di by-pass

AuthorEugenio Sina
PositionDottore in Giurisprudenza
Pages255-265

Page 255

1. Le fonti cui hanno fatto riferimento i giudici della Corte di giustizia nell'elaborazione dei principi fondamentali dell'ordinamento comunitario sono diverse. Talora si sono ispirati ai Trattati. Si pensi all'art. 10 TCE; tale articolo ha permesso ai giudici di prendere posizione in molteplici pronunce e di elabo- rare rilevanti principi, leale cooperazione e primato del diritto comunitario, in primis1. Più spesso, tuttavia, la Corte si è avvalsa di fonti estranee all'ordinamento comunitario, come gli ordinamenti giuridici degli Stati membri.

La progressiva estensione dell'area di pertinenza dei principi dell'ordinamento comunitario ha finito per coinvolgere anche il rapporto tra il diritto dell'Unione europea ed una delle caratteristiche fondamentali dello Stato di diritto: il giudicato.

Il "giudicato" o, più precisamente, l'"autorità del giudicato", è una figura di risalente origine conosciuta da buona parte degli ordinamenti giuridici contemporanei2. Ancorché vi siano delle potenziali insidie sul piano semantico3, con esso la più autorevole dottrina, precisando il celebre adagio di Modestino "res iudicata dicitur quae finem controversiarum pronuntiatione iudicis accipit4", intende "l'affermazione indiscutibile e obbligatoria per i giudici di tutti i futuri Page 255 giudizi, di una volontà concreta di legge, che riconosce o disconosce un bene della vita a una delle parti"5.

Nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell'ultimo decennio il rapporto tra diritto dell'Unione europea e giudicato nazionale è stato oggetto di un'approfondita analisi che ha comportato l'emanazione di alcune pronunce, talora accolte con criticità dai commentatori, le quali, riguardate a posteriori, mostrano l'inesattezza delle chiavi di lettura apparentemente più semplici e richiedono di essere interpretate armonicamente.

2. Il punto di partenza dell'analisi di tale rapporto è la sentenza Eco Swiss del 1999. La Corte si esprime sulla questione pregiudiziale sollevata da un giudice olandese che domanda quali siano le conseguenze di una infrazione del diritto comunitario (segnatamente dell'art. 81 TCE) contenuta in un lodo arbitrale dive- nuto definitivo (ossia non impugnato nel termine di legge)6. L'art. 1059 del codice di procedura civile dei Paesi Bassi dispone che di regola il lodo arbitrale acquista autorità di cosa giudicata nel momento in cui viene pronunciato. Contro di esso è ammessa impugnazione per nullità entro tre mesi e tra le cause di nullità è ricompresa la violazione di legge. La Corte, su questi presupposti, esclude che il giudice nazionale abbia l'obbligo di disapplicare le citate norme interne di diritto processuale anche laddove ciò sia necessario, nel procedimento d'impugnazione per nullità contro un lodo arbitrale successivo, per esaminare se un contratto (dichiarato valido dal lodo passato in giudicato) sia tuttavia nullo poiché in contrasto con l'art. 81 TCE. Secondo la Corte, la previsione di termini perentori per esercitare l'azione di nullità si giustifica "in virtù dei principi che stanno alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali il principio della certezza del diritto e quello del rispetto della cosa giudicata che ne costituisce l'espressione".

Se non ci si limita al dispositivo ma si segue l'iter logico della Corte, la sentenza Eco Swiss non sembra avere una portata rivoluzionaria. In particolare il riferimento ai principi della certezza del diritto e del rispetto della cosa giudicata come principi che stanno alla base del sistema giurisdizionale nazionale sembrerebbe Page 257 suggerire un'interpretazione del dispositivo quale mera applicazione dell'autonomia processuale piuttosto che individuazione di un nuovo principio dell'ordinamento comunitario.

La nozione di autonomia processuale e procedurale degli Stati membri è stata introdotta da una giurisprudenza costante della Corte di giustizia, molto tempo prima della sentenza Eco Swiss. In virtù di tale principio "in mancanza di una specifica disciplina comunitaria è l'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta, modalità che non possono, beninteso, essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe azioni del sistema processuale nazionale"7. In sostanza, le norme e gli istituti in ambito processuale e procedimentale non riguardano il diritto comunitario, a meno che: (a) le politiche comunitarie non richiedano particolari adattamenti, (b) tali norme o istituti in qualche modo non ostino alla corretta e uniforme applicazione del diritto europeo ovvero (c) non sia comunque ad esso riservato un trattamento meno favorevole rispetto al diritto interno (principio di equivalenza).

A ciò si aggiunga che relativamente alla durata dei termini di prescrizione e di decadenza delle situazioni giuridiche soggettive in ambito procedurale la Corte di giustizia esige il rispetto del c.d. principio di effettività. Tale necessità è stata affermata tenacemente da un indirizzo giurisprudenziale che ha la sentenza Rewe come caposaldo8. Il principio di effettività impone che "le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario"9.

In effetti nella sentenza Eco Swiss il giudice comunitario dimostra di aver tenuto in considerazione il principio di autonomia processuale quando afferma che il termine di tre mesi previsto dal citato art. 1059 "non sembra troppo breve in rapporto a quelli fissati negli ordinamenti giuridici degli altri Stati membri" e Page 258 "non è tale da rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario".

3. Trascorsi quattro anni, la sentenza la Eco Swiss è stata richiamata dalla Corte nella sentenza Köbler10 in questi termini: "occorre rilevare che l'importanza del principio dell'autorità della cosa definitivamente giudicata non può essere contestata. Infatti, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione". Tale affermazione non pare meno ermetica delle precedenti. Non è dato sapere, infatti, se i principi menzionati appartengano all'ordinamento comunitario o agli ordinamenti nazionali, ovvero ad entrambi. Tuttavia la Corte precisa che "il ricorrente in un'azione per responsabilità contro lo Stato ottiene, in caso di successo, la condanna di quest'ultimo a risarcire il danno subito, ma non necessariamente che sia rimessa in discussione l'autorità della cosa definitivamente giudicata della decisione giurisdizionale che ha causato il danno" (corsivo aggiunto). La locuzione "non necessariamente" dimostra che la Corte ha preso in considerazione ed avallato l'ipotesi di un ordinamento che disconosca l'intangibilità del giudicato in caso di errore del giudice. Cosa che non potrebbe accadere se l'intangibilità del giudicato nazionale fosse un principio dell'ordinamento comunitario.

Con la sentenza Köbler per la prima volta a livello comunitario viene contemplata la responsabilità dello Stato derivante da atti giudiziari, dunque si estende quel celebre filone giurisprudenziale stratificatosi con le celebri sentenze Van Gend & Loos del 1963, Francovich del 1991, e Brasserie du Pêcheur - Factortame del 199611.

Il fatto che venga applicato il principio secondo cui gli Stati membri sono obbligati al risarcimento dei danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario loro imputabili anche all'ipotesi in cui tale violazione derivi da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, può far pensare ad un passo in avanti nel progressivo abbattimento del concetto di intangibilità del giudicato nazionale. Tale idea è corretta solo in parte. Certamente non si può negare che accordare un risarcimento a chi sia stato vittima di un errore giudiziario contribuisca a destituire di fondamento la concezione del giudicato quale entità intangibile. In tal modo si Page 259 dimostra come il diritto riconosca e ammetta l'errore del giudice e si esclude il dogma dell'onnipotenza della sua cognizione riportando il problema ad una logica di semplice opportunità, di mera ponderazione di principi contrastanti. Il risultato è che l'esigenza di certezza del diritto e di stabilità nei rapporti giuridici impedisce di attribuire una "tutela reale" al cittadino bensì solo una "tutela obbligatoria". Tuttavia la...

To continue reading

Request your trial

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT