Giurisdizione comunitaria e accordi misti: dal criterio della competenza alla leale cooperazione

AuthorFrancesca Ippolito
PositionRicercatore di Diritto dell'Unione europea nell'Università degli studi di Cagliari
Pages657-680

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1. Nell'ambito delle relazioni esterne della Comunità, accanto all'ipotesi in cui sia essa sola a concludere un accordo internazionale, si è sviluppata una prassi (numerosa) in cui ad essere parti dell'accordo siano anche uno o più Stati membri1. Il riferimento in termini di "prassi" alla negoziazione e conclusione di accordi internazionali nella forma mista si deve alla mancanza nella versione originaria del Trattato CE di una disposizione analoga a quella invece contenuta nel Trattato CEEA, che all'art. 102 espressamente prevede che un accordo con un Paese terzo di cui siano parte, oltre alla Comunità, uno o più Stati membri, entra in vigore solo dopo che gli Stati membri hanno notificato l'avvenuto completamento delle formalità previste dal loro ordinamento, pur tacendo sui casi in cui un accordo misto sia necessario o possibile. Solo con la revisione dei Trattati operata dalla Conferenza intergovernativa di Nizza si è avuto il primo riconoscimento formale del fenomeno degli accordi misti nell'ambito CE2, benché la Page 658 formulazione dell'art. 300 TCE, nel dettare le procedure per la negoziazione e conclusione degli accordi internazionali della Comunità, continui a ignorare la forma mista. Ê dunque alla giurisprudenza della Corte di giustizia che occorre riferirsi per chiarire in quali casi la partecipazione degli Stati membri all'accordo sia da considerare legittima. A titolo esemplificativo, basti ricordare come la conclusione in forma mista di accordi internazionali sia stata ammessa: qualora a richiederlo siano convenzioni internazionali anteriori al Trattato stesso di cui gli Stati membri erano parti contraenti3; ovvero le previsioni inerenti il diritto di voto; ma anche qualora, in virtù del regime finanziario dell'accordo in questione, gli oneri finanziari siano imputati direttamente ai bilanci degli Stati membri e non invece al bilancio comunitario4; o se uno o più Stati devono intervenire in rappresentanza di territori dipendenti non facenti parte della Comunità. L'ipotesi in cui, tuttavia, più comunemente, si addiviene alla conclusione dell'accordo in forma mista è quella in cui il contenuto della convenzione ricada non solo nell'ambito di materie di competenza della Comunità, ma anche di quelle degli Stati membri5. Proprio la natura non solo esclusiva, ma anche (e per lo più!) concorrente che di volta in volta connota la competenza esercitata dalla Comunità sul piano esterno determina alcuni problemi quanto alla responsabilità internazionale dell'organizzazione (e degli Stati), da un lato, ed alla sussistenza di una giurisdizione della Corte di giustizia rispetto alle previsioni dell'accordo a fini interpretativi, come applicativi, delle stesse, dall'altro. Non costituiranno oggetto della presente disamina la questione dell'esecuzione Page 659 dell'accordo e della conseguente responsabilità, già ampiamente dibattuto in dottrina6; quanto piuttosto le difficoltà in ordine al riconoscimento di una giurisdizione comunitaria riguardo alle previsioni convenzionali. A questo proposito giova rilevare come esse si presentino alquanto circoscritte laddove i settori regolati dall'accordo misto rientrano, da un lato, nelle materie di competenza esclusiva della Comunità e, dall'altro, in quelle riservate agli Stati membri7. Configurandosi, infatti, gli obblighi e i doveri discendenti dall'accordo in capo alla Comunità e agli Stati membri, quali agevolmente divisibili sulla base di rispettive (distinte) sfere di competenza (che si presenta in entrambi i casi con natura esclusiva), la sussistenza ed ampiezza della giurisdizione interpretativa della Corte di giustizia sulle previsioni dell'accordo sarà riscontrabile rispetto a Page 660 tutte le previsioni che concernono settori che ricadono nell'ambito di competenza della Comunità8.

Al contrario, nel caso in cui le competenze della Comunità coprano l'intero ambito di materie che l'accordo intende disciplinare, ma presentino una natura concorrente in tutto9, o in parte alternata con quella esclusiva10, non è altrettanto pacifico se la giurisdizione interpretativa della Corte di giustizia sussista solo con riferimento alle previsioni dell'accordo concluse nell'ambito dei poteri esclusivi della Comunità, od invece si estenda altresì a quelle che sono espressione di una competenza condivisa con gli Stati membri, non esercitata dalla Comunità sul piano interno (neppure attraverso prescrizioni minime), ma anche solo su quello esterno, ad esempio, attraverso la stessa conclusione dell'accordo in questione.

2. La prima volta in cui la Corte ha avuto modo di pronunciarsi relativamente alla sussistenza e all'estensione della propria giurisdizione interpretativa riguardo alle previsioni contenute in accordi misti è stata in occasione di una controversia relativa all'Accordo di associazione Grecia-CEE del 196111. La competenza della Comunità a concludere detto tipo di accordi era stata prevista, sin dai Trattati originari (art. 238 TCEE, ora art. 310 TCE), al fine di creare "vincoli particolari e privilegiati con uno Stato terzo"12. Qualora l'estensione del regime comunitario a Stati terzi riguardasse però anche ambiti che fuoriescano dalla sfera di applicazione dell'art. 310 - come era il caso dell'Accordo di Atene relativamente all'assistenza finanziaria - l'accordo doveva essere concluso con la partecipazione degli Stati membri, e cioè in forma mista13. Trattandosi di un Page 661 accordo non puramente comunitario, la Corte, prima di dirimere nel merito la controversia concernente la legittimità dell'applicazione all'importazione dei vini greci dello stesso regime previsto per le importazioni dei vini dall'Italia, Francia e Germania con una tassa di compensazione nelle ipotesi indicate all'art. 9, ha giustificato la sua competenza ad interpretare le disposizioni pattizie. In particolare, partendo da una valorizzazione dell'interpretazione letterale della disposizione che abilita la Corte a pronunciarsi in via pregiudiziale, i giudici si sono richiamati ad un "criterio organico": "per quanto riguarda la Comunità", l'atto di conclusione dell'accordo di associazione è assimilato ad un atto delle istituzioni comunitarie. L'accordo misto, infatti, quale atto concluso dal Consiglio in conformità agli articoli 228 e 238 TCEE (come risulta dal testo della decisione del 25 settembre 1961), dal momento della sua entrata in vigore entra a far parte integrante del diritto comunitario, la cui uniforme applicazione ed interpretazione la Corte mira appunto a garantire14. Il fatto che, contestualmente all'equiparazione della convenzione all'atto di un'istituzione, venga specificato come ciò debba intendersi avvenire solo sul piano comunitario (si noti l'inciso della sentenza Haegeman "per quanto riguarda la Comunità") sembra rivelare una coscienza da parte della Corte di una dualità della qualificazione dell'accordo misto: convenzione sul piano internazionale; e atto istituzionale sul piano comunitario. Tale dualità è stata successivamente esplicitata e chiarita dall'Avvocato generale Trabucchi nelle conclusioni presentate nel caso Bresciani, in cui la Corte ha nuovamente ripreso il criterio organico ai fini dell'interpretazione delle Convenzioni di Yaoundé del 1963 e 1969 concluse tra la CEE, gli Stati membri e i territori di oltremare che, prima associati alla CEE, avevano raggiunto una indipendenza politica15. L'Avvocato generale affermava, in particolare, come "di fronte ai soggetti dell'ordinamento comunitario, l'accordo Page 662 internazionale ha un valore non di per sé, come norma convenzionale che si pone, nella sfera dell'ordinamento convenzionale, ma grazie alla mediazione dell'esecutivo comunitario"16, sottolineando così la specificità dell'ordinamento comunitario. Dal carattere sui generis di detto ordinamento - di cui occorre preservare fini e i contenuti - discende la necessità di un unico interprete della portata degli obblighi comunitari, ma anche statali che, basati sul Trattato, si trovino materialmente definiti nella Convenzione mista che vincola la Comunità. Così lette le pronunce in esame rivelano un carattere potenzialmente estensivo della giurisdizione comunitaria a tutte le disposizioni dell'accordo misto, anche inerenti materie non ancora disciplinate a livello interno dalla Comunità, con la sola esclusione degli obblighi assunti dagli Stati membri nell'ambito delle sfere di competenza ad essi esclusivamente riservate17. Come la Corte aveva avuto, infatti, già modo di sottolineare nella pronuncia magdalena Vandeweghe, "in virtù dell'art. 177 Trattato CEE la Corte è incompetente a pronunciarsi in mate- ria di interpretazione di norme di diritto internazionale che vincolano gli Stati membri, ma esulano dalla sfera del diritto comunitario"18.

Per verificare se la portata estensiva delle pronunce anzidette possa dirsi confermata in pratica occorre esaminare la giurisprudenza successivamente affermata nel settore degli accordi di associazione, con particolare attenzione a quei casi dove, diversamente dalle ipotesi già considerate, la Corte sia stata investita di una questione pregiudiziale concernente l'interpretazione di una previsione dell'accordo rientrante nelle competenze attribuite alla Comunità, ma da essa non già "concretamente esercitate" sul piano interno.

Il primo caso in cui ciò è avvenuto risale alla pronuncia Razanatsimba19, dove ad essere portata all'attenzione della Corte era la questione dell'interpretazione dell'art. 62 della Convenzione di Lomé, inerente il diritto di stabilimento (e relativo trattamento) di cittadini di Stati membri (e compagnie aventi sede in uno degli Stati membri) e degli Stati ACP (Africa, Caraibi, Pacifico). Tali dispo Page 663 sizioni contenevano, infatti, obblighi che all'epoca, secondo un'interpretazione dottrinale, esorbitavano l'ambito di applicazione dell'art. 238 TCEE e, come tali, erano stati contratti dagli Stati nell'esercizio di loro competenze20. La Corte ha però di fatto eluso la...

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