Gli accordi di riammissione dell'Unione europea

AuthorGiovanni Cellamare
PositionOrdinario di Diritto internazionale nell'Università degli studi di Bari Aldo Moro
Pages369-401

    Il presente studio è stato condotto nell'ambito del progetto di ricerca nazionale PRIN 2007 "Cittadinanza europea e diritti fondamentali nell'attuale fase del processo di integrazione". Responsabile nazionale, prof. Ennio Trigiani (PROT. 2007ETKBLF). Questo scritto riproduce la relazione svolta, in occasione del XIV Convegno della SIDI, Europa e Mediterraneo. Le regole per la costruzione di una società integrata, Bari, 18-19 giugno 2009, anteriormente alla entrata in vigore (il 1° dicembre 2009) del Trattato di Lisbona, del 13 dicembre 2007 (comprensivo, come è noto, del nuovo Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea: d'ora in poi NTUE e, rispettivamente, TFUE); si ha riguardo, dunque, ad accordi di riammissione stipulati sulla base del Trattato CE, sostituita dall'Unione e alla quale l'Unione succede (art. 1 NTUE).

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@1. Premessa

1. L'inserimento della materia dell'immigrazione nella politica esterna dell'UE trova le sue prime, ancorché frammentarie, manifestazioni nella gestione dei movimenti di persone, verso l'Unione europea (anche UE), causati dai noti eventi che hanno interessato i Balcani o riconducibili alla caduta dell'Unione Sovietica1.

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Gli svolgimenti più significativi della dimensione esterna della politica migratoria sono presenti nel c.d. Programma dell'Aja adottato dal Consiglio europeo del 4-5 novembre 20042. Nello stesso, quella dimensione assume contorni ben delineati, con indicazione delle priorità dell'UE: in particolare, la conclusione di accordi riammissione - sicché la Commissione sosteneva la nomina di un rappresentante speciale per la politica di riammissione3 -, e l'adozione di programmi di protezione regionale dell'Unione, in collegamento con la politica europea di vicinato. Dal punto di vista che qui interessa, quest'ultima integra nelle relazioni con i Paesi vicini la materia migratoria, allo scopo di indirizzare i movimenti di persone di vasta scala provenienti dal nord Africa e dall'Europa dell'est4.

Il Programma dell'Aja ha trovato degli sviluppi nella c.d. "strategia dell'Unione per la dimensione esterna della giustizia e affari interni" e nell'"approccio globale in materia di migrazione", con il quale il Consiglio europeo, nel dicembre 2005, ha definito delle "azioni prioritarie incentrate sull'Africa e il Mediterraneo"5.

Quell'approccio costituisce attualmente uno dei fondamenti della politica migratoria dell'UE, nella quale assume un ruolo centrale il settore dell'allontanamento delle persone soggiornanti illegalmente in Stati membri della stessa Unione6.

Invero, il Consiglio europeo ha richiamato più volte l'attenzione sul nesso tra l'allontanamento di quelle persone e la cooperazione con i Paesi di origine - e, come si vedrà, di provenienza - delle stesse, in vista della loro riammissione7:

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si pensi, in particolare, alla cooperazione amministrativa, tra gli Stati interessati, necessaria per ottenere i documenti di identità (o di viaggio) degli immigrati illegali che non possano essere identificati, in vista della loro riammissione nello Stato di cui possiedano la cittadinanza (o da cui provengano). Sul punto va considerato che le procedure amministrative seguite da alcuni Stati possono avere l'effetto di rallentare la determinazione della nazionalità o l'individuazione dell'identità di propri cittadini allontanati da altri Stati8: può accadere, cioè, che, di fatto, alcuni Stati frappongano degli ostacoli all'adempimento dell'obbligo di riammissione dei propri cittadini che, come è noto, è previsto da una norma di diritto internazionale consuetudinario. Si tratta di un "principio di diritto internazionale" che "impedisce ai singoli Stati di negare ai propri cittadini l'ingresso ed il soggiorno nel proprio territorio"; quel principio - ha rilevato la Corte di giustizia - non è reso "inoperante" dal Trattato9.

I problemi applicativi di quella norma - la cui esistenza è stata diffusamente riconosciuta in dottrina - possono trovare la loro soluzione grazie agli accordi di cui si tratta10.

@2. Gli obblighi previsti dagli accordi di riammissione, per il rimpatrio degli stranieri in condizione irregolare

2. Limitando la nostra attenzione ai rapporti tra Stati coinvolti nel fenomeno migratorio, quegli accordi, nella formulazione più semplice, prevedono l'obbligo di ciascuna parte di riammettere, su richiesta dell'altra, i propri cittadini, presenti nel territorio del richiedente, che non soddisfino o non soddisfino più le condizioni di ingresso e di soggiorno applicabili in quel territorio.

Costituendo la cittadinanza un presupposto della riammissione, gli accordi indicano i documenti che costituiscono dei mezzi di prova per l'accertamento di detto presupposto (passaporto, carta d'identità non falsificati); nonché, quasi sempre, i criteri che consentano di presumerne fondatamente prima facie l'esi-

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stenza11. In altri termini, molto spesso le norme di cui si tratta consentono di presumere la nazionalità - fino a prova contraria - sulla base di documenti (come le carte di immatricolazioni, le patenti, i certificati di nascita), o di altri dati utili e testimonianze. Siffatte norme, dunque, non appaiono idonee a stabilire con certezza la cittadinanza della persona di cui si tratta: pertanto, la loro funzione prevalente è di assicurare la riammissione utilizzando, per l'appunto, dei dati indicativi della cittadinanza dello straniero.

Gli accordi contemplano altresì le procedure pertinenti, la collaborazione diplomatica o consolare in materia; nonché, nelle versioni più evolute, i tempi entro i quali la parte richiesta deve rilasciare i documenti di viaggio per il ritorno della persona da riammettere e le conseguenze dell'inosservanza di quei tempi12. La previsione di questi ultimi, oltre a rendere spedita la procedura di riammissione, appare volta a favorire dei collegamenti funzionali tra le legislazioni immigratorie sul trattenimento degli stranieri, in vista del loro allontanamento, e la disciplina della riammissione.

Dato l'incremento dei flussi migratori, negli accordi è disciplinata altresì la riammissione dei cittadini di Stati terzi in situazione irregolare in possesso, almeno al momento dell'ingresso nel territorio della parte richiedente, di un visto o di un permesso di soggiorno validi rilasciati dalla parte richiesta, ovvero di coloro che siano entrati "irregolarmente e direttamente" nel territorio dello Stato richiedente, dopo aver soggiornato nel, o essere transitate dal, territorio di quello richiesto13.

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La disciplina della riammissione dei cittadini di Stati terzi è estesa, con i necessari adattamenti, agli apolidi14.

Da quanto precede risulta, dunque, che i presupposti di tale riammissione, sconosciuta al diritto internazionale consuetudinario, possono essere di due tipi, ciascuno con possibili varianti interne: possono essere costituiti, cioè, da elementi di fatto (soggiorno, transito) e da atti giuridici (visto, titolo di soggiorno). Sebbene di diversa natura, quei presupposti appaiono indicativi del valore decisivo che, per la riammissione, viene generalmente riconosciuto dalle parti contraenti al collegamento esistente tra i cittadini di Stati terzi e la parte richiesta.

Allo scopo di facilitare l'esecuzione di un provvedimento di allontanamento (o di respingimento) dello Stato richiedente, gli accordi di riammissione prevedono che le altre parti contraenti autorizzino il transito sul proprio territorio delle persone destinatarie del provvedimento, purché "siano garantiti il proseguimento del viaggio" in altri Stati di transito e "la riammissione da parte di quello di destinazione"15.

In vista di quella autorizzazione, dunque, non è richiesto alcun collegamento tra l'individuo e lo Stato richiesto; è sufficiente l'iniziativa dello Stato richiedente, al quale, d'altro canto, competono i costi e la riuscita dell'allontanamento. Si tratta, dunque, di clausole che estendono la cooperazione tra le parti contraenti nel settore in esame16.

Le tre categorie di norme brevemente illustrate sono contenute sia in accordi bilaterali conclusi da Stati membri dell'UE, compresa l'Italia, sia in quelli già stipulati dalla Comunità, ora sostituita dall'Unione17. Questi ultimi favoriscono la formazione di norme internazionali comuni sulla riammissione, nei rapporti tra gli Stati membri e gli Stati terzi di cui si tratta18; inoltre recano delle clausole aggiuntive rispetto alla disciplina riferita, sulle quali vale la pena di richiamare l'attenzione.

Tra gli accordi stipulati con degli Stati balcanici, vanno segnalati in particolare quelli che estendono l'operare dell'istituto in esame (precisando, talvolta,

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"se possibile") ai figli minorenni delle persone da riammettere a titolo principale, nonché ai coniugi di queste che abbiano o ottengano il diritto di ingresso o di soggiorno nel territorio dello Stato richiesto, a meno che i figli o i coniugi non godano di un diritto autonomo di residenza nello Stato richiedente19.

La riammissione, dunque, prescinde dal luogo di nascita o dalla cittadinanza delle persone interessate; è ricollegata unicamente ai loro rapporti familiari (di filiazione, di coniugio) con gli individui da riammettere a titolo principale e all'assenza di un diritto autonomo di residenza nel territorio dello Stato richiedente. Siffatta disciplina, ancorché innovativa, riecheggia alcuni dei criteri utilizzati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (i rapporti indicati, la minore età, il grado di collegamento con lo Stato ospite variamente desumibile) per giudicare se l'espulsione di uno straniero, dal territorio di uno Stato parte della Convenzione europea sui diritti dell'uomo, realizzi una interferenza nella sua vita familiare vietata dall'art. 8 della medesima Convenzione20 (di seguito, CEDU). La riammissione, cioè, appare congruente con il rispetto del diritto riconosciuto da questa norma e da altre disposizioni contenute in convenzioni sui...

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