Pluralismo definitorio dell’attività e dell’impresa agricola tra diritto comunitario e diritto interno

AuthorAntonio Jannarelli
PositionOrdinario di Diritto agrario nell’Università degli studi di Bari
Pages469-495

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@1. Introduzione. L’incidenza delle definizioni comunitarie di attività e di impresa agricola sul diritto nazionale. L’incidenza indiretta della disciplina promozionale comunitaria sul diritto regolativo nazionale. Il pluralismo definitorio nel modello continentale

1. Il complesso rapporto che nel corso dei decenni si è venuto progressivamente strutturando tra le fonti legislative comunitarie e quelle nazionali e, al tempo stesso, i contributi al riguardo forniti dal quel singolare “formante” dell’esperienza giuridica rappresentato dalla riflessione dottrinaria costituiscono un terreno di straordinario interesse per cogliere tanto la circolarità dei processi attraverso i quali la cultura giuridica metabolizza lo strumentario procurato dai testi legislativi e restituisce al legislatore suggestioni per un rinnovato lessico giuridico, quanto la concreta “politicità” delle definizioni a cui la stessa legislazione ricorre per governare di volta in volta conflitti di interessi diversi ovvero perseguire molteplici obiettivi di politica economica: politicità che, inevitabilmente, si evidenzia proprio nelle tensioni sottese alla dialettica tra centro e periferia, tra le spinte di cui si fanno portatori i singoli Stati e quelle adottate a livello comunitario. Nel presente saggio, un terreno di verifica circa la complessità delle dinamiche legate all’egemonia del linguaggio e alle necessarie distinzioni che accompagnano le scelte non neutrali relative alle definizioni giuridiche èPage 470 offerto dalle più recenti tendenze della legislazione comunitaria e della legislazione nazionale in materia di attività agricola e di imprese agricole con specifico riferimento a due vicende parallele che riflettono alcune linee di fondo dell’esperienza giuridica dell’Unione europea in questo delicato momento storico.

Un primo punto di avvio può rinvenirsi nel recente saggio elaborato da Bodiguel e Cardwell1 il quale offre un’occasione preziosa per diverse riflessioni di ordine generale (come tali rilevanti anche per la nostra esperienza nazionale) in merito ad alcuni significativi mutamenti in atto nella legislazione al centro del diritto agrario. Si tratta di mutamenti destinati ad incidere su alcuni dei tradizionali “formanti” che, nell’ambito dell’elaborazione della materia, hanno permesso di distinguere l’esperienza continentale, che ha conosciuto una codificazione del diritto privato, da quella anglosassone, fondata sulla common law. Tradizionalmente (per non dire, in termini decisamente più impegnativi, costitutivamente), al centro del diritto agrario si rinvengono l’analisi e la sistematizzazione di complessi disciplinari volti a regolare rapporti tra soggetti privati in relazione allo svolgimento dell’attività economica, denominata “agricoltura”2. Su questo specifico punto, la caratteristica storica delle esperienze giuridiche che presentano una codificazione civile è stata certamente quella di aver adottato una definizione “diretta” dell’attività agricola destinata a rilevare nei rapporti giuridici tra l’esercente tale attività ed i terzi. Si tratta di una definizione, certamente di vasto raggio applicativo, ma non necessariamente, solo per questo, ossia in assenza di una precisa determinazione legislativa, di rilevanza e valenza generale su tutte le relazioni giuridiche privatistiche. In ogni caso, la sua stessa presenza nell’ordinamento giuridico ha da sempre sollecitato la dottrina a favore di una visionePage 471 sistematica e possibilmente coerente della normativa, quale obiettivo da perseguire oltre che da auspicare.

Queste considerazioni introduttive meritano un adeguato approfondimento se si vogliono mettere a fuoco in maniera corretta tanto il proprium del diritto continentale rispetto al mondo della common law con riferimento anche al “cuore” del diritto agrario moderno, quanto i mutamenti in atto nei rispettivi assetti disciplinari a proposito proprio della questione relativa alla nozione giuridica di “agricoltura”, soprattutto in relazione alla ricaduta nei singoli Paesi europei della normativa di fonte comunitaria e, dunque, della nozione di “agricoltura” contenuta nelle recenti linee fondamentali della nuova PAC3.

Per ciò che attiene ai Paesi europei continentali, la definizione generale di “attività agricola” nei termini sopra riferiti risulta attualmente presente sia nella esperienza giuridica italiana, sia in quella francese a livello della codificazione del diritto privato.

Nella prima essa è fondamentalmente contenuta nella codificazione unitaria del diritto privato sin dal 1942; nella seconda, che ha conservato il modello ottocentesco fondato sulla distinzione tra codice civile e codice di commercio (distinzione nell’ambito della quale continua a collocarsi la stessa presenza dell’autonomo Code rural), solo alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso è stata introdotta nell’ordinamento giuridico una definizione generale di “attività agricola”, successivamente collocata nel Code rural4, giusto al fine di ribadirne la natura di attività a caractère civil e, dunque, non commerciale5.

In entrambi i casi, la ricaduta operativa tanto della distinzione tra l’attività agricola (qualificata ai fini disciplinari come attività civile) e l’attività commer-Page 472ciale (sistema francese), quanto di quella tra l’impresa agricola e l’impresa commerciale (sistema italiano) si è sempre collocata nel comune orizzonte rappresentato dalla regolamentazione dei rapporti con i terzi (fornitori, finanziatori, clienti, consumatori finali, ecc.), ossia con il mercato6. In tutti e due i sistemi, la funzione costante della disciplina è stata essenzialmente quella di dettare regole a carico di colui che esercita l’attività in vista della tutela dei soggetti terzi che entrano in contatto con quel particolare operatore economico7.

A ben vedere, la presenza, sia in Francia sia in Italia, di una definizione generale dell’attività agricola, anche ai fini della sua distinzione da quella commerciale e, quindi, in vista anche della sola sottrazione della stessa dall’applicazione dello statuto disciplinare previsto per quella commerciale ovvero dell’assoggettamento ad una disciplina diversa per i rapporti con i terzi, non ha impedito che tanto nell’ambito della stessa esperienza codificatoria, quanto in quello della legislazione speciale di diritto privato emergesse una pluralità di nozioni di attività agricola, se non addirittura di definizioni, diverse e distinte tra loro e da quella “di base” contenuta nella codificazione civile (ossia quella presente rispettivamente nell’art. 2135 c.c. italiano e nell’art. L311-l del Code rural).

In altre parole, già sul piano del solo diritto privato, la definizione generale di attività agricola, espressamente contenuta nella legislazione italiana nell’art. 2135 c.c., ha dovuto convivere con altre varie configurazioni di agricoltura, per quanto non sempre esplicitate in termini definitori, alla base di specifiche regolamentazioni, sia codicistiche, sia contenute nella legislazione speciale e dettate per disciplinare alcuni specifici rapporti giuridici di diritto privato strutturalmente coinvolti nelle concrete manifestazioni operative dell’attività economica di cui all’art. 2135 c.c.: si pensi, a tacer d’altro, alla disciplina, originariamente contenuta soltanto nel codice e poi affidata alla legislazione speciale, relativa ai contratti agrari8.

Se da una parte la definizione contenuta nell’art. 2135 era funzionale alla disciplina della relazione tra operatori economici agricoli ed i terzi (senza distinzione alcuna), quella alla base dei contratti agrari ha rispecchiato essenzialmentePage 473 il rapporto tra i possidentes di beni produttivi (si pensi innanzitutto al fondo rustico) ed soggetti interessati al loro impiego nella produzione agricola9. Non meno significativa, al riguardo, l’altra eloquente vicenda legata ai tentativi di parte della letteratura agraristica diretti a sollecitare e confortare una lettura evolutiva della stessa definizione di attività agricola ex art. 2135, facendo leva, questa volta, sulle più innovative nozioni di agricoltura introdotte dopo il 1942 nella legislazione previdenziale e/o promozionale.

In realtà, la non rispondenza tra le “nozioni” di agricoltura rinvenibili nella disciplina codicistica e nella legislazione speciale privatistica e la definizione di attività agricola introdotta espressamente nell’art. 2135 c.c., a proposito dell’impresa agricola, ha rappresentato il riflesso di un particolarismo legislativo tanto più evidente ove per poco si allarghi l’indagine anche alla legislazione fiscale, a quella urbanistica, a quella previdenziale, ecc.

Il dato non deve sorprendere. Infatti, se nell’ambito della stessa legislazione privatistica le definizioni risultano tarate in relazione ai distinti conflitti di interessi privati volta a volta al centro della regolamentazione, tanto più il particolarismo definitorio e la conseguente disomogeneità disciplinare si possono ritrovare, con ulteriori articolazioni, nella legislazione “pubblicistica”, in relazione, anche qui, alla specificità degli interessi da tutelare nei singoli provvedimenti legislativi e degli scopi che il legislatore ha selezionato.

Come dire, in definitiva, che l’ampliamento o il restringimento della nozione di agricoltura riscontrabili dal confronto tra le diverse nozioni o definizioni hanno sempre rispecchiato aggregazioni diverse degli interessi da disciplinare e/o da promuovere, secondo quella pluralità di scopi che ciascun segmento della legislazione mira volta a volta a perseguire: il che ha caricato di crescente problematicità il primato del diritto privato10.

@2. Il pluralismo definitorio nel modello anglosassone

2. Rispetto al modello “continentale”, ora illustrato sulla base della esperienza giuridica italiana e ripreso nell’articolo di Bodiguel e Cardwell a propo-Page 474sito della vicenda francese, l’esperienza anglosassone si presenta diversa. Ma, a ben vedere, la...

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