L'influenza del sistema giurisdizionale dell'Unione europea sul Tribunale della Comunità di Sviluppo dell'Africa australe

AuthorSara Pugliese
ProfessionRicercatore di Diritto internazionale nell'Università degli Studi di Napoli 'Parthenope'.
Pages23-50

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  1. Frutto della cooperazione tra gli Stati dell’Africa meridionale avviata durante il processo di decolonizzazione degli anni ’70, la Southern African Development Community (SADC) è stata istituita con il Trattato di Windhoek del 1992 e persegue l’obiettivo di promuovere la crescita economica sostenibile e lo sviluppo economico per migliorare le condizioni di vita in Africa australe1.

    Come altre organizzazioni regionali e sub regionali, fin dalla sua istituzione l’Organizzazione si caratterizza per lo stretto rapporto che essa ha istaurato con il modello comunitario europeo, talvolta pedissequamente imitato, talaltra criticamente modificato per adeguarlo alle esigenze del contesto, ma sempre percepito come “standard” imprescindibile2.

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    Particolarmente interessante risulta il sistema giurisdizionale che è stato definito prendendo a modello quello della Corte di Lussemburgo. La nostra attenzione si incentrerà pertanto sul Tribunale SADC non prima, però, di aver descritto, seppur per grandi linee, i caratteri generali dell’Organizzazione.

    Premessi brevi cenni storici, si procederà ad una disamina degli aspetti relativi alla struttura istituzionale e normativa, alle modalità con cui l’Organizzazione persegue gli obiettivi posti dal Trattato, nonché alla rete di relazioni internazionali in cui l’Organizzazione si colloca. L’analisi si focalizzerà, poi, sulla struttura del Tribunale SADC, sul suo ruolo in evoluzione e sul confronto con la Corte di giustizia dell’UE, al fine di verificare se il Tribunale SADC rappresenti una mera “duplicazione” della Corte di giustizia in Africa Australe o se esso costituisca l’elaborazione del modello europeo in chiave innovativa, in grado di rappresentare un esempio per esperienze future.

  2. La SADC va ricondotta nel complesso scenario del regionalismo africano, che è stato oggetto di un processo evolutivo in cui ad un modello di cooperazione liberista (c.d market approach), fondato sulle strutture organizzative ereditate dalle potenze coloniali e sui rapporti economici privilegiati che queste accordavano alle ex colonie, si sono affiancati dapprima un modello di sviluppo collettivo autosostenuto e, successivamente, forme di cooperazione neoliberista che, pur non chiudendosi al commercio mondiale, conferivano particolare attenzione alle problematiche di polarizzazione dello sviluppo e alla necessità di valorizzazione delle risorse endogene in un’ottica di indipendenza dai finanziatori occidentali3.

    Questo processo ha dato vita ad organizzazioni regionali che, pur differenziandosi per obiettivi, Stati membri, strumenti e forme organizzative, presentano connotati comuni, distintivi del regionalismo africano, riassumibili nella preminenza degli organi di rappresentanza governativa nei processi decisionali, negli scarsi poteri vincolanti delle organizzazioni e nel frequente ricorso al consensus, ovvero in un modello di cooperazione piuttosto che di integrazione4.

    L’idea di creare in Africa australe una cordata transcontinentale di Stati indipendenti ed economicamente potenti, che si estendesse dall’Oceano Indiano all’Atlantico, è stata espressa per la prima volta nel 1974, alla vigilia dell’indipendenza dell’Angola e dello zambia, dal presidente dello zambia, Kenneth Kaunda, che auspicava la venuta del “day when the indipendent states of Southern Africa could meet to discuss liberation. Not liberation from political dependance, but liberation from poverty”5.

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    La prima forma di cooperazione può essere ravvisata nella costituzione nel 1975 del gruppo dei c.d. front line States (Angola, Botswana, Mozambico, Tanzania, zambia), che si poneva come obiettivo l’indipendenza degli Stati dell’Africa australe6.

    Il risultato positivo ottenuto dall’esperienza di cooperazione politica ha indotto gli Stati ad estendere la cooperazione in campo economico7. A tal fine sono state organizzate la Conferenza di Arusha, nel luglio 19798, e la Conferenza di Lusaka per la Cooperazione dello Sviluppo dell’ Africa australe nell’aprile 19809,

    durante la quale è stata istituita la Southern African Development Coordination Conference (SADCC)10. Fondandosi sull’assunto che la libertà economica costituiva una condizione fondamentale per la libertà politica, la Conferenza aveva come obiettivo la creazione di condizioni di sviluppo economico sostenibile all’interno dell’area sudafricana, la mobilitazione di risorse che supportassero le politiche nazionali, interstatali e regionali, l’avvio di un’azione concertata che assicurasse una cooperazione internazionale all’interno di un quadro strategico improntato sulla liberalizzazione economica11.

    Mancava un vero e proprio trattato istitutivo12 e il coordinamento delle attività degli Stati avveniva in base al Memorandum di Intesa, che imponeva agli Stati membri obblighi flessibili e prevedeva una struttura istituzionale molto

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    scarna13. Gli obiettivi e le linee di azione comune erano stabilite in documenti di natura non giuridica, cioè in meri impegni politici14. La Conferenza presentava una struttura organizzativa altamente decentrata e poco burocratizzata15. Poiché l’attività della Conferenza consisteva prevalentemente nella realizzazione di progetti finalizzati ad obiettivi specifici, la responsabilità dell’attuazione era demandata prevalentemente agli Stati, ognuno individuato come referente di uno specifico settore16. Per quanto nei documenti programmatici si facesse spesso uso del termine “integrazione”, esso acquisiva solo una connotazione economica e non giuridica, in quanto mancava del tutto un trasferimento di poteri sovrani degli Stati alla Conferenza. La Conferenza si limitava, dunque, a costituire un forum di discussione su temi di interesse regionale.

    A partire dalla metà degli anni ’80, alcuni avvenimenti sia a livello internazionale che regionale hanno indotto ad un cambiamento di prospettiva. Da un lato, la fine della guerra fredda ha fatto venir meno l’interesse delle grandi potenze al controllo nell’area dell’Africa australe17, d’altro lato, la caduta del re-

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    gime di apartheid in Sud Africa18 ha privato del proprio elemento di coesione il gruppo di Stati del front line e ha suscitato il timore che il Sud Africa democratizzato potesse accentrare le relazioni con gli Stati sviluppati e i loro finanziamenti. La necessità di definire il futuro ruolo che la SADCC doveva assumere ha spinto alla creazione di una vera e propria Organizzazione internazionale, indipendente dagli interessi di ogni Stato membro e dotata di una struttura organizzativa formalizzata pienamente responsabile della formulazione delle politiche, strategie e programmi e dell’attuazione delle attività, in modo da realizzare un modello di piena integrazione e conferire all’area un nuovo posizionamento sullo scenario globale19. Sulla scorta del rapporto redatto nel 1990 da un gruppo di lavoro istituito dal Consiglio dei Ministri della SADCC, nel 1992 con il Trattato di Windhoek è stata istituita, come già detto, la Southern African Development Community e nel 1993 è stato tracciato il programma di azione dell’Organizzazione nel documento “Southern African: a framework and Strategy for building the Community”20.

  3. Nel Trattato istitutivo della SADC il richiamo al modello comunitario europeo è talmente forte da riscontrarsi finanche nel nome stesso dell’Organizzazione che è, per l’appunto, la “Comunità” dell’Africa Australe. E, come nei primi anni di integrazione europea, la Comunità dell’Africa Australe presenta una forte connotazione economica, accantonando l’impostazione politica, o per meglio dire strategicomilitare, che prevaleva nella Conferenza. Tuttavia l’Organizzazione non si definisce una “Comunità economica” ma una “Comunità di sviluppo”, il che inevitabilmente amplia il raggio degli obiettivi. Così, alla promozione dello sviluppo autosostenuto, della crescita economica e dell’occupazione si affiancano lo sviluppo di valori e sistemi politici comuni, la promozione e la difesa della pace e della sicurezza21, la promozione dell’ambiente e il rafforzamento e consolidamento delle affinità e dei legami storici, sociali e culturali fra i

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    popoli della regione. Nell’agosto del 2001, il Trattato SADC è stato oggetto di un emendamento, conformemente all’art. 36, al fine di ampliare gli obiettivi dell’Organizzazione per includervi “consolidate, defend and maintain democracy, peace, security and stability; ensure that poverty eradication is addressed in all SADC activities and programmes; and mainstream gender in the process of community building”22.

    Questi obiettivi sono perseguiti tramite l’armonizzazione della programmazione politica e socioeconomica (“policies and plants”) dei vari Stati, tramite lo sviluppo di politiche per la progressiva eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione dei fattori produttivi e la promozione dell’innovazione dei sistemi economici (risorse umane, tecnologia, forme di management), cui si affiancano interventi di natura politica come il coordinamento e l’armonizzazione delle relazioni internazionali, il rafforzamento della cooperazione, l’attrazione di finanziamenti stranieri23.

    Principi cardine dell’Organizzazione sono l’uguaglianza sovrana degli Sati membri, la solidarietà, la pace e la sicurezza, i diritti umani, la democrazia e la legalità, l’equità, il bilanciamento degli interessi, il perseguimento del reciproco vantaggio e la soluzione pacifica delle controversie24. Per quanto non espressamente enunciato all’art. 4 del Trattato, bisogna annoverare tra i principi anche quello di “non discriminazione”: l’art. 6§2 e 6§3 del Trattato SADC recitano “Member States shall not discriminate against any person on grounds of gender, religion, political views, race, ethnic origin, culture, ill health, disability, or such other ground as may be determined by the Summit. SADC shall not discriminate against any Member State”.

    A conferma della volontà di creare una struttura che, superando la...

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