I tentativi di integrazione economica europea sulla scia del successo dello Zollverein

AuthorFrancesca Fauri
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@1. Introduzione

Lo Zollverein1 permise alla Germania, paese secondcomer, di avviarsi a grandi passi verso l’agganciamento (catching up) nei confronti della Gran Bretagna. Come insegna Gerschenkron, i paesi leader hanno sempre avuto una folta schiera di inseguitori e imitatori, nessuno è disposto a rimanere indietro sulla strada del progresso economico e del maggior benessere. E molti Stati, visto il successo dello Zollverein, si accinsero a seguirne l’esempio. L’unione doganale sembrava rispondere in maniera ottimale alle esigenze di sviluppo del mercato ottocentesco, indubbiamente un grande mercato comune ben collegato da funzionali reti di trasporto era stata la chiave di volta del decollo industriale tedesco. Lo Zollverein rappresentò quindi un’importante innovazione istituzionale e il suo successo generò numerose imitazioni. Queste però riuscirono a fiorire solo in casi limitati e ressero nel tempo solo se accompagnate o seguite da un percorso di unificazione politica.

Va sottolineato, inoltre, quale premessa essenziale sulla quale questo lavoro non ha modo di soffermarsi a lungo, che una componente rilevante del successo economico dello Zollverein e del fiorire dei tentativi di imitazione fu il diffondersi del credo liberoscambista. Il free trade, nato e cresciuto in Gran Bretagna a partire dalla fine del Settecento, non solo cominciò ad influenzare, verso la metà dell’Ottocento, le politiche commerciali inglesi, ma si estese a macchia d’olio anche fra i maggiori paesi europei. Per una vol-1 Si ringrazia Lara Samoré per l’aiuto nella ricerca bibliografica.

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ta, la forza concettuale di una teoria economica, ancor oggi uscita intatta dalla marea delle molteplici analisi critiche, vinse sulle resistenze di tipo politico2. I paesi europei cominciarono a scambiare liberamente i beni in cui detenevano un vantaggio comparato, le tariffe si piegarono di fronte all’impetuoso diffondersi dei trattati commerciali (e della clausola della nazione più favorita), si sperimentarono unioni di tipo monetario e doganale fra paesi vicini, mentre il tasso di crescita annuale del commercio internazionale cresceva a ritmi vicini al 4% e i prezzi e i redditi reali cominciavano a convergere3.

@2. Da trecento a trenta

Prima dell’avvento di Napoleone la Germania era costituita da oltre trecento stati indipendenti, con poco in comune tranne il desiderio di espansione. Durante il periodo napoleonico, la fusione di alcuni principati e l’estinzione di alcune casate avevano ridotto a 38 gli stati germanici, inclusi Prussia e Austria. Era iniziato quel processo che avrebbe visto, nel tempo, una notevole semplificazione della geografica politica tedesca.

Alla vigilia del Congresso di Vienna il paese era quindi ancora notevolmente frammentato in staterelli estremamente divisi anche dal punto di vista economico: erano differenti le politiche commerciali, i sistemi monetari, pesi e misure4. Ogni stato decideva in maniera indipendente l’aliquota daziaria da fissare sui beni importati e di conseguenza non c’era armonizzazione tariffaria, ma frontiere doganali ovunque con balzelli di varia entità da versare alle frontiere, alle porte delle città, lungo i fiumi ecc.5.

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Ciò naturalmente impediva la formazione di un grande mercato nazionale e poneva ostacoli allo sviluppo economico; l’offerta era vincolata da una domanda interna insufficiente e da una domanda esterna limitata da innumerevoli dazi di frontiera, differenze di ordine legislativo e più banalmente amministrativo, rigidi monopoli locali a livello industriale e reti di comunicazione insufficienti (le strade erano difficili da percorrere e pericolose, meglio il trasporto via acqua, ma anche qui i regolamenti doganali di tipo corporativo costringevano ogni tanto a fermare il battello e trasbordare il carico)6.

L’economia rimaneva dominata dall’agricoltura, caratterizzata, ad est dell’Elba, da ampi latifondi in mano all’aristocrazia terriera degli Junker e da contadini mantenuti in condizioni servili7.

Al Congresso di Vienna venne compiuto il primo passo in avanti: fu deciso di costituire una Confederazione di stati (8 giugno 1815) che avrebbe dovuto deliberare, in occasione della prima riunione della Dieta a Francoforte, su come migliorare e semplificare gli scambi fra uno stato e l’altro, regolamentando il commercio e la navigazione8. I negoziati non procedettero però come sperato e solo la crisi economica del 1817 costrinse nuovamente a riflettere sull’opportunità di unificare il mercato. Grande influenza ebbero in questo periodo le idee di List, professore di economia all’università di Tubinga e infaticabile sostenitore della necessità economica dell’abolizione delle dogane di confine attraverso la fondazione di una Lega Industriale e Commerciale – il cui primo punto del programma era l’unificazione doganale – petizioni alla Dieta di Francoforte e un’incalzante attività di lobbying presso i singoli governi9.

Il primo successo fu la creazione di un unione doganale tra Baviera e Wurttemberg (18 gennaio 1828), seguita un mese dopo

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da quella tra Prussia e AssiaDarmstadt che aprì la strada ai negoziati con gli Stati del nord e del centro. Una politica, se vogliamo, di piccoli passi che portò infine nel 1833 a firmare il trattato che diede vita allo Zollverein, il quale sancì la libertà di scambio tra gli stati membri. Furono inoltre aboliti i dazi sui trasbordi, vecchie vestigia medioevali, e fu proclamata l’uguaglianza di trattamento riguardo alla navigazione sui fiumi e sui canali per le navi dei paesi appartenenti all’unione.

Dall’anno della sua creazione, lo Zollverein, che comprendeva poco più dei due terzi dei territori della Confederazione Germanica, continuò ad espandersi fino ad includere Baden, Nassau, Francoforte sul Meno, Hannover, SchaumburgLippe, Oldenburg e anche il Lussemburgo10. Furono soprattutto gli interessi economicocommerciali a spingere il piccolo Granducato nella grande unione doganale tedesca e nonostante esso non abbia in seguito aderito né alla Confederazione tedesca del nord (1867), né all’Impero tedesco (1871) restò, comunque, nel sistema doganale tedesco sino al 1919. L’Impero asburgico, invece, ne fu tenuto fuori, complice la politica commerciale liberale del nuovo mercato comune, alla quale l’Austria protezionista non volle aderire11.

@3. Le caratteristiche dello Zollverein: tariffa esterna comune, armonizzazione fiscale e monetaria

Verso l’esterno venne fissata una tariffa doganale comune che prevedeva l’imposizione di dazi specifici, cioè sul peso, numero o misura, Venne risolto il problema della standardizzazione di pesi e misure adottando il quintale dell’AssiaDarmstadt, pari a 50 chilogrammi12. Un dazio ad valorem sarebbe stato di difficile applica-10 Il Lussemburgo poté così contare su un mercato molto più ampio per i propri prodotti agricoli, il pellame ed il minerale di ferro, che la Prussia importava abbondantemente per far fronte alla crescente produzione di manufatti in ferro, W.O. Henderson, The Zollverein, pp. 151-153.

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zione fra sistemi monetari differenti. I dazi specifici, nonostante colpissero senza distinzione di sorta i prodotti più comuni e quelli di lusso (nel caso dei tessuti, ad esempio, il dazio sul cotone grezzo era uguale a quello sulla tela batista), avevano il vantaggio di essere di facile applicazione, indipendenti dal prezzo e in grado persino di scoraggiare il contrabbando13.

La strategia tariffaria dello Zollverein prevedeva una protezione più elevata sui manufatti (in particolare tessuti di lino, seta, lana e cotone, che in assoluto era il prodotto più protetto: 50 talleri al quintale), mentre i prodotti agricoli, le materie prime e molti semilavorati vennero quasi del tutto esentati. I maggiori introiti provenivano dai dazi imposti su una ventina di articoli, tra i quali quelli su zucchero, caffé, vino e tabacco che costituivano da soli il 60% dei proventi14. Questa era una caratteristica comune della struttura tariffaria ottocentesca, che si ispirava, generalmente, ad un protezionismo moderato e puntava a ricavare i maggiori guadagni tassando beni di largo consumo, difficilmente sostituibili e quindi fonte garantita di cespiti cospicui (dal punto di vista economico si parla infatti di dazi fiscali che poco potevano incidere sulla struttura produttiva del paese, ma molto sulle entrate dello stato)15. Una volta riscosse tali entrate, esse venivano suddivise tra gli stati membri, dopo aver detratto le spese di amministrazione, proporzionalmente alla popolazione di ciascuno16. Questa disposizione finì col favorire particolarmente quegli stati che, non confinando con paesi stranieri, non avevano alcuna frontiera doganale o quelli le cui frontiere erano state notevolmente ridotte dall’adesione allo

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Zollverein17. Le tesorerie di quei paesi, infatti, ottennero molte più entrate che in passato e con minor spese di riscossione18.

Infine, il problema delle diverse tasse sul consumo, che alcuni stati imponevano su vino, succo d’uva, acquavite, birra, tabacco in foglie e malto, richiese una soluzione innovativa, che armonizzasse le entrate senza sfavorire i produttori di questo o quel paese. Venne così inventato un ingegnoso strumento di armonizzazione fiscale detto “tassa di compensazione”, pari alla differenza esistente tra l’imposta applicata dal paese importatore e quella del paese esportatore, il cui ricavato doveva essere versato nelle casse del primo19. Tale sistema fu in seguito sostituito dal “diritto di circolazione” cioè dal pagamento della tassa nel paese importatore del bene, a beneficio dei paesi con aliquote più ridotte. Ciò portò nel tempo all’armonizzazione delle tasse sul consumo.

Un ulteriore ostacolo agli scambi commerciali era costituito dalla grande varietà di monete in circolazione. Quelle in argento erano la norma, ma per poterne confrontare il valore era sempre necessario far riferimento ad uno standard e conoscerne il rapporto, cioè quanti pezzi...

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