Le norme “anti-deficit” democratico nell’Unione europea

AuthorTeresa Russo
PositionRicercatore di Diritto internazionale nell’Università degli studi di Salerno
Pages599-629

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@1. Il dibattito sulla democratizzazione e sulle norme “anti-deficit” come criterio di “ri-legittimazione” dell’Unione europea

1. Anche se nella storia dell’integrazione europea le originarie Comunità europee vanno ricondotte ai principi democratici della tradizione occidentale, solo nell’epoca successiva al dopo 1989 è più evidente lo sforzo di motivazione politico-diplomatica sui nuovi fondamenti da assegnare all’Unione europea. Prima di allora non erano mancate altre epoche fortemente interessate a connotare la statualità, in ambito comunitario, con valori ideali più consoni alle tradizioni costituzionali proprie del diritto interno. Si trattava, tuttavia, di impegni rilevanti nei soli preamboli dei Trattati comunitari come una sorta di filosofia o di ideologia propria dei Paesi euro-occidentali1. Inoltre, la successiva e progressiva enucleazione di principi democratici nel tessuto ordinamentale e normativo comunitario-unionistico se, da un lato, è sembrata contribuire alla democraticitàPage 600 del sistema2, dall’altro, non è sembrata sufficiente a ricoprire gli ambiti ed i meccanismi decisionali. Ne è conseguito che qualsiasi ricerca sull’ordinamento comunitario-unionistico non ha potuto esimersi dalla valutazione del suo c.d. deficit democratico, come progressivamente delineatosi fino al progettato “Trattato di riforma”3.

Nel solco della medesima problematica, la nostra indagine prende le mosse dall’analisi di un modello di governo non deficitario o di efficiente organizzazione dei poteri pubblici. Ciò sulla convinzione che dalla comparazione non possono che emergere lacune4 o carenze, per così dire, anti-democratiche. Sulla falsariga dello Stato nazionale, ed in particolare degli Stati occidentali, un sistema giuridico è considerato “efficiente” se le decisioni pubbliche risultano riconducibili al corpoPage 601 elettorale e soddisfano il benessere collettivo5. Donde il quesito sulla trasferibilità o ricevibilità di tale modello al livello di Unione europea.

Almeno nel primo senso, è innegabile che l’ordinamento comunitario-unionistico è risultato, per lungo tempo (e per certi aspetti risulta ancora ora), deficitario per l’insufficiente coinvolgimento nel processo decisionale del Parlamento europeo, solo progressivamente attenuato e controbilanciato dal rafforzamento del ruolo dei parlamenti nazionali6. Così come è, viceversa, innegabile che i Trattati comunitari ed unionistici hanno introdotto ulteriori finalità di benessere collettivo7 tali da orientare e ridefinire l’assetto degli ordinamenti degli Stati membri o la loro organizzazione costituzionale dei poteri, ampliando il concetto di efficienza pubblica quale “parametro-valvola tra diversi ordinamenti giuridici o tra differenziati livelli ordinamentali”8.

Né la situazione è risultata migliorata a seguito dell’utilizzo della terminologia di “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” (in seguito Trattato costituzionale) che ha finito per inasprire le considerazioni sul vacuum democratico derivanti dalle implicazioni del concetto di Costituzione (Stato, popolo, potere costituente, ecc.). Ciò ha condotto, da un lato, al rinato fervore del dibattito costituzionale che ha investito l’Unione europea di fronte ad un testo, Trattato costituzionale, che, nell’alternativa tra Trattato e Costituzione9, è sembrato volerPage 602 “costituzionalizzare” una serie di disposizioni normative spiccatamente “anti-deficit” democratico10. Dall’altro lato, ha acuito quella tendenza già presente a misurare l’Unione europea con parametri statuali che utilizzati come standards democratici hanno finito per esasperarne le carenze normative ed istituzionali dando luogo ad una petizione di principio: l’Unione europea non è uno Stato e, seppur basata su un processo di integrazione sempre più stretto tra i popoli d’Europa, mira a mantenere salda l’identità costituzionale degli Stati membri e l’identità culturale dei suoi popoli11 all’evidente scopo di non risultare meno democratica se non addirittura anti-democratica rispetto alle sue strutture statali di base.

La prospettiva di indagine, allora, sembra aver senso a patto che si utilizzi come punto di partenza, non lo Stato come modello di comparazione, ma i processi di integrazione costituzionale degli Stati membri come legittimazione o, come si dirà – con terminologia sommessamente introdotta nel presente lavoro –, “ri-legittimazione” costituzionale o di base. L’interazione dei poteri pubblici, non necessariamente ristretti nei confini del solo Stato nazionale, risulta essere, infatti, la caratteristica peculiare del sistema giuridico di vita economica, sociale, civile e politica euro-nazionale, che deve la sua conformazione ad un processo di integrazione istituzionale e normativa degli ordinamenti costituzionali degli Stati membri. Il risultato è un ordinamento, almeno bi-level (rectius multilevel) a valenza non solo interstatuale, ma anche interindividuale come proprium della democrazia12.

Viceversa, dal lato opposto del diritto internazionale “regionale” europeo, le revisioni dei Trattati comunitari e di Unione sembrano aver tradotto un progressivo processo di “democratizzazione” interno-esterna13 (anche in corrispondenzaPage 603 all’ingresso di nuovi gruppi di Stati continentali europei caratterizzati da peculiari tradizioni nazionali segnate da marcate differenze), tanto da configurare una immanente, a volta implicita, a volte esplicita, “politica di revisione”. Il tutto mediante norme transitorie e finali di passaggio dai progressivi “regimi” intesi come gradualmente modificativi e/o integrativi delle norme precedenti (ne è sintomatica la stessa dicitura di Trattati istitutivi, modificativi ed integrativi). In questa seconda prospettiva, il tanto contestato deficit democratico troverebbe una sua autonoma e graduale compensazione nei processi di revisione, finalizzati alla “formalizzazione” di principi e regole sostanziali e procedurali nei Trattati comunitari e di Unione anche sulla base della pratica quotidiana delle istituzioni comunitarie, prime fra tutte il Consiglio europeo e la Corte di giustizia.

Le continue revisioni, infatti, hanno, da un lato, consolidato l’identità dell’Unione, nell’evoluzione dei principi del liberismo economico prima14, e nel rafforzamento dei principi democratici poi, (primo fra tutti quello dello Stato di diritto), dall’altro lato, hanno progressivamente cristallizzato e messo a punto i principi di collegamento strutturale, procedurale e funzionale di un più complesso sistema giuridico che è per sua natura bi-level o euro-nazionale. Il tutto si è tradotto in una “lista” di apposite norme anti-deficit, intese come norme di standards dirette a configurare le caratteristiche fondamentali dell’ordinamento comunitario-unionistico. Più in generale, se a livello statuale l’efficienza dei poteri pubblici è ancorata a regole di ordine costituzionale che traducono i principi fondanti degli ordinamenti costituzionali democratici, allora si potrebbero ipotizzare analoghe norme di standards che individuano i fattori di efficienza di un sistema, questa volta, internazionalmente qualificabile come democratico in quanto diretto al bene comune od al welfare collettivo15.

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Ne consegue che il dibattito sul deficit democratico nell’Unione europea sembrerebbe avere senso solo attraverso un puntuale e rigoroso riscontro del dato normativo o dei dati normativi progressivamente e successivamente intervenuti a definire il sistema giuridico comunitario-unionistico in senso più democratico. In quest’ottica la comparazione tra le norme del Trattato costituzionale come dovrebbero essere recepite nelle norme dei Trattati comunitari e unionistici pregressi, secondo le indicazioni fornite dalle Conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles del 21/22 giugno 2007 e contenute nel Progetto di Trattato di riforma, può consentire di individuare gli standards democratici da cui è partito e si è ispirato il processo di revisione per un “nuovo” assetto ordinamentale, normativo ed istituzionale dell’Unione europea. L’ulteriore riferimento alla riorganizzazione della membership statuale ed alla revisione costituzionale italiana mirano ad ipotizzare che se il deficit democratico esiste, esso “vive” tra le “pieghe o le maglie” di un sistema giuridico multilevel e trova compensazione con riferimento, ora all’ordinamento comunitario-unionistico, ora agli ordinamenti degli Stati membri16.

@2. Nozione di “anti-deficit” come riferibile ad una finalità del processo di revisione

2. Dando allora per presupposto il deficit democratico dell’ordinamento comunitario-unionistico, non resta che valutare le sue opposte tendenze o misure, per così dire, “anti-deficit”. In primo luogo, non sfugge come l’ordinamento comunitario-unionistico, nato quale prodotto collettivo degli Stati membri uti socii, si sia caratterizzato per la sua singolare capacità di “rigenerarsi”17Page 605 legata ad una forma di revisione, non solo normativamente disciplinata (attuale art. 48 TUE), ma anche temporalmente fissata e scadenzata. Alla regola classica dell’emendamento per accordo fra le parti dei trattati internazionali (parte IV della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969), quelli istitutivi delle Comunità/Unione hanno opposto una clausola di revisione ad hoc, oltre le alternative o ulteriori forme di modifica del sistema giuridico istituzionale, normativo, decisionale, ecc. Pertanto, ai disciplinati processi di revisione si sono aggiunti interventi mirati su specifici aspetti18.

Di conseguenza, la nozione di deficit è sembrata essere immanente espressione di un ordinamento “in progress” che attraverso la revisione recepisce normativamente le sue evoluzioni e si perfeziona. In questo senso, i singoli processi di revisione si sono da sempre contraddistinti per essere temporanei e recettivi. A ben vedere, la revisione ha assunto nei Trattati comunitario-unionistici una funzione finalistica per così dire di registrazione...

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