La nuova disciplina giuridica sul finanziamento dei “partiti politici a livello europeo”

AuthorFrancesco Seatzu
PositionAssociato di Diritto internazionale nell’Università degli studi di Cagliari
Pages575-595

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@1. Considerazioni introduttive

1. Come è noto, il 4 novembre 2003 è stato adottato il regolamento (CE) n. 2004/2003, concernente le attività e il sostegno finanziario dei partiti politici europei. Tale provvedimento normativo, concretamente operante dopo le elezioni del Parlamento europeo del giugno 20041, ha previsto, per adoperare le parole del suo 2° “considerando”, un articolato sistema “(...) di norme di base, in forma di statuto, per i partiti politici a livello europeo, in particolare in relazione al loro finanziamento”2.

È proseguito, in tale maniera, l’impegno delle istituzioni comunitarie diretto a superare l’annosa questione del deficit democratico, ridotto soltanto parzialmente dal progressivo potenziamento dei poteri decisionali del Parlamento europeo3.

Il regolamento in parola si inserisce, quindi, nella scia dell’attualissimo dibattito sulla partecipazione della società civile nelle sue molteplici manifestazioni e varianti alla vita istituzionale comunitaria, anche al fine di rendere l’azione delle istituzioni europee trasparente e, così come richiesto dal principioPage 576 della buona amministrazione, effettivamente prossima agli interessi dei cittadini4.

Al fine di cogliere i tratti maggiormente salienti ed innovativi della disciplina de quo, recentemente emendata dal regolamento (CE) n. 1524/2007 recante modifiche al regolamento 2004/20035, ma anche allo scopo di individuarne le linee-guida per gli eventuali sviluppi futuri dell’attività normativa comunitaria nel settore che ci occupa, risulta utile riprendere taluni profili del dibattito sull’esistenza e il fondamento giuridico-costituzionale dei partiti politici a livello europeo. Il punto di partenza è la semplice considerazione che l’esclusione assoluta, ma anche eventualmente relativa, dei partiti politici europei (specialmente dei partiti costituiti da singoli individui) si riflette invariabilmente sull’operatività delle basilari regole di democrazia ed altera, in negativo, sia la qualità della legislazione secondaria prodotta nei vari settori di competenza delle istituzioni comunitarie, sia l’ordinario processo di formazione di una coscienza europea6: per evitare che i cittadini europei siano sostanzialmente estranei allo sviluppo delle singole politiche comunitarie diviene, pertanto, una priorità dell’Unione introdurre norme che assicurino una reale rappresentatività della società civile e dei suoi interessi nelle sedi deputate all’esercizio del potere normativo, anche e forse soprattutto mediante l’introduzione di disposizioni che affrontino e risolvano le delicate questioni riguardanti il finanziamento dei partiti politici riconosciuti ed operanti nell’arena comunitaria7. In altre parole, per garantire un’equilibrata e democratica partecipazione dei partiti politici alla vita istituzionale dell’Unione europea non è affatto sufficiente l’introduzione di norme sul riconoscimento ed il controllo di tali soggetti, ma è necessario anche che il bilancio comunitario tenga conto delle esigenze e dei costi effettivi di tale coinvolgimento8. Ciò anche dal momento che soltanto tramite i sussidi pubblici risultaPage 577 possibile mantenere una certa eguaglianza tra i singoli attori politici coinvolti e anche fornire un “campo di gioco regolamentare”9 ai partiti e ai rappresentanti della società civile10.

Nel rinviare, al termine del presente lavoro, le considerazioni sul grado di effettività e sui risultati finora raggiunti dal regolamento 2004/2003 occorre, innanzitutto, porre l’accento sulla scelta di metodo operata a livello europeo e, in particolare, sulla circostanza che – così come in altri casi (si pensi, ad esempio, al regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2001 relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione11) – per garantire la trasparenza e l’incisività dell’azione rappresentativa svolta dai partiti politici si è preferito optare per l’introduzione di norme regolamentari, piuttosto che procedere ad una parziale riforma dei Trattati comunitari12. È d’altra parte evidente che sarebbe stato assai arduo percorrere in concreto una via differente: atteso, infatti, che un conto è rispettivamente attribuire e imporre ai partiti politici europei dei diritti soggettivi e degli obblighi ispirati a principi giuridici previsti in un atto di diritto secondario (consentendo che, tuttavia, i regimi giuridici interni e cioè gli statuti dei partiti politici restino per taluni aspetti, anche salienti, differenti tra loro), un altro conto sarebbe stato, invece, imporre, tramite una riforma costituzionale verosimilmente piuttosto lenta e impegnativa, delle norme e dei precetti sostanzialmente inderogabili da parte dei loro diretti destinatari.

Si tratta, pertanto, di una scelta metodologica precisa e ben consapevole: la riprova si rinviene nel fatto che se ne trova un’evidente traccia già nella proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea il 19 febbraio 200313.

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Ma è specialmente il dato letterale dell’art. 191 TCE a non lasciare incertezze interpretative: l’obiettivo delle istituzioni comunitarie (il Parlamento europeo e il Consiglio) è la creazione di una rete di norme comunitarie, di carattere generale, che garantiscano l’integrazione progressiva dei partiti politici europei nell’apparato organico-istituzionale dell’Unione, anche tramite meccanismi e incentivi di tipo finanziario14.

Nel porre mano al settore della disciplina dei partiti politici europei si è, quindi, preferito garantire il riconoscimento e l’integrazione di entità partitiche ontologicamente differenti dai partiti nazionali, che pure possono concorrere alla loro formazione, in luogo della via scarsamente realistica di un coinvolgimento sic et simpliciter nella realtà istituzionale dell’Unione europea di associazioni partitiche nazionali in quanto tali, o anche eventualmente delle coalizioni a livello europeo di partiti nazionali già esistenti al momento dell’entrata in vigore delle disposizioni regolamentari15; e così, fino ad oggi, l’intervento normativo comunitario ha implicato la creazione di un corpus di regole comuni, per di più a termine, che investe soltanto le materie per le quali una disciplina giuridica risulta strettamente necessaria ai fini di una partecipazione effettiva dei partiti europei alle vicende ordinarie delle istituzioni comunitarie e tra queste in primis del Parlamento europeo.

Nello scenario normativo appena descritto si colloca il regolamento 2004/2003 nella versione emendata dalla novella del 2007, che, è bene chiarirlo immediatamente, non impone ai partiti politici europei una disciplina esaustiva, specialmente (ma non soltanto) per quanto concerne i loro profili finanziari, ma rinvia ai diritti interni degli Stati membri per la successiva regolamentazione di taluni aspetti, anche salienti, delle strutture e della vita di relazione di tali partiti politici (emblematica è, a tale proposito, la mancata previsione di una personalità giuridica unitaria dei partiti a livello europeo, vale a dire di una loro soggettività giuridica valevole in tutto il territorio comunitario).

Prima di esaminare analiticamente i contenuti del regolamento in considerazione, sembra opportuno ripercorrere, sia pure nel rispetto della natura e deiPage 579 limiti del presente lavoro, l’evoluzione storica della disciplina comunitaria in tema di riconoscimento e integrazione dei partiti politici a livello europeo, esporne il contenuto attuale ed illustrarne gli obiettivi previsti, nonché lo sviluppo subìto dalla normativa riguardante le modalità di finanziamento pubblico dei partiti europei. Ciò fornirà i dati giuridici necessari per affrontare la tematica che più ci interessa, in una maniera nel medesimo tempo critica ed autonoma.

  1. I partiti politici nella dimensione giuridica del processo di integrazione europea

2. Prima facie abbastanza sorprendente, la prolungata estraneità dei partiti politici europei al processo di integrazione comunitaria agevolmente si spiega, se la nostra lettura del fenomeno è corretta, avendo riguardo rispettivamente: 1) alla circostanza che i partiti europei sono sempre stati delle “comparse piuttosto che dei protagonisti nel sistema dell’Unione europea”16; 2) alle marcate peculiarità del potere decisionale nel contesto istituzionale dell’Unione ed, in particolare, al suo esercizio ab origine esclusivo da parte del Consiglio (l’ente-istituzione rappresentativo dei Governi degli Stati membri); 3) in terzo luogo, con l’assenza di una “costituzionalizzazione” del ruolo dei partiti politici nei Trattati comunitari, protrattasi per oltre quaranta anni17. Deve comunque essere precisato, rispetto a quanto appena osservato, che la graduale e sempre più estesa “erosione” della competenza decisionale del Consiglio dell’Unione a favore dell’istituzione rappresentativa dei popoli europei non è stata accompagnata però da un corrispondente e altrettanto graduale riconoscimento e coinvolgimento dei partiti politici nelle vicende istituzionali comunitarie.

Qualche timido accenno ad una volontà politica orientata nel senso di una reale presa di coscienza dell’importanza dei partiti nel contesto comunitario può riscontrarsi però nei dibattiti seguiti alla prime elezioni del Parlamento europeo a suffragio universale diretto, tenutesi nel giugno 197918, ed in particolare nelle dichiarazioni favorevoli sia all’introduzione di una più intensa cooperazione tra i singoli partiti nazionali facenti parte del partito europeo sia all’esplicita previsione di risorse finanziarie quantitativamente sufficienti a fronteggiare le spese sostenute in occasione delle elezioni europee19. Senza volere negare qui la rile-Page 580vanza, soprattutto politico-diplomatica, di tali affermazioni resta comunque il fatto che esse non hanno scalfito il primato dei gruppi parlamentari europei, da cui poi gradualmente hanno avuto origine i primi partiti...

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