L'interazione fra i parlamenti nazionali e le istituzioni comunitarie dopo Lisbona

AuthorSaverio de Bellis
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Saverio de Bellis

L’interazione fra i parlamenti nazionali e le istituzioni comunitarie dopo Lisbona

Sommario: 1. Il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e l’affermazione dei principi democratici nell’Unione europea. – 2. I principi di attribuzione e di proporzionalità. Il principio di sussidiarietà. – 3. Il ruolo dei parlamenti nazionali in tema di controllo del rispetto del principio di sussidiarietà. – 4. Il ruolo dei parlamenti nazionali nella formazione della posizione dello Stato. – 5. Il ruolo dei parlamenti nazionali nelle questioni di sicurezza, pace e giustizia. – 6. Il ruolo dei parlamenti nazionali nella revisione dei Trattati. – 7. Conclusioni.

Il deficit democratico nelle Comunità europee ha da tempo attirato l’attenzione degli studiosi di diritto comunitario, non tanto perché il sistema istituzionale comunitario appare dominato da un’istituzione che cumula poteri legislativi e di governo, il Consiglio dell’Unione europea, e da un’istituzione burocratica e tecnocratica che non ha un’effettiva legittimità democratica, la Commissione europea, quanto in ragione della possibilità più o meno marcata dei Governi degli Stati membri dell’Unione di eludere i controlli delle minoranze parlamentari nazionali attraverso i meccanismi decisionali e normativi comunitari1

1 W. Sleath, The Role of National Parliaments in European Affairs, in G. Amato, H. Bribosia, B. De Witte (eds.), Genesis and Destiny of the European Constitution, Bruxelles, 2007, pp. 545–564. In realtà il tema del deficit democratico, prima nelle Comunità europee e poi nell’Unione europea, ha radici ben più risalenti: v., per tutti, N. Ronzitti, Elezione a suffragio universale e controllo democratico del processo di integrazione europea, in G. Zagrebelsky, N. Ronzitti, A. Tizzano, A. Giardina, E. Vinci, Parlamento europeo, forze politiche e diritti dei cittadini, Milano, 1979, p. 72 ss.; A. Pliakos, L’Union européenne et le Parlement européen: y at-il un déficit démocratique?, in Revue du Droit Public et de la science politique en France et a l’étranger, 1991, p. 393 ss.; U. Villani, Il deficit democratico nella formazione del diritto comunitario, in DCSI, 1992, p. 310 ss., il quale rileva per un verso che con i Trattati istitutivi delle Comunità europee si è in realtà operato non solo un trasferimento di poteri dagli Stati alle Comunità, ma anche un trasferimento di poteri dai parlamenti nazionali a ai governi nazionali riuniti nel Consiglio, e per altro verso che esiste un deficit democratico anche in ordine agli atti comunitari; Id., Principi democratici e diritti fondamentali nella “Costituzione europea”, in CI, 2005, p. 643 ss.; M. Fragola, Deficit democratico e procedura di revisione dei trattati nel processo di integrazione europea, in DCSI, 2007, p. 629 ss.; T. Russo, Le norme “anti-deficit” democratico nell’Unione europea, in questa Rivista, 2007, p. 599 ss.; C. Pinelli, Il deficit democratico europeo e le risposte del Trattato di Lisbona, in Rassegna parlamentare, 2008, p. 925 ss.

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Il deficit democratico è stato poi diversamente inteso, quale assenza di partiti politici transnazionali, ed invocato per sostenere che l’Unione europea e le sue istanze soffrono di una mancanza di legittimità democratica e che sembrano inaccessibili al cittadino a causa della complessità del loro funzionamento2. Ora, è ben vero che l’Unione europea possa essere avvertita come distante e inaccessibile da parte del cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, ma asserire che il principale anello mancante della democrazia europea vada individuato nell’assenza di partiti politici europei, ci sembra non tenga conto della realtà: i partiti politici europei esistono, e da tempo.

Ci si è chiesto anche se sia corretto parlare di deficit democratico, ed in genere di democrazia, per enti che, come le Comunità, hanno natura non assimilabile a quella dello Stato: i princìpi basilari dello Stato democratico potrebbero non essere trasferibili alla realtà comunitaria. In ordine alla diversa natura tra i due enti e alla consequenziale possibilità di configurare la democrazia anche per le Comunità, va rilevato che il rispetto dei principi della democrazia parlamentare pluralista è condizione per l’ammissione di un nuovo Stato membro e la Comunità deve applicare i principi il cui rispetto richiede ai propri membri. Tanto più che l’essenza della democrazia consiste nel potere, diretto e indiretto, dei cittadini di provocare l’approvazione, di sanzionare e di approvare leggi che siano imposte ai cittadini stessi3.

Va rilevato che ad ogni tappa che ha segnato l’integrazione europea, la questione della legittimità democratica si è imposta all’attenzione in modo sempre più forte. I Trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza hanno ritenuto di rispondere alle esigenze di legittimità democratica nell’ambito del sistema istituzionale, rafforzando i poteri del Parlamento in materia di designazione e controllo della Commissione, nonché ampliando gradualmente il campo di applicazione della procedura di codecisione.

Tale tema è tornato di attualità, in particolare, dopo l’abbandono del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, il quale presentava disposizioni tendenti appunto a colmare o, almeno, a diminuire il deficit in parola4. Non a caso,

and the Role of the European Parliament, Roma, 2010; E. GrEco, L’anello mancante della democrazia europea, in www.affarinternazionali.it (reperibile on line), 19 marzo 2009.

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quindi, il Trattato di Lisbona presenta anch’esso disposizioni che mirano a colmare o, quanto meno, ridurre questo deficit5. Il titolo II TUE, che reca le “Disposizioni relative ai principi democratici”, si apre con l’art. 9 che, dopo aver affermato il principio dell’uguaglianza dei cittadini dell’Unione europea, ribadisce la tradizionale definizione della cittadinanza dell’Unione.

L’art. 10 TUE stabilisce che i cittadini devono essere rappresentati direttamente nel Parlamento europeo (PE), mediante elezioni a suffragio universale, e indirettamente – tramite i propri Governi, responsabili dinanzi ai propri parlamenti nazionali – in seno al Consiglio europeo ed al Consiglio. Sembrerebbe che la disposizione si limiti a registrare che a partire dal 1979, data della prima elezione del PE a suffragio universale, i cittadini sono direttamente rappresentati nell’Unione, oltre che indirettamente attraverso i loro Governi riuniti nelle diverse formazioni consiliari. Tuttavia va rilevato che, dal 1979 (e segnatamente a partire dall’Atto unico europeo del 1986), il numero delle decisioni consiliari prese a maggioranza qualificata è andato aumentando, fino a diventare la regola col Trattato di Lisbona, salve limitate eccezioni; e lo stesso può dirsi per gli atti legislativi da adottarsi con la procedura di codecisione fra Consiglio e Parlamento europeo. Ciò induce a ritenere che la disposizione vada collegata al forte spostamento a favore del Parlamento europeo del centro di imputazione del potere legislativo contestualmente realizzato. Il riferimento ai parlamenti nazionali anticipa il potenziamento del loro ruolo che emerge dal successivo art. 12 TUE.

L’art. 11 TUE, in tema di democrazia partecipativa, prevede che cittadini e associazioni possano partecipare alla vita dell’Unione facendo conoscere le loro opinioni in tutti i settori della vita dell’Unione: un milione di cittadini, aventi la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, può invitare la Commissione a presentare una proposta appropriata, secondo le procedure ed alle condizioni fissate da apposito regolamento6. Va rilevato che questa iniziativa di cittadini e/o associazioni non impone alcun obbligo alla Commissione che, nell’ambito delle proprie attribuzioni, potrebbe non darvi seguito, sebbene sia improbabile che lo faccia7. Appare qui evidente il tentativo di rispondere alle questioni presenti nel dibattito sul deficit democratico riconoscendo che la democrazia non si identifica esclusivamente con la rappresentanza politica8 e

che a questa si affiancano le procedure e gli istituti di democrazia partecipativa

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e di trasparenza dell’azione pubblica, nonché un embrionale riconoscimenti di istituti di democrazia diretta di cui sarà interessante seguire gli sviluppi. È di aprile 2010 la notizia che la Commissione ha proposto uno schema attuativo dell’Iniziativa dei cittadini europei, secondo cui almeno un milione di cittadini dell’Unione appartenenti ad almeno un terzo degli Stati membri possono invitare la Commissione a presentare proposte normative nei settori di sua competenza. Lo schema prevede un limite di tempo di un anno per la raccolta delle firme dei cittadini dell’Unione e lascia alla Commissione quattro mesi per esaminare l’iniziativa e per decidere come agire. In ciascuno Stato membro il numero delle firme necessarie sarà determinato moltiplicando per 750 il numero dei deputati al Parlamento europeo per quello Stato membro. I firmatari devono avere almeno l’età minima per esercitare l’elettorato attivo al Parlamento europeo. Le iniziative proposte saranno registrate su un supporto on line messo a disposizione dalla Commissione. La registrazione però potrà essere rifiutata se l’iniziativa è in aperto contrasto con i valori fondamentali dell’Unione. Al raggiungimento di 300.000 firme in tre Stati membri, gli organizzatori sono tenuti a chiedere alla Commissione di verificare l’ammissibilità dell’iniziativa e la Commissione renderà pubblica la sua valutazione nei due mesi successivi9.

L’art. 12 TUE, destinato a valorizzare il ruolo dei parlamenti nazionali nell’ordinamento giuridico dell’Unione, indica i contributi che tali parlamenti possono apportare al funzionamento dell’Unione.

L’idea di coinvolgere i parlamenti nazionali nelle attività delle Comunità prima, e dell’Unione dopo, non è nuova e...

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