I Principi delimitativi tra le competenze dell'Unione europea e quelle degli Stati membri

AuthorVillani, Ugo
Pages59-96
CAPITOLO III
I PRINCIPI DELIMITATIVI
TRA LE COMPETENZE DELL’UNIONE EUROPEA
E QUELLE DEGLI STATI MEMBRI
1. Le competenze di attribuzione
Le competenze dell’Unione sono delimitate rispetto a quelle esercitabili da-
gli Stati membri in base ad alcuni principi, i quali segnano, per così dire, lo
spartiacque tra le competenze delle istituzioni europee e quelle che restano
nell’ambito di tali Stati. Essi riguardano sia la delimitazione delle competenze
tra l’Unione e gli Stati membri, sia l’esercizio di tali competenze, una volta de-
finito l’ambito della loro appartenenza rispettiva, oppure – come più spesso
accade – sulla base di una competenza condivisa tra l’Unione e gli Stati membri.
Il primo principio viene in rilievo ai fini della ripartizione delle competenze
tra l’Unione e gli Stati membri. Si tratta del principio di attribuzione:
«In virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusi va mente nei
limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per
realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qual siasi competenza non attribuita
all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri» (art. 5, par. 2, TUE).
In tale disposizione il principio è riferito all’Unione, unita ria mente intesa. Il
successivo art. 13, par. 2, TUE ne fa applicazione alle istituzioni dell’Unione,
dichiarando:
«Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono confe-
rite dai Trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste».
Il principio in esame è ribadito in altre disposizioni (art. 3, par. 6, e art. 4, par.
1, TUE e art. 7 TFUE), a dimostrazione di quanto gli Stati membri tengano alla
sua osservanza.
Il principio delle competenze di attribuzione significa che l’Unio ne dispone
esclusivamente di quelle funzioni e di quei poteri che gli Stati membri, volonta-
riamente, hanno convenuto di attribuirle mediante i Trattati istitutivi, ogni altra
competenza restando nelle mani degli Stati. In altri termini, i poteri dell’Unione
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europea non sono “originari”, poteri, cioè, che essa possiede per forza propria,
come lo Stato è titolare della sovranità territoriale a titolo originario, per il fatto
stesso che esercita un controllo esclusivo su una determinata comunità territo-
riale. I suoi poteri, al contrario, sono “derivati”, in quanto attribuiti dagli Stati
membri volontariamente, attraverso gli accordi istitutivi dell’Unione e, in prece-
denza, delle Comunità. Tale carattere dei poteri dell’Unione conferma che essa
non intende assurgere a una sorta di super Stato, o Stato federale, ma, malgrado
le peculiarità del fenomeno dell’inte grazione europea, si colloca, per questo pro-
filo, nel solco delle orga nizzazioni internazionali, i cui poteri derivano dall’ac-
cordo istitu tivo e in tale accordo trovano il proprio fondamento e i propri limiti.
L’assenza di un intento federalistico, nell’attuale sistema europeo, è confermata
dall’art. 4, par. 2, TUE, che – facendo seguito alla riaffermazione secondo la
quale qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli
Stati membri – dispone:
«L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati e la
loro identità nazionale insita nella loro struttura fonda mentale, politica e costitu-
zionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali».
La norma prosegue facendo esplicito riferimento alla necessità che l’Unione
rispetti le funzioni essenziali dello Stato relative all’in tegrità territoriale, all’or-
dine pubblico, alla sicurezza nazionale, dichia rata, in particolare, di esclusiva
competenza di ciascuno Stato membro.
Se tale norma ha il sicuro significato, politico e giuridico, di salvaguardare la
sovranità degli Stati membri escludendo – allo stato attuale ogni trasforma-
zione dell’Unione europea in una entità federale, una più ampia portata ha il rife-
rimento all’identità nazionale degli Stati membri. È questo un concetto che va
oltre i profili della sovranità e della costituzione dello Stato. Esso significa anche
il complesso della cultura, della civiltà, delle tradizioni, dell’arte di ciascuno
Stato; e il suo rispetto esprime l’esigenza di preservare le specificità, le “diver-
sità” di ciascuno Stato, le quali non vanno annullate in nome di un’ipotetica
“omologazione” a livello europeo, che, in concreto, rischierebbe di tradursi nella
imposizione dei modelli degli Stati più forti (da un punto di vista economico,
politico, linguistico) sugli altri. Tale visione dell’identità nazionale è confermata
dall’esplicita previsione secondo la quale l’Unione
«rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla sal-
vaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo» (art. 3, par. 3, 4°
comma, TUE).
Ciò non significa negare un’identità culturale europea, che anzi la norma te-
sté menzionata espressamente enuncia. Ma tale identità euro pea va vista come un
continuo arricchimento che nasce dall’in contro, dalla reciproca conoscenza, dal
reciproco apprezzamento della ricchez za di civiltà e di cultura della quale ogni
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Stato membro è portatore. In questo senso la disposizione in esame si lega al
proposito, enunciato dagli Stati membri nel preambolo del Trattato sull’Unione
europea, di
«intensificare la solidarietà tra i loro popoli rispettandone la storia, la cultura e le
tradizioni».
In maniera particolarmente espressiva l’immagine di un’Europa che nasce
dal reciproco arricchimento delle differenti identità nazionali emergeva dal motto
adottato dalla “Costituzione europea” (art. 1-8):
«Il motto dell’Unione è: “Unita nella diversità”».
Il rispetto del principio di attribuzione è giuridicamente sanzio nato. Ove, in-
fatti, l’Unione o le sue istituzioni agissero al di là delle competenze ad esse con-
ferite, gli atti emanati sarebbero illegittimi, in quanto viziati da incompetenza e
– come vedremo (Cap. VIII, par. 12) – soggetti a dichiarazione di nullità da parte
dei giudici dell’Unione.
La Corte di giustizia ha più volte ribadito che le competenze della Comunità
– oggi diventata Unione – sono soltanto quelle attri bui te dalle disposizioni dei
Trattati e non possono spingersi oltre l’ambito da esse risultanti. Per esempio, nel
noto parere 2/94 del 28 marzo 1996 sull’adesione della Comunità europea alla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, essa ha dichiarato che la Comunità
non aveva la competenza per aderire a questa Convenzione sulla base delle se-
guenti considerazioni:
«Dall’art. 3 B [oggi 5 TUE], a termini del quale la Comunità [oggi Unione]
agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono
assegnati dal Trattato, emerge che essa disponga unicamente di poteri attribuiti.
Il rispetto di detto principio dei poteri attribuiti vale per quanto riguarda
l’operato sia interno che internazionale della Comunità […].
Si deve rilevare che nessuna disposizione del Trattato attribuisce alle istitu-
zioni comunitarie [oggi dell’Unione], in termini generali, il potere di dettare
norme in materia di diritti dell’uomo o di concludere convenzioni internazionali
in tale settore».
Analogamente, nella sentenza del 5 ottobre 2000, causa C-376/98, Germa -
nia c. Parlamento e Consi glio, la Corte ha annullato una direttiva del 6 luglio
1998 sul ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri in materia di
pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco, la quale
prevedeva una serie di divieti di pub bli cità, osservando, tra l’altro, che tali di-
vieti non potevano essere pre scritti in base all’art. 100 A, par. 1, del Trattato
sulla Comunità europea (corrispondente, con modifiche, all’attuale art. 114
TFUE), il quale attribuiva alla Comunità la competenza ad adottare i provve-
dimenti relativi al ravvicinamento delle legislazioni statali “che hanno per og-

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