La riforma del regime delle radiofrequenze nel quadro delle comunicazioni elettroniche

AuthorGiandonato Caggiano
Pages79-102

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@1. Introduzione

1. La politica dello spettro radio è uno degli aspetti del mercato interno delle comunicazioni elettroniche, in cui si registrano i maggiori cambiamenti dopo l'adozione della direttiva 2009/140/CE (in prosieguo: direttiva legiferare meglio)1. La maggiore flessibilità tecnologica ed i risultati ottenuti dalle misure di regolazione sono alla base di questa parziale riforma, che accresce la liberalizzazione dei mercati, realizzata circa dieci anni fa per quanto riguarda l'accesso degli operatori alle reti e ai servizi di telecomunicazioni.

La decisione sullo spettro radio n. 2002/676/CE (in prosieguo: decisione spettro radio) riconosce l'interesse generale degli Stati membri nella gestione delle radiofrequenze a tutela dei diritti fondamentali negli ordinamenti nazionali, in quanto contribuisce "alla libertà di espressione che comprende la libertà di opinione e la libertà di ottenere e trasmettere informazioni e idee senza distinzione di frontiere nonché la libertà dei mezzi di comunicazione di massa e il loro pluralismo"2.

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Nella definizione della direttiva legiferare meglio, le radiofrequenze sono "una risorsa pubblica molto limitata", che riveste un importante valore sociale, culturale ed economico3. Il nuovo regime è caratterizzato dalla libertà di scambi tra privati e dalla progressiva affermazione del principio di neutralità dei servizi, mentre ridefinisce responsabilità e funzioni degli Stati membri in un quadro di principi comuni europei e, se del caso, di armonizzazione normativa dell'utilizzazione di specifiche bande di frequenza.

Secondo la Corte di giustizia dell'Unione europea, le Amministrazioni e le Autorità di regolazione nazionale (in prosieguo: ARN) non partecipano "allo sfruttamento del bene costituito dai diritti d'uso dello spettro delle frequenze radio", ma esercitano esclusivamente un'attività di controllo e di regolamentazione4. In altre parole, il canone pagato dagli operatori per il diritto d'uso di una banda di frequenza non costituisce una forma di partecipazione dello Stato membro all'attività economica svolta dai privati. Tale ruolo non cambia neanche in occasione del trasferimento dei diritti d'uso tra privati.

Nel caso Bouygues, il Tribunale dell'UE ha ribadito il valore economico delle licenze, che autorizzano l'esercizio di un'attività economica e rappresentano "titoli per l'occupazione o l'utilizzo del demanio pubblico corrispondente"5. L'ARN fissa l'importo dei canoni dovuti dagli operatori interessati, in considerazione del presumibile valore6. Agli Stati membri spetta, al contempo, un ruolo di regolamentazione delle comunicazioni e un "ruolo di gestione del patrimonio pubblico costituito dallo spazio hertziano"7. La Corte di giustizia, confermando la correttezza di tali affermazioni, precisa che il valore delle licenze dipende dal momento dell'accesso al mercato di ogni singolo operatore interessato al

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momento dell'inizio dell'erogazione del servizio, vale a dire dalla concreta utilizzazione delle frequenze 8.

@2. Definizione e natura giuridica del diritto d'uso delle frequenze

2. Le frequenze sono considerate dalla dottrina prevalente un bene di proprietà pubblica9. L'impostazione tradizionale considera lo spettro radio come una risorsa naturale, costituita da onde radioelettriche con diversa capacità fisica di propagazione, rappresentabile con metafore di tipo spazio-territoriale10. A seguito degli sviluppi tecnologici, appare invece preferibile porre la prospettiva dell'analisi giuridica piuttosto sull'attività di comunicazione elettronica "senza fili", che sulle bande di frequenza11. Dopo la fine del periodo transitorio della riforma in parola, saranno soprattutto gli operatori a determinare quali e quante siano le bande di frequenze da utilizzare, nonché le caratteristiche delle apparecchiature di trasmissione e ricezione, per l'erogazione delle diverse tipologie di servizi senza interferenze dannose (principio di neutralità tecnologica e dei servizi). Il ruolo delle amministrazioni nazionali e dell'Unione si modifica in materia tramite l'ampliamento del ruolo di controllo e la riduzione delle funzioni di pianificazione e gestione.

Nell'evoluzione in corso, la natura giuridica del bene pubblico delle frequenze può essere oggi declinata, almeno in parte, nella variante dei "beni comuni" (commons)12. Negli Stati Uniti, il diritto individuale d'uso di una banda

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di frequenza è definito come property rights, equivalenti a diritti esclusivi con gli obblighi previsti nella licenza d'uso (tecnologia, potenza, servizio, ambito di diffusione) distinti dall'ownership che resta pubblico13.

In alcune frequenze, un approccio secondo la teoria dei "beni comuni" consente un regime aperto di utilizzazione (senza licenza). A partire dalla celebre metafora della "tragedia dei commons", la dottrina ha esaminato le conseguenze negative di un regime di "accesso comune" alle risorse naturali (ad es. la pesca) e, nello specifico, il rischio di uno sfruttamento non coordinato delle frequenze. Tuttavia, l'analisi critica si è esercitata ugualmente nei confronti del regime in vigore di diritti esclusivi (property rights) per il rischio di conflitti o di congelamento per incapacità o mancanza di interesse da parte del titolare14. La riflessione sugli incentivi per un sistema ottimale è proseguita manifestando una preferenza per un regime misto delle frequenze15.

Di conseguenza, nella prassi degli anni '90, è entrato in crisi il modello tradizionale dell'assegnazione dei diritti individuali d'uso agli operatori, sulla base di

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una valutazione di idoneità allo svolgimento dell'attività, da parte dell'Amministrazione (command and controll). In particolare, l'Autorità americana di regolazione (FCC) ha introdotto la prassi delle aste, riconoscendo la validità della celebre tesi del premio Nobel Coase, favorevole ad un mercato delle frequenze e sostenitore del concetto di impresa come "aggregazione di diritti proprietari"16.

@3. Base giuridica e quadro normativo-istituzionale

3. La politica dello spettro radio non è prevista nei Trattati istitutivi, quale settore specifico di competenza materiale dell'Unione europea17. Tutte le misure adottate nel settore delle comunicazioni elettroniche hanno come base giuridica l'art. 114 TFUE (già art. 95 TCE) sul ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri per l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno. In generale, la disciplina europea delle comunicazioni elettroniche tende alla creazione di uno "spazio unico dell'informazione"18 e può essere considerata un aspetto della circolazione della conoscenza e dell'innovazione, per cui è invalso l'uso metaforico dell'espressione "quinta libertà" del mercato19.

L'esercizio di tale competenza può richiedere sia un coordinamento nella pianificazione strategica (allocazione), che un'armonizzazione di specifiche bande di frequenza (assegnazione) oppure dei principi e delle modalità di accesso alla loro concreta utilizzazione da parte degli operatori (attribuzione). Nelle relazioni esterne, la politica comune si realizza in occasione della pianificazione internazionale e del coordinamento internazionale (Conferenze mondiali sulle radiocomunicazioni dell'UIT) e regionale europeo (CEPT)20.

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Una disciplina della comunicazione senza fili si è affermata già agli inizi degli anni '90, sia per lo sviluppo di "servizi paneuropei", sia per lo sviluppo di un mercato europeo delle apparecchiature necessarie, incluso il reciproco riconoscimento della loro conformità21. Nell'evoluzione della materia, le prime misure adottate dal Consiglio22 hanno assunto natura legislativa in relazione alla pianificazione e armonizzazione di frequenze per servizi di comunicazione disponibili su tutto il territorio europeo23, quali i servizi GSM24, Ermes25 e Dect26. Successivamente, si sono sviluppati l'armonizzazione del sistema dell'interconnessione delle reti27 ed un approccio coordinato di autorizzazione nel settore dei servizi di comunicazioni personali via satellite28.

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@4. Competenze ed evoluzione dei mercati sottoposti a regolazione settoriale

4. L'utilizzazione delle radiofrequenze per la fornitura di servizi di comunicazione elettronica solleva aspetti relativi al diritto della concorrenza e alla regolazione settoriale29.

Sulla base dell'art. 90, par. 3 TCE (ora 106 TFUE), l'abolizione di diritti speciali o esclusivi accordati dagli Stati membri per fornire servizi di telecomunicazioni era stata estesa ai servizi di comunicazioni mobili30. La direttiva "concorrenza"31 conferma il divieto degli Stati membri di accordare o mantenere in vigore diritti esclusivi o speciali per l'installazione e/o la fornitura di reti o per la fornitura di servizi di comunicazione elettronica.

In linea generale, la direttiva "quadro" prevede che le ARN promuovano e vigilino sulla concorrenza nella fornitura delle reti di comunicazione elettronica, in particolare sull'impresa che disponga di un "significativo potere di mercato"32, sino al momento in cui non sia applicabile esclusivamente il diritto della concorrenza. L'obiettivo è ridurre progressivamente le regole settoriali ex ante a seguito dell'evoluzione delle condizioni della concorrenza sui mercati in parola. L'effettiva creazione delle condizioni di concorrenza nei mercati delle comunicazioni mobili sarà raggiunta allorché cesserà la necessità di misure di regolazione, anche nel settore specifico delle radiofrequenze33, cioè quando saranno del tutto eliminati i "colli di bottiglia" dei mercati grazie all'attività delle ARN.

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A riguardo, l'ARN, qualora accerti che un mercato non sia effettivamente concorrenziale, individua le imprese in oggetto, imponendo appropriati e specifici obblighi regolatori, ovvero mantenendo in vigore o modificando eventuali obblighi già esistenti34.

Sul piano dell'equilibrio istituzionale, appare discutibile che per finalità di applicazione uniforme dei...

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