La religione come elemento dei processi di sviluppo economico

AuthorGaetano Dammacco
Pages35-52
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GAETANO DAMMACCO
LA RELIGIONE COME ELEMENTO
DEI PROCESSI DI SVILUPPO ECONOMICO
1. Le connessioni plurime esistenti tra economia e religione
Le numerose connessioni esistenti tra religione, democrazia ed eco-
nomia disegnano una modalità con cui si sviluppano oggi il partenariato
euro mediterraneo, le dinamiche della coabitazione all’interno di uno
stesso contesto sociale, le stesse relazioni internazionali. L’analisi di que-
ste relazioni può essere fatta da numerosi punti di vista, che diventano
sempre più interconnessi in conseguenza dei mutamenti repentini che si
manifestano nella società. Un primo punto di osservazione può essere
quello concernente le relazioni concrete tra fattori (della religione e
dell’economia), seguendo gli studi di Weber circa il rapporto tra prote-
stantesimo e capitalismo. Il metodo allora proposto è ancora attuale, ma i
contenuti hanno bisogno di essere rivisitati alla luce dei mutamenti di
scenario sociale politico. L’assunto classico affermato da Weber ne
L’etica protestante e lo sviluppo del capitalismo, in base al quale uno dei
fattori che consentirono all’Inghilterra di conseguire livelli elevati di svi-
luppo consisteva nel fatto di avere un’etica protestante alla base dei mec-
canismi dell’economia, deve essere esaminato alla luce di realtà nuove,
fortemente caratterizzate dai fenomeni della globalizzazione e del multicul-
turalismo, sempre più accentuati. Sono, inoltre, rilevanti anche i cambia-
menti che si sono osservati nel capitalismo, diventato sempre più bancario
e sempre più “incontestabile”, come osserva John Mihevic, il quale accosta
al fondamentalismo teologico quello bancario (della Banca Mondiale), che
nella cultura contemporanea diventa con le sue regole una specie di realtà
inviolabile, che non ammette oppositori equiparabile nella sua obbligato-
rietà a quella che W. Benjamin ha definito “teologia economica”.
Non meno interessante è l’ulteriore punto di osservazione relativo al-
la funzione e al “valore” del danaro, cresciuto come elemento centrale
nella coscienza collettiva parallelamente al crescere di una società
dell’apparire. Nella società del capitalismo e del consumismo, in cui il
danaro ha un notevole valore simbolico, sempre meno persone guadagna-
no più soldi a causa delle modifiche strutturali imposte dalla finanza (del-
la quale l’economia finisce per essere parte e non viceversa) che favori-
scono la concentrazione del denaro in un numero di persone sempre più
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ridotto, mentre aumenta il numero di coloro che guadagnano poco e che
producono una quantità sempre maggiore di prodotti, che non possono
permettersi. Il punti di forza e di debolezza del denaro coincidono e con-
siste in una specie di relativizzazione (“il denaro rende tutto veniale e tut-
to venale”, F. Cassano) tendente alla (apparente) eliminazione delle diffe-
renze. Il denaro sta perdendo la sua funzione di mezzo di scambio, ma
diventa esso stesso fonte di benessere e di profitto. Tuttavia, nelle comu-
nità degli emigranti è possibile osservare un processo di ridimensiona-
mento di questo valore fortemente simbolico del denaro, che torna a essere
un bene strumentale, quanto più forti e radicati nelle persone sono i valori
delle religioni e le etiche economiche che ad esse si ispirano (considerate,
secondo l’analisi di Weber, l’insieme delle azioni pratiche e degli impulsi
personali derivanti dalle connessioni psicologiche con le religioni).
Le dinamiche del capitalismo e le connessioni con le religioni metto-
no in evidenza un altro elemento di osservazione e cioè la trasformazione
della religione in un business come affermazione della “teologia della
prosperità”, che attraversa un periodo di notevole diffusione specialmente
negli Stati Uniti d’America. Questa forma di religiosità, definita da colo-
ro che la criticano “cristianesimo light”, vede nei predicatori-manager i
nuovi profeti di un’etica orientata dallo stretto rapporto tra business e ric-
chezza. Costoro, portando alle estreme conseguenze l’etica protestante,
predicano un Dio che benedice la ricchezza e i soggetti vincenti, non co-
loro che usano lamentarsi e piagnucolare, un Dio che predilige la media-
zione di parole rasserenanti e predilige coloro che sanno sapientemente
combinare fede e ricchezza. Questi pastori, nei quali non è difficile osser-
vare grandi capacità di amministratori degli enormi patrimoni di cui di-
spongono proprio grazie alla sola religione, in realtà considerano i fedeli
come consumatori che bisogna soddisfare e, per questo, fanno uso avan-
zato di tecniche di marketing, stimolando tra i fedeli quel tipo di competi-
zione che migliora l’”offerta” religiosa. In un contesto socio-economico
sviluppato si possono riproporre gli interrogativi sul rapporto tra religione
e razionalità economica (si pensi ad esempio a P.L. BERGER, A market
model for the analisis of economicity, in Social Research XXX.1/1963,
pp. 77-93), da cui derivano le questioni circa la specificità delle “merci
religiose” oppure circa il costo delle religioni e l’adesione degli adepti,
oppure circa il successo delle religioni in relazione ai costi e alla loro na-
tura (libera, regolata, competitiva,..).
Nella stessa logica del rapporto tra religione e mondo degli “affari”,
sebbene in una posizione ben differente, è anche l’uso degli strumenti e-
conomici da parte delle istituzioni delle grandi religioni (come ad esem-
pio la chiesa cattolica, le chiese riformate e protestanti, le chiese ortodos-

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