Il ribadimento di un approccio ispirato ad un principio personalistico nella giurisprudenza comunitaria relativa alla protezione dei consumatori

AuthorPieralberto Mengozzi
PositionProfessore a contratto di Diritto dell'Unione europea nell'Università degli studi di Bologna
Pages201-211

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1. Con la sentenza che ha reso il 16 dicembre 2008 nel caso Gysbrechts e Santurel Inter BVPA1, la Grande sezione della Corte di giustizia delle Comunità europee ha, in modo importante, preso posizione su due questioni: una prima, più specifica, concernente l'art. 29 TCE e, in particolare, la definizione dei criteri da applicare per stabilire quando si sia in presenza di una misura avente effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle esportazioni ed una seconda concernente il modo in cui la tutela dei consumatori può rilevare nel quadro dell'interpretazione della direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza e dell'applicazione delle norme nazionali che ad essa hanno dato attuazione. Page 202

Dette questioni sono state sottoposte all'attenzione della Corte da una richiesta di pronuncia pregiudiziale avanzata da giudici belgi, di fronte ai quali, nel quadro di un procedimento penale a carico del sig. Gysbrechts e della società Santurel Inter BVPA, si è posto il problema della compatibilità con il diritto comunitario dell'art. 80, n. 3 della legge belga sulla tutela dei consumatori e dell'interpretazione ad essa data in Belgio con riferimento a contratti a distanza. A termini di detta disposizione "non si può richiedere al consumatore alcun acconto o pagamento prima che sia decorso il termine di recesso dal contratto di sette giorni lavorativi"; procedendo alla relativa applicazione la giurisprudenza belga considera vietata e sanzionata penalmente la richiesta che, all'atto della stipula di un contratto a distanza con un consumatore, sia fatta a quest'ultimo del numero di una sua carta di credito da parte di un fornitore che, a questo modo, intenda garantirsi contro un'eventuale omissione di pagamento.

2. Quanto al primo problema, come in modo puntuale ed analitico ricostruito nelle conclusioni nel caso presentate dall'Avvocato generale Trstenjak2, la Corte l'ha risolto in modo diverso nel tempo.

In un primo momento, con la sentenza Bouhelier3 del 1977, considerando che per la qualificazione di misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative alle esportazioni di cui all'art. 29 TCE trovino applicazione gli stessi criteri utilizzati, a partire dalla sentenza Dassonville4, per la determinazione di misure equivalenti alle restrizioni quantitative alle importazioni, la Corte ha ritenuto che debbano considerarsi misure del primo tipo quelle che "possano costituire un ostacolo diretto o indiretto, attuale o potenziale, per gli scambi intracomunitari"5.

Con la sentenza Groenveld6 del 1979 la Corte ha reso meno ampia la categoria di misure incompatibili con l'art. 29 TCE stabilendo che rientrano in tale categoria misure che presentino tre condizioni: 1) abbiano "per oggetto o per effetto di restringere specificamente le correnti di esportazione", 2) costituiscano "una differenza di trattamento fra il commercio interno di uno Stato membro e il suo commercio di esportazione" e 3) assicurino "un vantaggio particolare alla produzione nazionale o al mercato interno dello Stato interessato, a detrimento della produzione o del commercio di altri Stati membri"7. L'ha resa meno ampia non riprendendo dalla formula Dassonville l'elemento che conduceva a qualificare come misure equivalenti a restrizioni quantitative Page 203 alle esportazioni misure che possono costituire un ostacolo "potenziale" per gli scambi intracomunitari.

La Corte ha sostanzialmente confermato questa interpretazione dell'art. 29 TCE nelle sue successive pronunce, omettendo soltanto in alcune di esse di riprendere parte della terza condizione (quella determinata dall'espressione "a detrimento della produzione o del commercio di altri Stati membri")8.

3. Nelle sue conclusioni sul caso che ha portato alla sentenza in esame l'Avvocato generale Trstenjak ha ritenuto che la posizione presa nel caso Groenveld e successivamente seguita dalla Corte non potesse essere seguita per tre ordini di ragioni. Innanzitutto perché la seconda e la terza condizione fissate in detta sentenza non possono sussistere in relazione a merci prodotte in uno Stato membro ma destinate esclusivamente all'esportazione e non vendute sul mercato nazionale con riferimento alla cui esportazione lo Stato in cui sono prodotte ponga rilevanti e non ragionevolmente accettabili limitazioni. Poi perché la Corte, nella sua più recente giurisprudenza, e in particolare nella sentenza Commissione c. Austria9, ritornando al linguaggio utilizzato nella sentenza Bouhelier del 1977, ha statuito che "gli artt. 28 CE e 29 CE" - e non solo l'art. 28 -, "inseriti nel loro contesto, devono essere intesi nel senso che mirano ad eliminare qualsiasi ostacolo, diretto o indiretto, attuale o in potenza, alle correnti di scambi nel commercio intracomunitario"10, dando così segno di ritenere che la qualificazione di misure come misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative non debba essere diversa a seconda che esse riguardino le esportazioni o le importazioni. E, infine, perché la sussistenza di una disparità di trattamento (vale a dire la seconda condizione Groenveld) per l'esistenza di una misura equivalente a una restrizione quantitativa alle esportazioni non è ragionevole si ritenga necessaria con riferimento alla libera circolazione delle merci quando la Corte non la richiede con riferimento alle altre tre libertà fondamentali, per le quali, per la qualificazione nel senso in questione di una misura, ritiene sufficiente che essa dia luogo a delle restrizioni.

Sulla base di detti rilievi l'Avvocato generale Trstenjak ha suggerito alla Corte di seguire un nuovo metodo e di applicare, con gli adattamenti del caso e coordinandoli tra loro, i criteri utilizzati nelle sentenze Dassonville, Cassis de Dijon11 e Keck e Mithouard12. In linea con tale metodo ha sostenuto che, in via di principio, misure adottate da uno Stato membro a) possano essere qualificate come misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative quando possano Page 204 ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, le esportazioni, b) possano essere qualificate come legittime quando siano giustificate sulla base di esigenze imperative e c) possano non essere qualificate come misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative alle esportazioni quando, anziché essere costituite da norme relative ai prodotti, siano costituite da norme non discriminatorie relative a talune modalità di vendita. Ha ritenuto, però, che nel procedere agli adattamenti in questione, si debba tenere presente che alcune norme che stabiliscono determinate modalità di vendita impediscono o limitano l'uscita dal mercato, pur non operando una discriminazione sotto il profilo giuridico o sostanziale. Ne ha tratto la conseguenza che alcune di dette norme, tra cui quelle che vietano le vendite via Internet, anche se non espressamente discriminatorie, e anche se in diritto e in fatto producano identici effetti sulle vendite nazionali e sulle esportazioni13, possono limitare queste ultime in modo maggiormente diretto, in quanto maggiormente collegate con il passaggio delle merci attraverso la frontiera14, venendo in fatto a costituire "modalità di vendita [che impediscono o limitano] l'uscita dal mercato"15.

4. Nel pronunciarsi sulla questione a essa sottoposta nel caso di specie la Corte di giustizia è dovuta partire dal dato che attualmente la materia oggetto della causa pendente davanti al giudice di rinvio costituisce oggetto della direttiva 97/7/CE riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza e che tale direttiva non concreta un'armonizzazione esaustiva ma un'armonizzazione minima, stante che l'art. 14 di tale direttiva espressamente prevede che gli Stati membri possano adottare o mantenere, nel settore da essa disciplinato, "disposizioni più severe, per garantire al consumatore un livello di protezione più elevato"16. Sulla base di tale premessa la Corte ha ritenuto che il problema di compatibilità della disposizione in questione con il diritto comunitario debba essere affrontato facendo riferimento all'art. 29 TCE e non alla direttiva 97/7/CE, come si imporrebbe ove questa avesse dato luogo ad un'armonizzazione completa.

Quanto così premesso, la Corte ha, in primo luogo, puntualmente richiamato i tre criteri che ha enunciato nel caso Groenveld. Ciò poteva indurre a pensare che essa intendesse assumere tali criteri a parametro che avrebbe seguito per valutare la disposizione belga sottoposta alla sua considerazione da parte dei giudici del rinvio. Questo, invece, non ha fatto. Ha qualificato come una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'esportazione il divieto posto ai fornitori di richiedere un qualunque acconto o pagamento prima della scadenza del termine per il recesso da parte del consumatore sancito dall'art. 80, n. 3 della legge belga sulla tutela dei consumatori e l'interpretazione di questo come un divieto agli stessi fornitori di richiedere ai clienti consumatori il numero Page 205 della carta di pagamento; e ha qualificato alla stessa maniera questa interpretazione anche quando i fornitori si impegnino a non fare uso di tale numero di detta carta per incassare l'ammontare pattuito per il pagamento prima della scadenza del termine per il recesso. L'una cosa e l'altra ha fatto sulla base di considerazioni ben più tenui di quelle svolte in Groenveld: ha considerato...

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