Una riflessione sul regolamento (CE) n. 1346/2000

AuthorArianna Fornari
PositionDottoressa in Giurisprudenza nell’Università degli studi di Pisa
Pages439-448

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@1. Introduzione

1. Il regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza1, entrato in vigore il 31 maggio 2002, ha apportato cambiamenti fondamentali nel sistema del diritto fallimentare degli Stati membri.

La sua applicazione, da parte degli operatori giuridici, ha comportato non pochi problemi. Soprattutto riguardo alla determinazione della nozione di “centro degli interessi principali”, sono sorte interpretazioni differenti, spesso basate più su dati fattuali che non sulle poche indicazioni normative ricavabili dal regolamento. Organi giurisdizionali di diversi Stati membri, infatti, in molti casi, hanno preferito un approccio pragmatico, capace di portare velocemente a risultati concreti, ma inidoneo a creare una giurisprudenza uniforme in materia.

@2. Il principio dell’universalità limitata o attenuata

2. Il principio cardine attorno al quale ruota l’intero sistema del regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza è quello dell’universalità limitata o attenuata.

Storicamente gli ordinamenti nazionali, nell’approcciarsi alla disciplina transnazionale delle procedure di insolvenza, hanno fatto riferimento a due opposti modelli: quello dell’universalità e quello della territorialità2.

Secondo il modello dell’universalità, un’unica legge, quella dello Stato in cui la procedura è aperta, è in grado di espandere la propria forza verso tutti i beni e le situazioni riconducibili allo stato di insolvenza del debitore, prescindendo dai limiti territoriali relativi all’applicabilità della norma.

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Il modello della territorialità prevede, invece, che la legge applicabile ad uno stato di insolvenza incontri comunque quelli che sono i limiti territoriali propri dell’ordinamento in cui la procedura è stata aperta. In base a questo secondo modello si avranno una serie di procedure tra loro indipendenti, aperte nei diversi ordinamenti in cui l’impresa insolvente ha svolto una qualsiasi attività.

Entrambi i sistemi sono stati valutati, dal legislatore comunitario, inidonei a regolare un settore così politicamente esposto ed importante per l’economia comunitaria.

Quello territoriale, in particolare, sembra incapace di disciplinare la situazione di crisi di un’impresa inserita in un contesto transnazionale poiché non tiene conto delle eventuali procedure aperte in altri Paesi. Il modello universale richiede, invece, una collaborazione ed una capacità osmotica tra gli ordinamenti sicuramente di non facile realizzazione.

La scelta del legislatore comunitario è allora ricaduta su un modello per certi versi ibrido, capace di riassumere in sé i pregi dei due modelli tradizionalmente adottati e, allo steso tempo, di ridurne i difetti peggiori.

Il modello dell’universalità “limitata” o “attenuata” prevede, infatti, da un lato, una procedura principale, aperta nel luogo in cui si trova il centro degli interessi principali del debitore insolvente, in grado di assorbire, potenzialmente, tutti i rapporti ricollegabili allo stato di insolvenza del debitore e di regolarli secondo un’unica lex concursus; dall’altro è contemplata la possibilità di aprire procedure territoriali (o locali) laddove si ravvisi l’esistenza, nel territorio nazionale, di una “dipendenza”, definita dall’art. 2 del regolamento come il luogo in cui si svolge un attività economica, di carattere non transitorio, con risorse materiali ed umane. L’esigenza di consentire l’apertura di procedure territoriali trova la propria ratio nella volontà, del legislatore comunitario, di tutelare particolari interessi, con una procedura per molti versi più vicina alle realtà locali. Quindi si potranno avere, accanto alla procedura principale, una o più procedure territoriali rette da una propria lex concursus, consentendo, in sostanza, la possibilità che le stesse godano di una relativa “vita autonoma”. Queste ultime, infatti, ben potrebbero essere regolate da due sistemi giuridici anche molto diversi tra loro; sennonché la procedura principale fa, in qualche modo, da presupposto giuridico a quella territoriale3, poiché, per l’apertura della stessa, non sarà necessario procedere ad un ulteriore esame dell’insolvenza del debitore.

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@3. La definizione di “centro degli interessi principali”

3. Il regolamento comunitario ha quindi rinunciato a designare un unico giudice competente, preferendo un sistema basato su due criteri attributivi: la presenza sul territorio di uno Stato membro del centro degli interessi principali come previsto all’art. 3, par. 1 e, in aggiunta, la possibilità di aprire una procedura anche nello Stato membro in cui si trovi una dipendenza, come definita dall’art. 3, par. 2.

L’individuazione della collocazione del centro degli interessi principali è determinante rispetto a diversi aspetti applicativi del regolamento. Innanzitutto, la disciplina del regolamento è rivolta soltanto alle imprese il cui centro degli interessi principali sia collocato sul territorio europeo; ciò significa che la procedura principale non potrà mai essere regolata dalla legge di uno Stato non membro. Se il centro degli interessi principali non si trova in uno Stato comunitario, gli Stati membri restano liberi di applicare la propria disciplina fallimentare di diritto comune4.

La determinazione del centro degli interessi principali è poi fondamentale per stabilire la giurisdizione ed il foro competente. In tal senso si è visto come l’individuazione del centro degli interessi principali faccia da base per stabilire l’apertura di procedure principali anziché secondarie5.

Nonostante l’individuazione del centro degli interessi principali sia la chiave di volta dell’intero sistema normativo messo in piedi dal regolamento 1346/2000, il legislatore comunitario non ha stabilito, con un’apposita disposizione, in cosa si debba concretizzare il concetto in questione6. Secondo il 13° “considerando” del regolamento, per centro degli interessi principali si deve intendere il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile da terzi, la gestione dei suoi interessi. Per le società e le persone giuridiche si presume che tale luogo coincida, fino a prova contraria, con il luogo in cui si trova la sede statutaria.

Anche la definizione elaborata dal regolamento per definire la dipendenza richiama concetti non troppo dissimili. L’art. 2, lett. h), infatti, definisce la “dipendenza” come qualsiasi luogo di operazioni in cui il debitore esercita, in maniera non transitoria, un’attività economica con mezzi umani e beni. Se confrontiamo le due disposizioni sembra difficile cogliere una differenza consistente tra centro degli interessi principali e dipendenza; la scarsa chiarezza normativa ha portato, sul piano pratico, a difficoltà di applicazione del regolamento stesso.

Sicuramente un sistema di norme maggiormente definitorio avrebbe evitato molti dei conflitti di giurisdizione sorti fino ad oggi.

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La differenza tra centro degli interessi principali e dipendenza va comunque forse ricercata in base a criteri quantitativi e tramite un’analisi che tenga conto dei diversi interessi in gioco.

@4. Le problematiche relative ai casi di litispendenza: casi pratici di conflitti di giurisdizione

4. Il regolamento non detta norme relative ai conflitti di giurisdizione. Il concetto di centro degli interessi principali non esclude la possibilità di tali conflitti tra i giudici degli Stati membri che si ritengono competenti ad aprire una procedura ai sensi dell’art. 3, par. 1. Vero è che il giudice richiesto dell’apertura della procedura (sia essa principale o secondaria) dovrà verificare d’ufficio la presenza di un titolo che gli attribuisca la competenza, ma una volta che si sarà dichiarato competente, in base al principio del riconoscimento automatico, introdotto dall’art. 16 del regolamento, la procedura da lui aperta dovrà essere riconosciuta anche negli altri Stati membri.

Il meccanismo del riconoscimento automatico presuppone che la decisione del giudice che apre per primo la procedura principale debba essere riconosciuta negli altri Stati membri senza che questi ultimi abbiano la facoltà di sottoporre a valutazione la decisione del primo giudice7. Tale previsione assicura un procedimento omogeneo in grado di operare con pienezza di poteri su tutto il territorio europeo e presuppone una grande fiducia reciproca tra gli ordinamenti degli Stati membri. Tuttavia, lo scotto che tale previsione...

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