Il rispetto dei vincoli europei relativi al deficit di bilancio e al debito pubblico

AuthorGaetana Trupiano
Pages123-142

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@1. Introduzione

Poiché esiste la tendenza da parte dei governi ad accrescere la spesa pubblica in disavanzo e il debito a copertura, specialmente nelle fasi di crisi economica, il dibattito degli studiosi e dei decisori di politica economica si è concentrato sull’esigenza di imporre limiti alla politica fiscale attraverso l’introduzione di regole vincolanti.

Le regole fiscali europee (Trattato di Maastricht e Patto di stabilità e crescita, PSC) hanno imposto, pertanto, vincoli di bilancio agli Stati membri dell’Unione europea, UE; importanti, in questo contesto, sono anche le regole nazionali per la disciplina di bilancio che si pongono quale complemento ai vincoli del PSC per il rispetto degli obiettivi fiscali europei.

Il PSC persegue, quindi, gli obiettivi di una sana disciplina di bilancio e l’aumento degli investimenti e dello sviluppo economico, anche se non è esente da critiche relative alla sua struttura e al suo funzionamento.

Il lavoro, dopo una breve introduzione sull’importanza delle regole di disciplina fiscale, si sofferma sui vincoli europei introdotti dal Trattato e dal PSC riformato. Viene, quindi, analizzata la situazione nell’area dell’euro e la posizione specifica dell’Italia.

I dati evidenziati anche nello studio mostrano che, in generale, la presenza di regole ha determinato risultati alquanto apprezzabili in termini di controllo degli aggregati di riferimento, in considerazione degli obiettivi di sorveglianza fiscale europea. Vengono pre-

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sentate, comunque, osservazioni e proposte di modifica per eliminare eccessive rigidità e rendere il PSC più aderente alle esigenze economiche e finanziarie attuali in una situazione di peggioramento della fase congiunturale che ha interrotto l’azione di consolidamento delle finanze pubbliche.

@2. Le regole di disciplina fiscale

Le regole fiscali sono definite quali vincoli permanenti alla politica fiscale espresse in termini di indicatori sintetici di performance fiscale1. Le regole fiscali specificano obiettivi numerici o limiti agli aggregati di bilancio significativi quali l’equilibrio annuale o pluriennale di bilancio, la spesa pubblica, le entrate, oppure il debito pubblico. È importante definire anche se sono interessati all’applicazione delle regole, ad esempio, diversi tipi di spese quali le spese correnti, piuttosto che quelle di investimento; possono essere soggetti ai vincoli, oltre all’amministrazione centrale, anche gli enti territoriali e gli organismi di sicurezza sociale.

Al fine di controllare la situazione dei conti pubblici e tenuto conto delle forti interdipendenze economiche a livello internazionale determinate dalla globalizzazione dei mercati, è necessaria una particolare attenzione nel campo della finanza pubblica; intervengono, pertanto, organizzazioni internazionali, trattati, accordi ed altre forme di intese a livello sopranazionale2.

In particolare, la presenza di regole di disciplina fiscale a livello europeo per il controllo del deficit di bilancio provoca certamente effetti economici nell’ambito di processi di convergenza dei diversi paesi UE, considerando, inoltre, che alcuni Stati possiedono un elevato debito pubblico3.

Le regole fiscali in una unione monetaria dovrebbero rispondere ad alcuni criteri di base: dovrebbero essere semplici, garanti-1 G. Kopits, S. Symanski, Fiscal Policy Rules, IMF Occasional Paper 162, 1998.

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re la solvibilità dello Stato, essere collegate alle politiche degli Stati aderenti e all’azione della banca centrale, essere neutrali nei confronti dell’ampiezza del settore pubblico, evitare comportamenti pro ciclici da parte degli strumenti di politica fiscale, operare razionalmente nel lungo periodo, tenere conto delle differenze rilevanti nelle strutture economiche e nelle situazioni economiche iniziali, coordinare comportamenti razionali al livello complessivo di Unione, essere credibili ed essere applicate con imparzialità e coerenza4.

Le regole fiscali, comunque, debbono operare in una logica di lungo periodo5.

Il tema dei possibili effetti di politiche fiscali restrittive è stato analizzato ampiamente da numerosi studi empirici. Secondo tesi di tipo keynesiano, le restrizioni portano ad una riduzione della domanda aggregata e della stessa attività economica; altri studiosi sostengono che le misure di restrizione fiscale possono spingere al rialzo la spesa privata e, quindi, l’attività economica, specialmente se si riducono le spese pubbliche improduttive, senza accrescere le entrate6. Spesso si sostiene che nel breve periodo gli effetti riguardano la riduzione della domanda aggregata, ma nel più lungo termine il riequilibrio finanziario determina effetti positivi; non è, comunque, possibile affermare quale sia l’effetto prevalente che dipende da una serie di circostanze, tra le quali operano le variabili di finanza pubblica, oltre che il ruolo delle aspettative.

È necessario soffermarsi, prima di tutto, sulla logica e sulla possibile efficacia delle regole automatiche e dei limiti di natura quantitativa e procedurale che vincolano la finanza pubblica, in alternativa a scelte di tipo discrezionale7.

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Numerose sono le spiegazioni della crescita dei disavanzi pubblici; si afferma, ad esempio, che gli elettori sovrastimano sistematicamente i vantaggi della spesa pubblica corrente sottostimando i costi dei futuri oneri derivanti dal debito (miopia asimmetrica), deficit che si formano in fase di recessione non sono più assorbiti in fase di espansione. Si richiamano le tesi sugli effetti del ciclo elettorale secondo le quali il susseguirsi di elezioni non garantisce l’equilibrio di bilancio di lungo periodo in quanto in occasione delle elezioni i governi non attuano politiche restrittive in campo fiscale, anche se necessarie, ma anzi tendono ad accrescere la spesa; gli stessi gruppi di interesse, che sostengono i governi di coalizione, tendono ad espandere il debito8. Esiste, inoltre, un comportamento strategico da parte dei governi che spendono in deficit soddisfacendo le proprie preferenze in beni e servizi pubblici, spostando sui governi futuri gli oneri9.

@3. Le regole europee di finanza pubblica

Il Trattato di Maastricht nel dicembre 1991, entrato in vigore nel novembre 1993, ha previsto che nel processo di convergenza per l’ingresso nell’Unione economica e monetaria europea, UEM, dovevano essere rispettati alcuni limiti relativi ai valori del tasso di cambio, del tasso d’inflazione, del tasso d’interesse a lungo termine, del rapporto tra indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche (PA)10, e

Prodotto interno lordo (PIL)11 e del rapporto tra debito pubblico e PIL. I criteri di convergenza sono vincolanti, anche se non sono applicati in maniera rigida.

Le procedure di mutua sorveglianza e sui disavanzi eccessivi esigevano il raggiungimento, per l’aggregato delle PA, del livello

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del 3% del rapporto tra l’indebitamento netto delle PA e il PIL ai prezzi di mercato e del 60% del rapporto tra il debito pubblico e il PIL sempre ai prezzi di mercato. La scelta dei valori dei due parametri quantitativi, 3% e 60%, non sembra avere un fondamento teorico, anche se svolge effetti di rilievo in relazione alla modifica, nel tempo, dei tassi di variazione del PIL12.

Per quanto riguarda la finanza pubblica, l’art. 121 del Trattato13

stabilisce che la sostenibilità della situazione della finanza pubblica risulterà dal conseguimento di una situazione di bilancio pubblico non caratterizzata da un disavanzo eccessivo che individua, nel Protocollo sui criteri di convergenza14, i principali indicatori relativi agli andamenti dei conti pubblicati nel periodo di riferimento. L’art. 104 definisce la procedura atta ad accertare l’esistenza di un disavanzo eccessivo15. La sanzionabilità, pertanto, riguarda soltanto il disavanzo, determinando un ruolo centrale per questo parametro nelle decisioni e nei commenti di politica economica. Mancano regole precise per quanto riguarda il rispetto del rapporto debito/PIL che ricopre, quindi, una minore importanza nelle scelte economiche16.

La Commissione europea17 deve predisporre un rapporto, qualora uno Stato membro non soddisfi i criteri della disciplina di bilancio, in particolare se: 1. il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il PIL supera il valore di riferimento (3% del PIL nel Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi), a meno che:

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  1. il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento, oppure, in alternativa,

  2. il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento;

  1. il rapporto tra il debito pubblico e il PIL supera il valore di riferimento (fissato al 60% del PIL nel Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi), a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato.

    Gli obiettivi di Maastricht sul debito e il disavanzo sono correlati. Il valore obiettivo del debito era pari a b° = 0,6 per cui l’obiettivo del disavanzo d° = 0,03 era compatibile, in stato stazionario, con un tasso di crescita del 5% (g= 0,05) di cui il 3% in termini reali e il 2% per l’inflazione. Il tasso di sviluppo appare eccessivamente ottimistico per i paesi europei.

    Il rapporto predisposto dalla Commissione europea tiene conto anche dell’eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per investimenti e di tutti gli altri fattori significativi, compresa la situazione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro.

    Mentre è la Commissione europea, quale organo tecnico – amministrativo che avvia la procedura correttiva, è il Consiglio, a maggioranza, che stabilisce se vi sia un disavanzo eccessivo, in quale maniera correggere la situazione, oppure quali sanzioni applicare.

    La Commissione europea può, inoltre...

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