Le Sezioni Unite si pronunciano sulla natura della responsabilità dello Stato per mancata o tardiva trasposizione di una direttiva comunitaria non self-executing

AuthorAlessia Mari
Pages225-243

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@1. Premessa

1. La pronuncia resa a Sezioni Unite dalla Cassazione il 17 aprile 2009, n. 9147, qui commentata, rappresenta il punto di approdo (o, forse, di partenza) di una lunghissima evoluzione giurisprudenziale che ha avuto ad oggetto il c.d. "fatto illecito del legislatore", ossia la intempestiva (o mancata o inesatta) trasposizione nel diritto interno di una direttiva comunitaria non self-executing ed attributiva di diritti in capo ai singoli1.

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Sulla scorta dell'evoluzione della giurisprudenza comunitaria, gli interpreti si sono chiesti quale tipo di responsabilità si configuri in capo allo Stato membro che trasponga con ritardo o inesattamente o non trasponga affatto una direttiva comunitaria e quali tipi di pretese i singoli danneggiati possano avanzare nei confronti dello Stato inadempiente.

Dopo aver richiamato il consolidato orientamento della Corte di giustizia, la sentenza in esame, risolvendo un contrasto giurisprudenziale oramai insostenibile2, ha risposto ai due quesiti appena sintetizzati, aderendo ad un minoritario e meno recente orientamento della giurisprudenza di legittimità e spazzando via, in un sol colpo, la consolidata tesi (sostenuta, peraltro, anche da una consistente giurisprudenza di merito) che, per lungo tempo, ha ricondotto la responsabilità dello Stato nella prospettiva della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. Questo è il motivo per cui, senza troppe remore, si può affermare che la sentenza in esame appare "rivoluzionaria", anche e soprattutto perché è la prima volta, nella storia giurisprudenziale italiana, che le Sezioni Unite si occupano del problema della natura della responsabilità dello Stato per inattuazione del diritto comunitario e, dunque, delle forme di tutela dei singoli pregiudicati dalla tardiva attuazione di una direttiva non self-executing.

Quella in esame è una pronuncia che può essere guardata sotto due angoli visuali: da un lato, si può affermare che, con essa, le Sezioni Unite abbiano chiuso il cerchio e siano approdate ad una soluzione che, probabilmente, non verrà più messa in discussione, ma, al più, solo ulteriormente approfondita; dall'altro lato, si può, invece, ritenere che la sentenza in commento, sulla scorta di una più remota e timida giurisprudenza, abbia inaugurato un nuovo filone giurisprudenziale.

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La pronuncia è ricca di contenuti, anche e soprattutto di carattere processuale, ma, nel presente commento, ci si concentrerà sull'aspetto più propriamente comunitario della vicenda.

@2. Il caso all'esame delle SS.UU

2. La sentenza in esame riguarda la ritardata trasposizione delle direttive n. 75/362/CEE3 e n. 82/76/CEE4 (oltre che della direttiva n. 75/363/CEE)5, con le quali la Comunità europea ha disciplinato e reso obbligatoria per tutti gli Stati membri l'istituzione di corsi di specializzazione medica con previsione di adeguata retribuzione per i partecipanti. La direttiva 82/76/CEE, in particolare, andava recepita entro e non oltre il 31 dicembre 1982. Ebbene, lo Stato italiano ha provveduto all'obbligo di trasposizione con d.lgs. 8 agosto 1991, n. 2576 (le cui disposizioni hanno trovato applicazione solo a decorrere dall'anno accademico 1991-1992)7.

Ciò posto, appare doveroso premettere sin da ora che, quanto alla natura giuridica, la giurisprudenza comunitaria ha qualificato le direttive appena menzionate come direttive non self-executing. Più nel dettaglio, la Corte di giustizia, nell'effettuare dei doverosi distinguo, ha qualificato l'obbligo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione dei medici specialisti (che abbiano iniziato il periodo di specializzazione anteriormente all'anno 1991/1992) incondizionato e sufficientemente preciso solo nella parte in cui richiede che la formazione si svolga a tempo pieno o a tempo ridotto e sia retribuita. La Corte ha tuttavia specificato che detto obbligo, di per sé solo, non consente al giudice nazionale né di identificare il debitore tenuto a versare la remunerazione adeguata, né di individuare l'importo della stessa8. Dunque, in sostanza, le disposi-

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zioni che prevedono l'obbligo di una adeguata retribuzione a favore dei medici specializzandi hanno contenuto non autoesecutivo.

Da tali assunti è discesa la impossibilità per i medici specializzandi, che hanno frequentato corsi di specializzazione dopo l'entrata in vigore delle direttive comunitarie e prima dell'attuazione da parte dello Stato italiano, di invocare direttamente innanzi ai giudici nazionali il diritto alla retribuzione riconosciuto loro dal legislatore comunitario9.

Nel caso sottoposto all'esame delle Sezioni Unite, la Corte di Appello di Lecce, in riforma della decisione resa in primo grado, ha condannato il Ministero dell'università e della ricerca scientifica10 a pagare, in favore dell'attore, la

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somma di euro 26.855,72 (oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 5 novembre 1992, data in cui l'attore ha superato il corso di formazione quadriennale), a titolo di risarcimento del danno derivante dalla mancata trasposizione, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie (ed in particolare, della direttiva n. 82/76/CEE) prevedenti -come già specificato -l'obbligo di retribuire la formazione del medico specializzando.

Il Ministero, nel ricorrere in Cassazione, ha affidato le sue doglianze a cinque motivi di ricorso11. Più nel dettaglio, col secondo motivo di ricorso, il Ministero ha denunciato violazione degli articoli 112, 345 e 346 c.p.c., unitamente a vizio di motivazione, per avere il giudice di secondo grado deciso su domanda risarcitoria non proposta in primo grado. Invero, la Corte di Appello di Lecce ha ritenuto azionato da parte dell'attore, seppur in assenza di espressa qualificazione in tal senso nell'atto introduttivo del giudizio, il diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., per violazione dell'obbligo dello Stato di dare attuazione alle direttive comunitarie, tardivamente trasposte, che hanno imposto di remunerare adeguatamente il medico per la frequenza di un corso di specializzazione. Le Sezioni Unite, nel rigettare il motivo di ricorso, osservano: "È pacifico che la domanda proposta dal C., laureato in medicina ammesso alla frequenza di corso universitario di specializzazione (nella specie, a partire dal 1988), di condanna della pubblica amministrazione al pagamento in suo favore del trattamento economico pari alla borsa di studio per la frequenza di detto corso, richiamando il complessivo quadro normativo, assumeva a causa petendi l'obbligo dello Stato di trasposizione, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie (...) prevedenti l'obbligo di retribuire la formazione del medico specializzando e rivendicava il diritto al pagamento in base alla normativa nazionale di trasposizione (D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257)"12.

Ciò detto, nell'esaminare il terzo motivo di ricorso (che è quello che interessa la tematica di cui ci si occupa nel presente commento), le Sezioni Unite affermano di dover correggere, ex art. 384, 2° comma, c.p.c., la motivazione della decisione resa in secondo grado, atteso che "il giudice del merito non ha violato l'art. 112 c.p.c., nel qualificare, correttamente, la pretesa avanzata come domanda di risarcimento del danno subito per la mancata attuazione di direttive Cee, ma è incorso in violazione di norma di diritto laddove ha ricondotto tale pretesa risarcitoria alla fattispecie di cui all'art. 2043 c.c."13. È proprio da questa affermazione che scaturisce l'analisi condotta dalle Sezioni Unite sulla natura della responsabilità del legislatore per tardiva attuazione di direttive comunitarie non self-executing.

@3. I due orientamenti della giurisprudenza sulla natura della responsabilità dello Stato per mancata attuazione di una direttiva. La posizione delle SS.UU

3. Il punto focale della pronuncia -come appena evidenziato -è rappresentato dalla qualificazione della responsabilità e del "danno" derivante dalla tar-

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diva attuazione di una direttiva comunitaria non self-executing. Ebbene, sul punto le Sezioni Unite, dopo aver dato contezza dei due orientamenti che, nel corso degli anni, si sono plasmati all'interno della nostra giurisprudenza di legittimità, espressamente aderiscono alla tesi minoritaria, sottilmente smontando gli assunti dell'orientamento dominante. Invero, secondo quest'ultimo, il c.d. "illecito comunitario del legislatore" dev'essere ricondotto alla fattispecie di cui all'art. 2043 c.c.14. Dunque, la responsabilità dello Stato per mancata, inesatta o

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tardiva attuazione di una direttiva comunitaria configurerebbe responsabilità per fatto illecito che, in quanto tale, presupporrebbe il dolo o la colpa del danneggiante. Come, però, sottolineano le Sezioni Unite in esame, nel ricondurre la responsabilità de qua al paradigma di cui all'art. 2043 c.c., la stessa giurisprudenza non si è preoccupata di fornire "particolari approfondimenti del problema di qualificazione, privo, del resto, di rilevanza nella maggior parte dei casi esaminati"15. Cioè a dire che, nel ricondurre la responsabilità del legislatore (id est, dello Stato) nella fattispecie di cui all'art. 2043 c.c., le pronunce rese in merito non si sono premurate di spiegare il perché di tale riconduzione.

Invero, può osservarsi come questo silenzio sia stato la fonte di innumerevoli dubbi, primo fra tutti quello relativo all'elemento psicologico e, dunque, alla possibilità di configurare un addebito, quanto meno a titolo di colpa, allo Statolegislatore, per tardiva (o mancata) attuazione del diritto comunitario. Il punto è: può mai essere formulato un addebito a titolo di dolo o di colpa allo Stato inadempiente? O meglio, come può il danneggiato, ossia il soggetto che lamenta il prodursi di un danno per non aver potuto invocare un diritto riconosciutogli da una direttiva comunitaria non self-executing e trasposta con ritardo o non trasposta affatto, dimostrare la colpa o finanche il dolo...

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