I rapporti tra l'ordinamento dell'Unione Europea e quello italiano

AuthorVillani, Ugo
Pages371-391
CAPITOLO IX
I RAPPORTI TRA L’ORDINAMENTO
DELL’UNIONE EUROPEA E QUELLO ITALIANO
1.Il fondamento costituzionale del trasferimento di poteri sovra ni all’Unio-
ne europea
Il tema dei rapporti fra l’ordinamento dell’Unione europea e quello italiano
ha sollevato numerosi e delicati problemi, che hanno visto un originario vivace
contrasto tra l’atteggiamento della Corte costituzionale italiana e quello della
Corte di giustizia dell’Unione europea; contrasto, peraltro, appianatosi nel corso
degli anni, sino a giungere ad una sostanziale armonia nelle conclusioni (se non
anche nelle premesse teoriche).
Il primo problema nasceva dal fatto che i Trattati istitutivi delle Comunità
europee, come quelli ora vigenti a seguito delle modifiche apportate dal Trattato
di Lisbona, comportano un sia pur parziale trasferi mento di poteri sovrani, in
particolare di competenze legislative e giudiziarie, dagli Stati membri alle istitu-
zioni europee (Cap. I, par. 5). Essi introducono negli ordinamenti giuridici degli
Stati membri delle fonti di diritto, quali i regolamenti, estranee a tali ordinamenti
e, per altro verso, istituiscono un sistema giurisdizionale, suscettibile di limitare
anche i poteri del giudice nazionale (come nel caso della competenza in via pre-
giudiziale), sistema anch’esso estraneo agli ordinamenti giuridici degli Stati
membri. Ora, proprio la consapevolezza della profonda incidenza dei Trattati in
parola sugli ordinamenti statali, a causa del suddetto trasferi mento di poteri so-
vrani, ha indotto numerosi Stati, membri originari o successivi dell’Unione euro-
pea, a dare esecuzione a tali Trattati con legge costituzionale o a emanare norme
costituzionali, per rendere compatibile con la propria costituzione il suddetto
trasferimento di poteri, fornendo ad esso un fondamento e una giustificazione
costituzionale.
In Italia, invece, l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione dei
Trattati istitutivi delle Comunità europee (come di tutti quelli modificativi) sono
stati dati con legge ordinaria, non costituzionale, essendo improbabile l’adozione
di quest’ultima a causa di una forte opposizione ostile, all’epoca, all’integra-
zione europea (legge 25 giugno 1952 n. 766 di ratifica ed esecuzione del Trattato
CECA, legge 14 ottobre 1957 n. 1203 di ratifica ed esecuzione del Trattato CEE
372Capitolo IX
e del Trattato CEEA; da ultimo il Trattato di Lisbona del 2007 è stato ratificato
ed eseguito in base alla legge 2 agosto 2008 n. 130). Di conseguenza si è posta
ben presto, dinanzi alla Corte costituzionale italiana, la questione della legitti-
mità costituzionale di tali leggi. La Corte, sin dalla sentenza del 7 marzo 1964 n.
14 (Costa c. ENEL), ha dichiarato che le leggi di autorizzazione alla ratifica e di
esecuzione dei Trattati comunitari (come di quelli modificativi) trovano un fon-
damento nell’art. 11 Cost. nella parte in cui dichiara:
«L’Italia […] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limita-
zioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia
fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a
tale scopo».
Benché nata, principalmente, per favorire la partecipazione dell’Italia all’Or-
ganizzazione delle Nazioni Unite, tale disposizione è stata consi derata idonea a
consentire “limitazioni di sovranità” e, quindi, a permettere al legislatore ordina-
rio di effettuare tali limitazioni. Nella ricordata sen tenza del 7 marzo 1964 n. 14
la Corte costituzionale ha affermato, infatti:
«La norma significa che, quando ricorrano certi presupposti, è possibile sti-
pulare trattati con cui si assumano limitazioni della sovranità ed è consentito
darvi esecuzione con legge ordinaria».
A questa impostazione la nostra Corte costituzionale è restata costan te mente
fedele.
2.Il primato del diritto dell’Unione europea direttamente applicabile su
quello italiano in caso d’incompatibili
Si poneva, peraltro, un ulteriore problema concernente la prevalenza del di-
ritto dell’Unione europea o, viceversa, di quello interno, nell’ipotesi (tutt’altro
che teorica) di contrasto tra le norme dei due ordinamenti. Il problema riguar-
dava le norme europee direttamente applicabili, poiché solo per esse, pratica-
mente, può porsi la questione se il giudice nazionale (o anche, eventualmente,
l’autorità amministrativa) debba applicare la nor ma europea o quella nazionale,
qualora abbiano un contenuto incompa ti bile. Per le altre disposizioni dell’Unione,
come quelle di una direttiva, in principio il contrasto richiede un intervento del
legislatore italiano, mentre, a causa del loro carattere non self-executing, incom-
pleto, il giudice non può comunque dare la preferenza alle suddette disposizioni
europee.
In proposito la posizione originaria della Corte costituzionale, espressa nella
stessa sentenza Costa c. ENELdel 7 marzo 1964, era nel senso che, essendo stati
resi esecutivi i Trattati europei con legge ordinaria, le disposizioni del diritto
europeo non avevano un’efficacia superiore a quella propria della legge ordina-

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