Osservazioni sugli accordi di riammissione tra la CE e alcuni Stati dell’area balcanica

AuthorGiovanni Cellamare
PositionOrdinario di Diritto internazionale nell’Università degli studi di Bari
Pages497-521

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@1. L’ambito di applicazione dell’art. 36, par. 1, punto 3, lett. b) TCE

1. L’art. 63, par. 1, punto 3, lett. b) TCE attribuisce al Consiglio la competenza ad adottare misure in materia di “immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare”. Si tratta di una competenza concorrente con quella degli Stati membri: questi possono mantenere o introdurre “nei settori in questione, disposizioni compatibili” con il Trattato o accordi internazionali (par. 2). Come risulta ritualmente dai preamboli degli atti fondati su quella norma1, la CE può operare nel settore in esame in conformità con il principio di sussidiarietà, ex art. 5 TCE: può intervenire “sol-Page 498tanto e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario”.

Quanto osservato vale anche per la pertinente disciplina contenuta nel Trattato (che adottava una Costituzione per l’Europa, per semplicità espositiva Trattato costituzionale e nel Progetto di Trattato) di modifica del Trattato sull’Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunità europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 20072.

L’art. 63, cit., non fornisce indicazioni circa il significato dell’espressione “irregolare”; siffatte indicazioni fanno difetto anche (al Trattato costituzionale: art. III-266) e al Progetto di Trattato testè citato (art. 63 bis, par. 1, lett. c).

Invero, quell’espressione non può che essere intesa alla luce dell’ordinamento statale dal cui punto di vista ci si pone, adattato alla disciplina comunitaria pertinente: l’irregolarità, cioè, coincide con la violazione delle norme che disciplinano l’ingresso, il transito e il soggiorno dei cittadini di Paesi terzi nel territorio di uno Stato membro, ancorché quelle violazioni risultino talvolta tollerate e regolarizzate3.

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La disposizione in parola ha riguardo a situazioni che, presentando caratteristiche diverse, vanno disciplinate distintamente. Viene in considerazione anzitutto l’ingresso clandestino, a mezzo di documenti falsi o falsificati, nel territorio di uno Stato membro4; inoltre le seguenti situazioni: di cittadini di Paesi terzi che si trattengano sul territorio di uno Stato membro oltre il periodo di soggiorno autorizzato; di cittadini di Stati terzi che esercitino un’attività lavorativa non autorizzata dall’esenzione del visto o da quello di breve durata di cui essi siano in possesso; di soggiorno (non autorizzato) di un richiedente asilo la cui domanda sia stata respinta; nonché il caso, sul quale si tornerà, di stranieri fermati alle frontiere5.

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@2. Segue: le misure in materia di rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare

2. La disciplina del rimpatrio degli irregolari costituisce una forma di garanzia delle politiche di ammissione; pertanto è da tenere distinta dalla regolamentazione del rimpatrio delle persone in condizione regolare che intendano ritornare nei propri Paesi di origine6.

Il riferimento, nell’art. 63, par. 1, punto 3, lett. b) TCE, al rimpatrio degli irregolari reca il riconoscimento, implicito ma inequivocabile, della competenza del Consiglio ad adottare, in generale, norme in materia di allontanamento7: siffatta interpretazione è stata accolta dalla Commissione nel “libro verde” su “una politica di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli Stati membri”8. Invero, su quella norma sono state fondate la direttiva 2001/40/CE, sul reciproco riconoscimento delle decisioni di allontanamento dei cittadini di Paesi terzi (ancorché senza indicazione della lettera dell’art. 63 TCE); la direttiva 2003/110/CE, sull’assistenza durante il transito nell’ambito di provvedimenti di espulsione per via area; la decisione 2004/573/CE, sull’organizzazione di voli congiunti per l’allontanamento dei cittadini di Paesi terzi illegalmente presenti nel territorio di due o più Stati membri9.

Inoltre, dato il riferimento alle misure “in materia di immigrazione e soggiorno irregolari”, è da ritenere che la norma in esame sia suscettibile di ricom-Page 501prendere nel proprio ambito di applicazione sia le misure concernenti i residenti “irregolari”, sia quelle aventi ad oggetto l’immigrazione di persone che non abbiano stabilito alcun effettivo contatto con il territorio di uno Stato membro: si pensi, come accennato, agli immigrati irregolari fermati alle frontiere. In proposito va considerato che l’art. 63, par. 1, punto 3, lett. a) TCE contempla l’adozione di misure sulle “condizioni di ingresso”, oltre che di soggiorno; su queste basi è ragionevole ritenere che alla competenza ad adottare siffatte misure corrisponda, nella disposizione successiva, la competenza a disciplinarne la violazione10.

Oltre alle misure di carattere operativo11, nel quadro dell’art. 63, par. 1, punto 3, lett. b) TCE, rientrano quelle che, accogliendo un orientamento diffusamente seguito dagli Stati di immigrazione, disciplinano la responsabilità dei vettori che trasportino persone prive dei documenti richiesti per l’ingresso e il soggiorno negli Stati membri, nonché le misure che favoriscono l’applicazione extraterritoriale dei controlli dei flussi migratori a mezzo di ispettori e funzionari che operano all’estero al fine di evitare forme di immigrazione irregolare negli Stati membri di appartenenza12.

@3. Segue: la stipulazione di accordi di riammissione

3. In senso funzionale alla lotta contro l’immigrazione illegale viene in rilievo anche l’attività esterna della Comunità13.

Quella stessa norma, combinata con l’art. 300, par. 2 TCE, costituisce la base giuridica per la stipulazione di accordi di riammissione tra la CE e Stati terzi, oPage 502 per l’inserimento di clausole di riammissione in accordi di cooperazione e di associazione con Stati terzi14.

In generale, in base ai primi, ogni parte contraente, su richiesta dell’altra, si impegna, per l’appunto, a riammettere i propri cittadini o, talvolta, altre persone che abbiano soggiornato nel, o siano transitate dal, proprio territorio che non soddisfino, o (come si legge negli articoli III-267, par. 3, del Trattato costituzionale e 63 bis, par. 3, del Progetto di Trattato di modifica dei Trattati attuali) non soddisfino più, le condizioni di ingresso o di soggiorno della parte richiedente. Le clausole inserite in accordi di cooperazione e associazione, stabilendo un collegamento con gli aiuti e i benefici derivanti da detti accordi agli Stati terzi, costituiscono un mezzo per indurre questi ultimi a dare attuazione agli obblighi di riammissione.

La connessione tra rimpatrio e riammissione è evidente ove si consideri che l’effettività delle misure di rimpatrio molto spesso dipende dalla cooperazione dei Paesi di origine o di transito delle persone allontanate15.

Sulla base di quanto precede possono svolgersi alcune considerazioni di carattere generale sugli accordi di riammissione.

Anzitutto è da ritenere che nel settore in esame non trovino applicazione le note indicazioni della Corte di giustizia sul superamento della costruzione che limita la conclusione di accordi internazionali ai soli casi previsti dal TCE16: inPage 503 altri termini, alla Comunità va riconosciuta attualmente una competenza concorrente a concludere accordi di riammissione. In tal senso depongono le riferite disposizioni del TCE e gli orientamenti della politica immigratoria della CE che, complessivamente considerati, denotano il persistere di competenze degli Stati membri nella subiecta materia. Questi in effetti stipulano accordi di riammissione17. Più in generale, in argomento, non è privo di rilievo ricordare che Dichiarazioni e Protocolli, concernenti la disciplina dell’asilo e dell’immigrazione, annessi al TCE danno rilievo alle valutazioni di politica estera degli Stati membri e riconoscono la competenza di questi a concludere accordi nei settori di cui si tratta18.

Beninteso, quanto osservato non leva che, nell’esercizio – autonomo o concorrente – delle competenze esterne in parola, gli Stati membri, debbano attenersi al principio stabilito dall’art. 10 TCE e, per questo tramite, perseguire gli obiettivi dello “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (art. 2 TUE in combinazione con l’art. 61, par. 1 TCE)19. In altri termini, in una siffatta situazione diPage 504 competenza concorrente, per indicazione della Corte di giustizia, opera comunque il limite posto dall’art. 10 TCE20.

In secondo luogo, posto che la riammissione è da ricollegare alla circostanza che i cittadini di una parte contraente – o altre persone – non soddisfino, o non soddisfino più, le condizioni di ingresso o di soggiorno applicabili nel territorio dell’altra parte contraente, è ragionevole ritenere altresì che la richiesta di riammissione presupponga l’esistenza di un provvedimento di allontanamento fondato, evidentemente, sull’accertata violazione delle pertinenti norme immigratorie (sull’ingresso, il soggiorno) dello Stato richiedente, implicitamente richiamate dagli accordi in esame21. D’altro canto, come si avrà modo di approfondire22, la riammissione presuppone che nei rapporti tra gli Stati interessati non sussistano obblighi internazionali suscettibili di limitare l’applicazione di quegli stessi accordi.

È appena il caso di ricordare infine che si ha riguardo a una materia nella quale trova applicazione il Protocollo n. 4 sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda allegato al TCE: in assenza delle notificazioni previste dall’art. 3 – per la partecipazione all’adozione e applicazione delle misure proposte – o dell’art. 4 – concernente l’accettazione delle misure adottate – gli accordi di riammissione di cui è parte la Comunità non saranno obbligatori per il Regno Unito e l’Irlanda. Pertanto, i due Stati membri hanno notificato di voler partecipare all’adozione e applicazione delle decisioni relative alla conclusione...

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