L'Unione per il Mediterraneo

AuthorSusanna Cafaro
Pages105-127

    Il presente scritto è destinato anche al volume Rapporti tra ordinamenti e diritti dei singoli -Studi degli allievi in onore di Paolo Mengozzi, di prossima pubblicazione.

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@1. Premessa

1. Il 13 luglio 2008, sotto la presidenza congiunta del Presidente della Repubblica francese e del Presidente della Repubblica araba d'Egitto si è tenuto a Parigi un Vertice di particolare importanza per l'area mediterranea, con l'obiettivo di "relancer les efforts afin de transformer la Méditerranée en un espace de paix, de démocratie, de coopération et de prospérité".

Il parterre era degno di una grande occasione, vedeva riuniti tutti gli Stati, le organizzazioni internazionali che insistono nell'area, le banche di sviluppo e le istituzioni preposte al dialogo culturale. Gli Stati rappresentati erano ben quarantaquattro: i ventisette membri dell'Unione europea, i Paesi già membri del Partenariato euro mediterraneo (tra essi anche l'Autorità palestinese, che Stato -ancora -non è) e altri quattro di nuovo ingresso: Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Monaco e Montenegro. Alla Conferenza tanto la Comunità quanto l'Unione europea erano formalmente presenti nella persona del padrone di casa e Presidente di turno Sarkozy, del Presidente della Commissione europea, dell'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e del Presidente del Parlamento europeo -anche in veste di Presidente dell'Assemblea parlamentare euro-mediterranea (APEM). Vi erano ancora le Nazioni Unite, il Consiglio di cooperazione degli Stati arabi del Golfo, la Lega araba, l'Unione africana, l'Unione del Maghreb arabo, l'Organizzazione della conferenza islamica, la Banca mondiale, la Banca europea per gli investimenti (BEI),

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la Banca africana di sviluppo, l'Alliance des civilisations1 e la Fondazione euro mediterranea Anna Lindh per il dialogo culturale2.

La grande occasione che riuniva tanti protagonisti della vita di relazione internazionale traeva origine dall'intenzione di segnare una svolta nell'ambito del processo di Barcellona, portando a battesimo un nuovo soggetto multilaterale: l'Unione per il Mediterraneo. Per comprendere la portata dell'evento e le conseguenze che esso potrebbe produrre nel medio-lungo periodo bisogna fare un passo indietro, illustrare -sia pure in sintesi -i caratteri del dialogo strutturato noto come processo di Barcellona, le ragioni del rilancio, le novità della nuova configurazione, i suoi punti di forza ed i limiti, pur nella consapevolezza che solo la prassi successiva potrà avvalorare quelli che allo stato non possono che essere ipotesi ed auspici. Tale analisi permette di comprendere la nuova linea strategica dell'Unione nei confronti dell'area mediterranea.

@2. Gli antecedenti logici: il processo di Barcellona, luci e ombre

2. L'iniziativa francese all'origine del Vertice di Parigi giungeva dopo tredici anni di dialogo multilaterale strutturato nell'ambito del processo di Barcellona. Il meccanismo, varato a Barcellona nel novembre 19953 -peraltro non il primo tentativo dell'allora Comunità di darsi una politica e una proiezione "mediterranea"4 -ha riassunto negli anni Novanta tutte le speranze dei Paesi

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europei di stabilizzazione dell'area, articolandosi in tre assi: il dialogo politico, la cooperazione economica e il dialogo umanitario, sociale e culturale. Tre capitoli che avrebbero condotto nelle intenzioni iniziali a ridurre tanto il divario di sviluppo quanto il divario in termini di rispetto dei diritti umani e democratici, a favorire lo scambio culturale, a realizzare entro il 2010 un'area di libero scambio e -in ultima analisi -a fare della regione Mediterranea un'area di "prosperità condivisa" a garanzia della stabilità e della pace, disinnescando la minaccia terroristica.

Il Partenariato si è avvalso di una strutturazione leggera di matrice fortemente intergovernativa, al cui vertice si trovava la Conferenza euro-mediterranea dei ministri degli affari esteri che, riunendosi periodicamente, aveva il compito di definire azioni specifiche per raggiungere gli obiettivi previsti dalla Dichiarazione5. Ad un livello sottostante si collocava il Comitato euro-mediterraneo per il processo di Barcellona, composto di funzionari ministeriali6 in veste di rappresentanti degli Stati. La funzione del Comitato era quella di monitorare il processo e preparare i lavori della Conferenza. A tali incontri regolari si aggiungevano incontri occasionali dei capi di Stato e di governo di tutti i Paesi partecipanti alla cornice di Barcellona. Vi partecipavano tutti i Paesi mediterranei della sponda sud, ad esclusione della Libia alla quale solo successivamente è stato concesso lo status di osservatore7.

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Naturalmente, secondo il tipico schema di attuazione del diritto "morbido", che riveste mere funzioni di raccomandazione ed indirizzo, tanto la Dichiarazione di Barcellona, quanto i documenti elaborati nelle sedi intergovernative hanno trovato poi concretizzazione nell'attività condotta dai singoli membri del Partenariato, ciascuno dei quali si è avvalso dei propri strumenti normativi ed operativi per dare corpo agli obiettivi. Particolarmente importante il ruolo della Commissione europea, che ha tracciato il programma di lavoro, a conferma del ruolo di iniziativa e di leadership assunto dall'Unione europea8.

La vera ossatura del dialogo euromediterraneo era, in realtà, bilaterale. Si fondava e si fonda tutt'ora essenzialmente sul fascio di accordi di associazione e/o di cooperazione che ciascun Paese dell'area ha negoziato o rinegoziato con l'Unione europea ed i suoi Stati membri9. Tali accordi, tutti misti, ovvero con-

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clusi tra la Comunità, i suoi Stati membri e -sull'altro versante -ciascuno dei Paesi interessati, sono caratterizzati da un oggetto estremamente ampio che comprende obiettivi tipicamente comunitari quali l'espansione di relazioni economiche armoniose al fine di creare progressivamente le condizioni per una graduale liberalizzazione negli scambi di beni, servizi e capitali nonché la promozione di cooperazione economica, sociale, culturale e finanziaria. Accanto a tali obiettivi se ne rinvengono altri, come lo sviluppo della democrazia, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani che sono sì omogenei all'acquis comunitario di valori condivisi, ma caratteristici dei rapporti tra Stati membri ben più che delle relazioni esterne. Completano il contenuto degli accordi il dialogo politico strut-turato finalizzato alla stabilità e alla pace e il vivo incoraggiamento alla cooperazione regionale tra i Paesi terzi, sia pure con nuances che differenziano un poco la posizione dei singoli partner10.

Potrebbe, a questo punto, apparire difficile distinguere tra l'attuazione degli obiettivi di pace e stabilità attraverso il dialogo politico, che vede come protagonista l'Unione e si collocava -fino all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona -nel suo c.d. secondo pilastro, e la realizzazione delle finalità di cooperazione e sviluppo attraverso gli accordi di cooperazione e di associazione, strumenti già tipici del pilastro comunitario. In realtà, tali accordi configuravano l'impiego di strumenti comunitari per finalità esorbitanti -in termini di stretto diritto -rispetto al TCE. Tali finalità incorporavano infatti gli obiettivi di pace e di sicurezza tipicamente propri dell'Unione, nonostante la previsione contenuta nell'art. 47 TUE finalizzata a prevenire le commistioni tra pilastri11. Tale problema appare oggi in buona misura superato dall'entrata in vigore dei due nuovi

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Trattati sull'Unione (NTUE) e sul funzionamento dell'Unione (TFUE). Sebbene infatti l'art. 40 NTUE riprenda oggi mutatis mutandis i contenuti del precedente art. 47 TUE, esso è divenuto norma che separa e distingue i campi d'applicazione tra procedure e competenze della stessa Unione e non tra pilastri, nell'ambito di finalità che accomunano ben più che in passato le componenti dell'architettura complessiva dell'Unione.

Ma le finalità degli accordi stessi vanno al di là del quadro normativo dell'Unione e dunque delle basi giuridiche ivi previste e si inscrivono invece perfettamente nei documenti istitutivi e nel follow up del Partenariato euromediterraneo, dunque rispondono a finalità ulteriori, oggetto dei documenti di natura politica concordati in sede intergovernativa tra tutti i partner del processo. L'acquiescenza ed anzi l'avallo degli Stati membri e delle istituzioni comunitarie all'impiego dello strumento dell'accordo di associazione per così ampie finalità è insito nella scelta della modalità dell'accordo misto e sembra quasi voler mettere al sicuro le Parti contraenti da eventuali impugnazioni dell'atto stesso12.

A supporto di tale ventaglio di finalità si è creato, nell'ambito di ciascun accordo -ad eccezione di quello concluso con l'Autorità palestinese13 -un quadro istituzionale composto di un Consiglio di associazione con poteri decisionali propri, di un Comitato di associazione, di modalità di raccordo a livello diplomatico e ministeriale e di un dialogo interparlamentare. L'obiettivo ultimo della creazione di un'area di libero scambio entro il 2010 è inserito in ciascun accordo, così come nelle finalità della cornice multilaterale che li comprende tutti.

Da tali accordi scaturisce evidente la finalità di ravvicinamento o convergenza degli ordinamenti dei Paesi partner rispetto al diritto comunitario e se questo è -da un lato -un chiaro segnale della preminenza della sponda settentrionale su quella meridionale -dall'altro -porta con se innegabili garanzie per i cittadini che si trovano a godere dei diritti previsti negli accordi, grazie alla competenza della Corte di giustizia a garantirne l'interpretazione e l'esecuzione.

Sempre tra gli strumenti di attuazione vanno citati i meccanismi di sostegno economico. Al primo posto tra questi si colloca il Programma MEDA, lo strumento finanziario di cui la Comunità europea si è dotata appositamente per...

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