Il Piano Werner: unione monetaria e istituzioni di governo monetario

AuthorFrancesco Ingravalle
Pages67-84

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@1. Primi progetti per l’unificazione monetaria

L’importanza del cosiddetto Piano Werner va al di là di quella attribuibile a un mero tentativo, per quanto notevole, nella storia dell’integrazione europea, di pensare una unione monetaria1. Esso è anche l’indicazione concreta di come la logica delle cose obblighi a pensare a istituzioni di gestione dell’unione monetaria che non possono non avere aspetti politici. La cosa è rilevante perché getta luce sull’effetto spillover dell’intero processo di comunitarizzazione dei mercati in modo diverso da come vorrebbe un certo modo di intendere la versione classica della teoria funzionalistica. Esso non ci mette di fronte a una emersione chiara e distinta del “politico” come realtà altra rispetto all’ “economico”, ma a quella del “politico come gestione dell’economico”. Cioè del politico come amministrazione, governance o “governazione”. Poco a che vedere, dunque con la nozione weberiana2 e con quella schmittiana3 del politico. Molto

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a che vedere, invece, con la nozione di politico che si snoda da C.-H. de SaintSimon4 fino alla famosa abolizione dello statuale e del politico preconizzata da Marx5 e da Engels6 e, certo in linea di discontinuità ideologica, da Otto Neurath7 e da David Mitrany8, e non troppo distante dalle prospettive della Managerial Revolution di James Burnham9. Una nozione di politico che si va a saldare, nella storia dell’integrazione europea, con l’idealismo (e il “pragmatismo”) dei padri fondatori dell’Europa, tra i quali Schuman e Monnet (quest’ultimo, in particolare, nutrito della cultura “tecnoeconomica” tipica del “planismo” degli anni Trenta). Eterogenesi dei fini? Oppure nodo di contingenze geoeconomiche e geopolitiche post-1945 che hanno imposto, entro certi limiti, una logica di sviluppo degli eventi il cui meccanismo ha “ingranato” con la volontà di élites illuminate nella direzione non già della semplice cooperazione economica, ma dell’integrazione10?

È un fatto pressochè incontestato che un peso notevole nel rendere appetibile l’idea di integrazione economica alle classi dirigenti dei futuri “Sei Stati della CECA” lo ebbe il piano di ricostruzione statunitense dell’Europa noto come “Piano Marshall” e l’intenzione di creare una vasta area integrata di economia di libero mercato in funzione antisovietica. In una prospettiva del genere la cooperazione economica non poteva bastare a garantire la circolazione di capitali, merci e uomini che il piano di ricostruzio-4 L. Meldolesi, L’utopia realmente esistente. Marx e SaintSimon, RomaBari, Laterza, 1982.

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ne suggeriva, se non altro perché essa avrebbe lasciato sussistere le barriere doganali intatte. Soltanto un’area geoeconomica integrata poteva garantire lo sviluppo graduale di una circolazione pienamente svincolata dalle ombre economiche della sovranità politica. Del resto, sia la sconfitta per taluni (Germania e Italia), sia la vittoria per altri (Inghilterra, Francia) aveva drasticamente ridimensionato il realismo delle pretese di sovranità assoluta da parte degli Statinazione: l’emergere di Stati continentali come USA e URSS non lasciava dubbi su come fosse ripartita l’egemonia politicomilitare e in che termini, dove più, dove meno, essa limitasse le sovranità nazionali. In altri termini: a voler guardare allo sviluppo delle cose dal punto di vista del suo punto d’arrivo, molti fattori militavano a favore dello sviluppo dell’integrazione economica dei paesi che, all’inizio degli anni Cinquanta, avrebbero dato origine all’esperimento della CECA; altrettanti militavano a favore di uno sviluppo del mercato comune in unione monetaria. Ma la cornice sovranistica delle economie nazionali rendeva assai arduo interpretare i dati oggettivi che facevano delle spinte politiche all’integrazione economica dell’Europa occidentale qualche cosa di più di un mero ideale.

Il punto di partenza è la conferenza dell’ Haya del 1969 dove viene tematizzata l’unione monetaria come risposta alle sempre più evidenti insufficienze del sistema creato a Bretton Woods11. Si tratta di iniziare a creare una “comunità di stabilità e di crescita” e di realizzare un piano “a stadi” per creare una unione economica e monetaria. Ma ciò richiede – come evidenziato dal comunicato – che prima si armonizzino le politiche economiche degli Stati membri; al contempo, si suggerisce la creazione di un “fondo europeo di riserva”.

Il 16 gennaio 1970 i ministri dell’economia e delle finanze, con i governatori delle banche centrali, si incontrano. Vengono messi a confronto diversi piani: quello tedesco, ispirato a una strategia economicistica, era appoggiato da Italia e Olanda; il piano belga e lussemburghese costruito, invece, in base a un angolo visuale monetarista. La Francia appoggia il piano belga e lussemburghese vicino al piano della Commissione del 4 marzo 1970.

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Nell’incontro del 6 marzo 1970 il Consiglio crea un gruppo di lavoro che avrebbe dovuto gettare le basi programmatiche dell’unione monetaria. Di tale gruppo di lavoro è nominato presidente Pierre Werner12. Nasce così la Commissione Werner che produrrà un rapporto nel maggio e nell’ottobre 197013.

L’alternativa è chiara: l’armonizzazione delle politiche economiche è il presupposto dell’unione monetaria, oppure essa è il risultato dell’unione monetaria? Il problema con il quale essa si misura lo è altrettanto: gli squilibri dell’economia mondiale nel biennio 1968-1969 hanno prodotto distorsioni e restrizioni nella circolazione di beni, servizi e capitali in tutta l’area della Comunità Economica Europea. Occorre fare della CEE un’area di stabilità, oltre che di crescita economica. Non si può non riconoscere che porsi questo obiettivo equivale a porsi il problema non soltanto della comparabilità delle divise monetarie, ma addirittura quello della loro unione in una sola divisa monetaria. Ma le divise monetarie sono l’esito delle politiche economiche, oppure ne sono la causa? La polemica fra visione quantitativa e qualitativa della moneta riemerge, in parte, nella contrapposizione fra monetaristi ed economicisti. Di lì a poco il presidente statunitense Richard Nixon avrebbe impartito al mondo intero una “lezione” di monetarismo, il 15 agosto 1971, con l’abolizione del Gold Standard. Se ne sarebbero visti, in breve, gli effetti destabilizzanti sull’economia mondiale, ma stabilizzanti sull’economia statunitense. La CEE deve fa-12 Pierre Werner (1913-2002), lussemburghese, ha una formazione giuristica e politologica; tuttavia, dopo avere iniziato la carriera forense nel 1938 inizia a lavorare nel settore bancario e, tra il 1945 e il 1949, è nominato commissario al controllo bancario; entrato in politica nel 1953 e incaricato subito di ricoprire il dicastero delle Finanze, Werner ricopre, poi, tra il 1964 e il 1974 le funzioni di ministro degli Affari Esteri, della Giustizia, del Tesoro, delle Finanze, sotto diverse coalizioni politiche; una rapida biografia è reperibile in www.gouvernment.lu/salle_presse/actualité/2002/06/24/index.html e, naturalmente, nell’autobiografia pubblicata da Werner stesso nel 1991 e intitolata Itinéraires luxembourgeois et européens, Luxembourg, Editions SaintPaul, 1991.

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re come gli Stati Uniti d’America, oppure deve creare un’economia solida basata sulla convergenza delle politiche economiche? Vediamo i piani nei loro aspetti basilari.

Il piano tedesco (12 febbraio 1970) muoveva da una tesi forte. L’unione monetaria è la condizione per il pieno utilizzo delle risorse economiche di tutti i paesi membri. Quindi una condizione per il progresso dell’economia di tutti e di ciascun paese. In circa un decennio sarebbe stato possibile appianare le differenze strutturali e le contraddizioni fra le dinamiche economiche dei Sei; dopo questa prima fase, sarebbe stato relativamente agevole fissare reciprocamente i valori delle divise monetarie.

Prima fase: armonizzazione delle politiche economiche e monetarie; seconda fase: convergenza dei budgets nazionali; terza fase: passaggio all’unione monetaria; quarta fase: completamento dell’unione monetaria attraverso l’estensione delle istituzioni della CEE: esse avrebbero ricevuto il mandato di provvedere alle politiche monetarie, fiscali ed economiche; il Comitato dei Governatori delle Banche Centrali si sarebbe trasformato in una Banca Centrale europea che avrebbe deciso a maggioranza.

Il piano belga (23 gennaio 1970) muoveva da un’analisi complessiva dell’integrazione delle politiche economiche e monetarie; da quest’analisi si deduce che una armonizzazione monetaria e fiscale è possibile soltanto se vengono armonizzati gli obiettivi. L’unificazione monetaria si può compiere in tre fasi. Prima fase: cooperazione volontaria imperniata sulla mediazione tra Consiglio e Comitatao dei governatori delle Banche Centrali; il Consiglio si esprime attraverso raccomandazioni; seconda fase: il Consiglio procedere, ora, per direttive concordate con il Comitato dei Governatori delle Banche Centrali; terza fase: le istituzioni della CEE devono definire obiettivi comuni e approntare le necessarie misure per conseguirli; devono preparare il bilancio comunitario in rapporto ai bilanci degli Stati membri. Viene creato un sistema monetario comune, simile a quello del sistema della Federal Reserve, consistente in una banca centrale nazionale e in un corpo esecutivo europeo destinato ad approvare il funzionamento degli strumenti monetari nazionali e ad assicurare credito agli Stati membri. Le divise nazionali sono convertibili liberamente; terza fase: una sola moneta europea sostituisce tutte le divise nazionali.

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Il piano del Lussemburgo prevedeva non meno di sette fasi. La prima prevedeva un certo margine di armonizzazione delle politiche economiche; la seconda: riduzione dei margini di fluttuazione monetaria; terza fase: definizione di una unità europea di conto; quarta: il cambio delle parità viene sottoposto all’accordo comune; la quinta fase: viene creato un fondo...

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