Conclusiones del Abogado General Sr. J. Richard de la Tour, presentadas el 15 de junio de 2023.

JurisdictionEuropean Union
ECLIECLI:EU:C:2023:485
Date15 June 2023
Celex Number62022CC0222
CourtCourt of Justice (European Union)

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JEAN RICHARD DE LA TOUR

presentate il 15 giugno 2023 (1)

Causa C-222/22

Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl

con l’intervento di

JF

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2011/95/UE – Norme sul riconoscimento della protezione internazionale nonché sul contenuto della protezione riconosciuta – Bisogno di protezione internazionale sorto fuori dal paese d’origine (“sur place”) – Requisiti – Articolo 5, paragrafo 3 – Rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato – Nozione di “circostanze determinate dal richiedente stesso dopo la partenza dal paese di origine” – Margine di discrezionalità degli Stati membri – Legislazione nazionale che assoggetta il riconoscimento dello status di rifugiato alla condizione che le attività fuori dal paese d’origine siano attività legali interpretabili come continuazione di convinzioni od orientamenti già manifestati nel paese d’origine – Conversione religiosa di un cittadino di un paese terzo fuori dal paese d’origine»






I. Premessa

1. La presente causa offre alla Corte l’opportunità di chiarire le condizioni e i limiti entro i quali gli Stati membri possono riconoscere l’esistenza di un bisogno di protezione internazionale derivante dalle attività svolte da un cittadino di un paese terzo o da un apolide dopo la sua partenza dal paese d’origine («sur place»).

2. In particolare, la Corte è chiamata a pronunciarsi sul significato e sulla portata dell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2011/95/UE (2), ai sensi del quale gli Stati membri possono non riconoscere «di norma» lo status di rifugiato, a seguito dell’esame di una domanda successiva, se il rischio di persecuzioni deriva da «circostanze determinate dal richiedente stesso dopo la partenza dal paese di origine». In questo contesto, la Corte dovrà stabilire in che misura uno Stato membro possa avvalersi del margine di discrezionalità conferitogli da tale disposizione per subordinare la concessione di detto status alla condizione che le attività svolte dal richiedente fuori dal paese d’origine siano attività autorizzate nello Stato membro in questione, per le quali sia accertato che costituiscono l’espressione e la continuazione di convinzioni od orientamenti già manifestati nel paese d’origine.

3. La causa in esame rientra nell’ambito di una controversia tra JF, cittadino iraniano convertitosi al cristianesimo mentre soggiornava nel territorio austriaco, e il Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Ufficio federale per il diritto degli stranieri e il diritto di asilo, Austria) (in prosieguo: il «BFA») relativamente alla legittimità della decisione di quest’ultimo di negargli il riconoscimento dello status di rifugiato. Il BFA ha infatti ritenuto, in applicazione dell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, che il rischio di persecuzioni derivante da tale conversione religiosa risulti da circostanze determinate dal richiedente stesso dopo la partenza dal paese di origine.

4. Esporrò, nelle considerazioni che seguono, le ragioni per le quali ritengo che l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro può negare il riconoscimento dello status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o a un apolide, che abbia presentato una domanda successiva, solo a condizione che sia dimostrato che tale domanda si basa manifestamente su un rischio di persecuzioni deliberatamente determinato dal richiedente stesso dopo l’adozione della decisione definitiva sulla sua domanda precedente, svolgendo attività, compiendo atti o adottando comportamenti simulati al solo scopo di creare le condizioni necessarie per essere considerato rifugiato.

5. Spiegherò altresì le ragioni per le quali ritengo che uno Stato membro non possa avvalersi del margine di discrezionalità conferitogli da tale disposizione per subordinare la concessione di detto status a condizioni diverse da quelle espressamente enunciate dalla direttiva 2011/95.

II. Contesto normativo

A. Diritto internazionale

6. L’articolo 1, sezione A, punto 2, primo comma, della convenzione relativa allo status dei rifugiati (3), come integrata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati (4) (in prosieguo: la «convenzione di Ginevra»), dispone che il termine «rifugiato» si applichi a chiunque, «nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato».

B. Diritto dell’Unione

7. L’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95 definisce la nozione di «rifugiato» come riferibile al «cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese (...) e al quale non si applica l’articolo 12».

8. All’interno del capo II di tale direttiva, intitolato «Valutazione delle domande di protezione internazionale», l’articolo 4, paragrafo 3, lettera d), così dispone:

«L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

(...)

d) dell’eventualità che le attività svolte dal richiedente dopo aver lasciato il paese d’origine abbiano mirato esclusivamente o principalmente a creare le condizioni necessarie alla presentazione di una domanda di protezione internazionale, al fine di stabilire se dette attività espongano il richiedente a persecuzione o a danno grave in caso di rientro nel paese».

9. L’articolo 5 di detta direttiva, intitolato «Bisogno di protezione internazionale sorto fuori dal paese d’origine (“sur place”)», è così formulato:

«1. Il timore fondato di essere perseguitato o il rischio effettivo di subire un danno grave può essere basato su avvenimenti verificatisi dopo la partenza del richiedente dal suo paese di origine.

2. Il timore fondato di essere perseguitato o il rischio effettivo di subire un danno grave può essere basato su attività svolte dal richiedente dopo la sua partenza dal paese d’origine, in particolare quando sia accertato che le attività addotte costituiscono l’espressione e la continuazione di convinzioni od orientamenti già manifestati nel paese d’origine.

3. Fatta salva la convenzione di Ginevra, gli Stati membri possono stabilire di non riconoscere di norma lo status di rifugiato a un richiedente che abbia introdotto una domanda successiva se il rischio di persecuzioni è basato su circostanze determinate dal richiedente stesso dopo la partenza dal paese di origine».

C. Diritto austriaco

10. L’articolo 2, paragrafo 1, punto 23, del Bundesgesetz über die Gewährung von Asyl (legge federale in materia di concessione del diritto di asilo) (5), del 16 agosto 2005, come modificato dal Bundesgesetz, mit dem das Asylgesetz 2005, das Fremdenpolizeigesetz 2005 und das BFA-Verfahrensgesetz geändert werden (legge federale che modifica la legge sull’asilo del 2005, la legge sulla polizia degli stranieri del 2005 e la legge sul procedimento dinanzi al BFA) (6), del 20 maggio 2016, definisce la nozione di «domanda successiva» come «ogni nuova domanda presentata dopo che sia stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente».

11. L’articolo 3 dell’AsylG 2005, intitolato «Status di avente diritto di asilo», prevede quanto segue:

«(1) A un cittadino straniero che ha presentato una domanda di protezione internazionale in Austria viene riconosciuto lo status di avente diritto di asilo se la domanda non deve essere respinta a norma degli articoli 4, 4a o 5, se è probabile che egli sia minacciato di persecuzione nel suo paese d’origine, ai sensi dell’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, della [convenzione di Ginevra].

(2) La persecuzione può essere fondata anche su eventi che si sono verificati dopo che lo straniero ha lasciato il suo paese d’origine (motivi oggettivi sorti fuori dal paese d’origine) o su attività che lo straniero ha intrapreso dopo la sua partenza dal paese d’origine, che sono, tra l’altro, l’espressione e la continuazione di una convinzione già manifestata nel paese d’origine (motivi soggettivi sorti fuori dal paese d’origine). A uno straniero che presenti una domanda successiva (articolo 2, paragrafo 1, punto 23) non è riconosciuto, di norma, lo status di avente diritto di asilo se il rischio di persecuzioni è basato su circostanze determinate dallo straniero stesso dopo la partenza dal paese d’origine, salvo sia accertato che si tratta di attività consentite in Austria che costituiscono l’espressione e la continuazione di convinzioni già manifestate nel paese d’origine.

(...)».

III. Fatti della controversia principale e questione pregiudiziale

12. JF, cittadino iraniano, ha presentato, il 3 ottobre 2015, una domanda di protezione internazionale alle autorità austriache con la motivazione che, in qualità di istruttore di guida, era stato sottoposto, in particolare, ad un interrogatorio da parte dei servizi segreti iraniani per aver rifiutato di obbedire, nonché a un procedimento penale per aver espresso critiche nei confronti di un predicatore nel corso del suo primo anno di studi.

13. Con decisione del 7 giugno 2017, il BFA respingeva tale domanda, non ritenendo credibili le motivazioni addotte da JF per giustificare la fuga dal suo paese d’origine, ed emanava una decisione di rimpatrio nei suoi confronti. JF proponeva ricorso avverso detta decisione, respinto dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Austria) con sentenza del 3 gennaio 2018...

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