Conclusiones del Abogado General Sr. J. Richard de la Tour, presentadas el 9 de noviembre de 2023.

JurisdictionEuropean Union
ECLIECLI:EU:C:2023:856
Date09 November 2023
Celex Number62022CC0608
CourtCourt of Justice (European Union)

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JEAN RICHARD DE LA TOUR

presentate il 9 novembre 2023 (1)

Cause riunite C608/22 e C609/22

AH (C608/22),

FN (C609/22)

con l’intervento di

Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative al riconoscimento della protezione internazionale e al contenuto di tale protezione – Articolo 9, paragrafo 1, lettera b) – Nozione di “atti di persecuzione” – Somma di atti e di misure discriminatori adottati nei confronti delle ragazze e delle donne – Modalità di valutazione del livello di gravità richiesto – Articolo 4, paragrafo 3 – Valutazione individuale della domanda – Presa in considerazione del genere, a prescindere da altri elementi propri della situazione personale – Margine di discrezionalità degli Stati membri»






Introduzione

1. Dopo il ritorno del regime dei talebani in Afghanistan, la situazione delle ragazze e delle donne di tale paese si è rapidamente deteriorata al punto che si può parlare di negazione vera e propria della loro identità. Per evitare di subire detta situazione intollerabile, alcune ragazze e donne afghane fuggono dal loro paese o rifiutano di ritornarvi e vengono a cercare asilo, in particolare, nell’Unione europea. Di fronte a tale situazione, le autorità degli Stati membri sono incerte se concedere lo status di rifugiato a tali donne semplicemente in ragione del loro sesso o se ricercare individualmente la sussistenza di un rischio di persecuzioni.

2. La presente causa consentirà alla Corte di chiarire detta situazione.

3. Più precisamente, con i presenti rinvii pregiudiziali, la Corte è invitata a precisare le modalità di valutazione della sussistenza di un timore fondato di subire un «atto di persecuzione», ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE (2), quando la domanda di protezione internazionale sia presentata da una donna per il motivo che essa rischia di essere esposta, in caso di ritorno nel suo paese d’origine, ad un cumulo di atti e di misure discriminatori che limitano l’esercizio dei suoi diritti civili, politici, economici, sociali e culturali.

4. In particolare, il Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria) chiede alla Corte se atti come quelli adottati dal regime dei talebani a partire dal 15 agosto 2021, che restringono l’accesso delle ragazze e delle donne all’istruzione, all’esercizio di un’attività professionale e all’assistenza sanitaria, che limitano la loro partecipazione alla vita pubblica e politica nonché la loro libertà di movimento e di pratica sportiva, che impongono loro, inoltre, di coprirsi integralmente il corpo e il viso e che le privano della protezione contro la violenza di genere e la violenza domestica, possano essere considerati, tenuto conto del loro effetto cumulativo e della loro intensità, un «atto di persecuzione» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95. In tale contesto, la Corte è quindi invitata a completare i principi da essa già enunciati nelle sentenze del 5 settembre 2012, Y e Z (3), e del 7 novembre 2013, X e a. (4), quanto all’interpretazione della nozione di «atti di persecuzione» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/83/CE (5), che è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2011/95, essendo l’articolo 9 di tali due direttive redatto in modo quasi identico.

5. Inoltre, il giudice del rinvio chiede alla Corte se, nell’ambito dell’esame della situazione individuale e delle circostanze personali della richiedente, prescritto ai fini della valutazione individuale della domanda di protezione internazionale, l’autorità competente possa concludere che sussiste un timore fondato che la richiedente subisca un simile atto di persecuzione a causa del suo genere, senza dover ricercare altri elementi propri della sua situazione personale.

6. Tale seconda questione, relativa alla portata della valutazione individuale richiesta dal legislatore dell’Unione all’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, si inserisce in un contesto particolare. Infatti, alcuni Stati membri, come i Regni di Svezia (6) e di Danimarca (7) o la Repubblica di Finlandia (8), hanno già deciso di concedere lo status di rifugiato alle cittadine afghane in modo quasi automatico, semplicemente a causa del loro genere, inseriendosi quindi nella falsariga degli Stati che, fin dall’agosto 2021, prevedevano l’attuazione del regime di protezione temporanea istituito dalla direttiva 2001/55/CE (9). L’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (EUAA) conclude, dal canto suo, nella sua ultima relazione informativa sull’Afghanistan (2023), che un timore fondato di persecuzione sarà in generale ritenuto sussistente per le ragazze e le donne afghane alla luce delle misure adottate dal regime dei talebani (10), mentre l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) sottolinea, nella sua dichiarazione rilasciata nel contesto dei presenti rinvii pregiudiziali, che sussiste una presunzione di riconoscimento dello status di rifugiato nei confronti delle ragazze e delle donne afghane (11).

7. Nelle presenti conclusioni, esporrò le ragioni per le quali ritengo che le misure menzionate dal giudice del rinvio costituiscano un «atto di persecuzione» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95. Spiegherò che la discriminazione grave, sistematica e istituzionalizzata esercitata nei confronti delle ragazze e delle donne afghane ha la conseguenza di privare queste ultime dei loro diritti più essenziali in una vita sociale e pregiudica il pieno rispetto della dignità umana, quale sancito dall’articolo 2 TUE e dall’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (12).

8. Esporrò inoltre i motivi per i quali ritengo che nulla osti a che l’autorità competente stabilisca la sussistenza di un timore fondato di persecuzione semplicemente in ragione del genere della richiedente, senza dover ricercare altri elementi propri della sua situazione personale.

I. Contesto normativo

A. La CEDU

9. L’articolo 15 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (13), intitolato «Deroga in caso di stato d’urgenza», ai paragrafi 1 e 2 prevede quanto segue:

«1. In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.

2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2 [“Diritto alla vita”], salvo il caso di decesso causato da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3 [“Proibizione della tortura”], 4 § 1 [“Proibizione della schiavitù”] e 7 [“Nulla poena sine lege”]».

B. Direttiva 2011/95

10. Il considerando 14 della direttiva 2011/95 così recita:

«Gli Stati membri dovrebbero avere facoltà di stabilire o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli delle norme stabilite nella presente direttiva per i cittadini di paesi terzi o per gli apolidi che chiedono protezione internazionale a uno Stato membro, qualora tale richiesta sia intesa come basata sul fatto che la persona interessata è o un rifugiato ai sensi dell’articolo 1 A della convenzione [relativa allo status dei rifugiati (14), come integrata dal protocollo sullo status dei rifugiati (15) (in prosieguo: la “Convenzione di Ginevra”)] o una persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria».

11. L’articolo 2, lettera d), di tale direttiva prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

d) “rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12».

12. L’articolo 3 di detta direttiva, intitolato «Disposizioni più favorevoli», così dispone:

«Gli Stati membri hanno facoltà di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale, purché siano compatibili con le disposizioni della presente direttiva».

13. L’articolo 4 della direttiva 2011/95, intitolato «Esame dei fatti e delle circostanze», è così formulato:

«1. Gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda.

2. Gli elementi di cui al paragrafo 1 consistono nelle dichiarazioni del richiedente e in tutta la documentazione in possesso del richiedente in merito alla sua età, estrazione, anche, ove occorra, dei congiunti, identità, cittadinanza/e, paese/i e luogo/luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di viaggio nonché i motivi della sua domanda di protezione internazionale.

3. L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

a)...

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