La neutralità fiscale nel finanziamento d'impresa

AuthorJakob Bundgaard; Michael Tell
Pages1-27

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@1. Introduzione

Le scelte relative1 al finanziamento d’impresa ed i loro effetti fiscali hanno costituito negli ultimi anni un tema cruciale nell’agenda della politica fiscale internazionale2.

Dal punto di vista del diritto tributario internazionale, la questione fondamentale sollevata dal finanziamento d’impresa risiede nel diverso regime fiscale della remunerazione del debito e del capitale.

In linea di principio, si può dire che in tutto il mondo sono gli stessi principi generali a governare il regime fiscale delle forme di finanziamento in conto capitale e a debito3.

Per quanto concerne più da vicino la situazione danese, l’obiettivo della neutralità fiscale del finanziamento d’impresa è stato massicciamente perseguito attraverso l’eliminazione dei vantaggi fiscali ottenuti dai fondi di private equity nelle operazioni di leveraged buy-out. Inoltre, il Governo danese si è posto in prima linea nella lotta agli arbitraggi fiscali transnazionali, che si presentano anche nel contesto della finanza d’impresa.

Oggetto di analisi nel presente lavoro sarà il regime fiscale danese attualmente in vigore, con un'attenzione specifica alle forme di finanziamento all'impresa. Più inPage 2 particolare, ci si interrogherà sulla conformità dell'attuale regime di tassazione delle società con la neutralità fiscale intesa come obiettivo generale di politica tributaria.

Verrà inizialmente presentato il sistema danese vigente relativo ai finanziamenti a debito o tramite ricorso al capitale di rischio. Con ciò, si farà riferimento anche alle specifiche disposizioni, di recente adozione, dettate in materia di limitazioni alla deducibilità degli interessi e di contrasto all'arbitraggio. L'analisi si incentrerà sui finanziamenti transfrontalieri, in cui le questioni rilevanti riguardano la tassazione di una società beneficiaria nazionale e di un investitore straniero, o, al contrario, di una società beneficiaria straniera e di un investitore nazionale. Il tutto senza pretesa di esaurire le problematiche fiscali sollevate dalla normativa in questione, e senza entrare nel dettaglio dei tecnicismi del diritto interno, né tantomeno con l'intento di fornire un'analisi approfondita dei temi più generali connessi all'emissione di capitale di rischio e al ricorso al capitale di debito. In questo quadro d'insieme, si affronterà il tema della conformità dell'attuale regime con il principio di neutralità fiscale. Ai fini di tale indagine, è stato definito il concetto di neutralità fiscale cui si intende fare riferimento. Infine, la prospettiva verrà spostata sui profili di possibile contrasto di tale regime con il diritto comunitario.

@2. Il regime danese dei finanziamenti tramite ricorso al capitale di rischio ed al capitale di debito

@@2.1. Il regime fiscale delle società che si finanziano con capitale di rischio

I profitti di una società derivanti dalla gestione del capitale di rischio sono generalmente soggetti all’imposta sulle società nel Paese di residenza della società stessa. Tali profitti sono oggi tassati in Danimarca con l’aliquota del 25%4. Come regola generale, la remunerazione del capitale (i dividendi) non può essere portata in deduzione nel calcolo della base imponibile. Nel diritto tributario danese, cioè, i dividendi non sono deducibili.

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@@2.2. Il regime fiscale per l’investitore che finanzia una società con capitale di rischio

Nel Paese della fonte del dividendo, il socio può subire sui dividendi percepiti una ritenuta alla fonte, anche se questa tuttavia può essere ridotta in applicazione della Direttiva Madre-Figlia (in seguito ”DMF”)5 o di convenzioni internazionali6.

Nel Paese di residenza del socio, inoltre, i dividendi sono in linea di principio soggetti a tassazione (ove possibile, beneficiando di un credito d’imposta relativo alla ritenuta alla fonte e/o all’imposta sulle società prelevata al livello della società distributrice). Tuttavia, tali dividendi saranno esenti da imposta in presenza del privilegio dell’international affiliation ovvero di un regime di participation exemption.

In Danimarca, i dividendi distribuiti ad un socio non residente7 sono assoggettati ad una ritenuta alla fonte in misura del 28%8, a meno che tale socio non sia qualificabile come società “madre”. Sono requisiti necessari per ottenere questa esenzione (i) la titolarità diretta di una quota pari ad almeno il 10% del capitale della società distributrice dei dividendi; (ii) l’assimilabilità della società “madre” straniera – quanto alla sua natura giuridica - alle società soggette ad imposta ai sensi del diritto danese (da intendersi secondo una definizione lata); (iii) l’applicabilità nel caso di specie della DMF o di una convenzione internazionale ai fini della riduzione o eliminazione della tassazione dei dividendi. Tale esenzione può essere accordata anche nel caso in cui detta società non soddisfi il citato criterio del 10% del capitale, ma opti per la tassazione congiunta con la filiale danese9.

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La ritenuta alla fonte è ridotta al 15% per la società residente in un Paese che abbia concluso con la Danimarca un accordo per lo scambio di informazioni e che possieda una partecipazione inferiore al 10%10. In questo caso, tuttavia, si applica comunque la ritenuta del 28%, ed è onere della società azionista richiedere alle autorità danesi l’applicazione della tassazione ridotta.

Le società danesi sono in linea di massima tassate in Danimarca sui dividendi percepiti da società estere11, sempre che, tuttavia, non presentino i requisiti di società “madre”. In quel caso, infati, i dividendi usufruiranno del regime danese di participation exemption, il quale, benché sia applicabile a livello mondiale, costituisce la trasposizione nell’ordinamento nazionale della DMF. Sono pertanto esenti da imposta i dividendi percepiti da società “madri” danesi (quelle, cioè, dell’elenco tassativo richiamato nel testo tramite rinvio) laddove ricorrano le seguenti condizioni12: (1) la società “madre” detenga una partecipazione diretta pari ad almeno il 10% del capitale della società distributrice dei dividendi, ovvero abbia optato per la tassazione congiunta con la filiale danese ai sensi della Sezione 31 o 31 A del CTA; e (2) i dividendi non siano deducibili13 né soggetti allo specifico regime fiscale riservato alle società d’investimento (nazionali o straniere), di cui alla Sezione 19 dell’Act on Taxation of Capital Gains and Losses on Shares (in seguito, ”GLS”).

In caso contrario, i dividendi sono tassati con l’aliquota del 25% ordinariamente applicata alle società14. I dividendi percepiti da persone fisiche sono invece tassati come reddito da partecipazione, con aliquota pari al 28% (per i redditi fino a 48.600 corone danesi) e al 42%, nell’anno d’imposta 201015.

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Le plusvalenze relative a partecipazioni in una società controllata sono esenti da imposta e, parallelamente, le eventuali minusvalenze non sono deducibili, nel caso in cui l’investitore detenga direttamente una partecipazione almeno pari al 10% del capitale nella controllata e la tassazione del dividendo debba essere ridotta o eliminata in base alla DMF o ad una convenzione internazionale16. Tuttavia, le plusvalenze sono esenti e le minusvalenze non deducibili anche al di sotto della citata soglia del 10%, qualora la società partecipante e la società partecipata siano da considerare come un gruppo ai sensi della Sezione 31 C della Legge sull’Imposta delle Società (CTA).

Fino ad oggi, le obbligazioni convertibili potevano essere cedute in regime di esenzione fiscale se la società cedente ne era stata in possesso per almeno tre anni, e, in ogni caso, eventuali perdite non sarebbero state deducibili. Alla luce di questa disciplina, le obbligazioni convertibili sono state spesso utilizzate in operazioni di finanziamento transnazionali. Un vantaggio poteva prodursi, ad esempio, nel caso in cui un soggetto mutuante danese a sua volta ri-finanziasse attraverso un’obbligazione convertibile infruttifera una società mutuataria straniera, domiciliata in uno Stato in cui le obbligazioni convertibili fossero trattate come i crediti per la restituzione di somme finanziate. In tal caso, infatti, la società danese avrebbe evitato di subire un prelievo sulle plusvalenze relative alle obbligazioni convertibili possedute da almeno tre anni, mentre la società straniera avrebbe potuto invocare la deduzione delle minusvalenze17. Questa forma di arbitraggio fiscale è stata stigmatizzata nel 2008 dal legislatore danese, il quale in via generale ha reso tassabili le plusvalenze realizzate su obbligazioni convertibili. A ciò ha contribuito anche la riforma fiscale del 200918.

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@@2.3. Il regime fiscale delle società che si finanziano con capitale di debito

A livello internazionale, la remunerazione del capitale di debito (nella forma di interessi) è generalmente considerata una spesa deducibile nel calcolo della base imponibile nello Stato di residenza della società che a tale forma di finanziamento fa ricorso19. Da ciò discende che effettivamente gli interessi non scontano l’imposizione sulle società, ed il solo soggetto destinato a subire un prelievo sul pagamento di interessi, tanto in un contesto nazionale quanto in uno internazionale, è il creditore20. Tuttavia, restrizioni e limitazioni alla deducibilità degli interessi possono essere imposte dalla disciplina nazionale.

In Danimarca, i costi relativi agli interessi si portano in deduzione nel calcolo dell’imposta sulle società21. In generale, poi, è deducibile per le società anche la minusvalenza realizzata sul finanziamento22. Tuttavia, le minusvalenze relative a finanziamenti effettuati in corone danesi (DKK), indicizzati e con interessi in misura non inferiore al tasso minimo di cui alla Sezione 38 dell’Act on Capital Gains and Losses on Claims and Debt (”ACD”), non sono deducibili23, così come non lo sono nemmeno le minusvalenze su finanziamenti in corone danesi (DKK) che prevedano interessi in misura...

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