La tassazione delle imprese multinazionali all’interno dell’Unione Europea: spunti per una revisione

AuthorStefano Micossi; Paola Parascandolo
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@1. Difetti dell’attuale sistema di tassazione delle imprese multinazionali nell’Unione Europea

Come regola generale1, le imprese multinazionali (d’ora innanzi “MNEs”) vengono tassate separatamente in ciascun paese esse operino, sulla base del reddito prodotto nel paese medesimo (c.d. tassazione alla “fonte”)2. A tale scopo, esse devono adottare bilanci separati per le transazioni commerciali tenute in ogni paese (c.d. “bilanci separati”, BS) iscrivendo in tali bilanci tutti i movimenti finanziari passivi e/o attivi realizzati per ciascuna transazione commerciale sulla base del principio - universalmente accettato - del c.d. “valore normale” (o anche conosciuto con il nome di “arm’s-length pricing” ALP), che corrisponde al prezzo medio praticato sul mercato per transazioni simili che interessano società non collegate tra loro.

Sebbene tale sistema sia stato utilizzato per svariati decenni, esso non ha mai funzionato in modo soddisfacente3/4. L’integrazione, peraltro, sta amplificando taliPage 2 difficoltà di funzionamento dal momento che le transazioni intrasocietarie stanno acquisendo importanza all’interno delle MNEs e l’integrazione dei mercati finanziari espande le opportunità di procedere ad una pianificazione fiscale circa il trasferimento dei profitti (c.d. “profit-shifting”) ed il ricorso al capitale di debito per finanziare la spesa.

Con riguardo al principio dell’ ALP applicato dalle autorità fiscali per impedire la movimentazione artificiosa dei profitti, Devereux and Keuschnigg hanno recentemente sviluppato e valutato un modello che dimostra come il valore normale dei beni non corrisponda ai prezzi praticati nelle transazioni tra parti indipendenti5. Essi concludono sostenendo che l’applicazione dell’ALP distorce l’attività delle multinazionali, riducendo la capacità di indebitamento e di investimento delle società straniere affiliate alla holding multinazionale ed alterando le scelte organizzative circa il diretto investimento e/o il riscorso a fonti di finanziamento esterne.

Le difficoltà concettuali sono mescolate ad intricati problemi di monitoraggio, poichè ciascuna transazione deve essere valutata e controllata dalle autorità fiscali6. Naturalmente, questo avviene in modo più meticoloso nei posti in cui può essere realizzato il profit-shifting. Quando le opinioni delle autorità fiscali divergono sul trattamento accettabile di una particolare transazione, possono generarsi fenomeni di doppia o di nessuna imposizione.

Entrambe possono anche essere il risultato della diversa combinazione dei principi della tassazione sulla base dello Stato o della fonte o di residenza, dei dividendi e/o degli interessi pagati alle società madri oppure agli azionisti nei rapporti trasnazionali. Compensare le perdite di solito non è ammesso per lePage 3 società figlie ed è peraltro previsto, esclusivamente entro certi limiti, per le filiali. Differire la tassazione dei profitti delle filiali normalmente non è permesso qualora tale facoltà sia riconosciuta per le società figlie; pretese fiscali possono derivare dall’applicazione della legislazione relativa alle società estere controllate (c.d. legislazione “CFC”) prevista in molti paesi per contrastare l’imputazione dei profitti nei c.d. “paradisi fiscali”.

In breve, le MNEs nell’Unione Europea sono gravate da ingenti costi nel tentativo di conformarsi ai requisiti richiesti da 27 differenti ordinamenti fiscali ed a notevoli incertezze circa la corretta applicazione delle diverse discipline impositive; le autortià fiscali, invero, fronteggiano i medesimi complessi problemi nel verificare la corretta applicazione del principio del valore normale; sono diffuse pretese confliggenti sulla base imponibile, la doppia imposizione e l’assenza di imposizione.

Per tali ragioni, si accrescono le richieste, provenienti sia dalle società aventi sede legale nell’Unione Europea, sia dalle stesse autorità fiscali, di revisionare le attuali regole in materia di tassazione societaria, non ultimo in vista dell’obiettivo previsto di rafforzare la competitività su scala globale delle società europee e rendere l’Unione un luogo attraente per lo svolgimento di operazioni commerciali.

La revisione del sistema di tassazione societaria dovrebbe costituire un’opportunità per ridurre le distorsioni e le conseguenti inefficienze. Un articolo recente affronta esaustivamente tale argomento, da un punto di vista sia nazionale, sia internazionale e riporta tutte le ultime stime effettuate dagli economisti in merito alle distorsioni7. Tale articolo pone il trasferimento tra redditi di capitale e redditi di lavoro all’apice della lista delle distorsioni. Il trasferimento dei profitti tra ordinamenti è la seconda più rilevante fonte di distorsioni. Infine, gli effetti della tassazione sulla localizzazione delle operazioniPage 4 commerciali e l’investimento diretto all’estero si collocano al terzo posto tra le fonti di distorsioni.

Il dibattito accesosi tra gli studiosi e gli esperti del settore ha già portato ad alcune proposte di riforma delle regole attuali che possono essere esaminate. Un sostegno importante a livello comunitario è peraltro stato dato dallo sviluppo di un progetto di base imponibile comune, la tassazione consolidata dei redditi d’impresa. La formula di ripartizione dovrebbe allora essere utilizzata per distribuire il reddito tra le differenti giurisdizioni fiscali.

Noi dimostreremo che si può adottare un approccio radicalmente differente sempre che offra notevoli vantaggi in termini di efficienza, semplicità e decentralizzazione. Ciò implica l’abbandono del reddito d’impresa come base imponibile rilevante e la tassazione ad un livello “modico” dell’attività commerciale.

@2. Coordinamento della tassazione delle imprese all’interno dell’Unione Europea

Il trattato della Comunità Europea (TCE) non fa alcun esplicito riferimento ad un processo di armonizzazione delle imposte dirette, ma l’art. 94 apre la strada alle iniziative comunitarie, riconoscendo al Consiglio il potere di deliberare direttive “volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune8 e fornendo, quindi, una legittimazione alle direttive esistenti nel campo dell’imposizione diretta. Le deliberazioni richiedono il voto unanime del Consiglio.

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Tuttavia, alcune proposte sull’armonizzazione della fiscalità d’impresa sono state oggetto di dibattito all’interno della Comunità Europea per oltre 30 anni9. Tutto considerato, gli argomenti in favore dell’armonizzazione delle politiche fiscali in materia d’impresa non sono apparsi molto convincenti; in ogni caso, non hanno trovato un sostegno sufficientemente ampio tra gli Stati Membri. Agli inizi degli anni novanta, la Commissione decise di concentrarsi su alcune essenziali, ma limitate, misure per favorire l’instaurazione del mercato unico: svariati passi sono stati fatti per ridurre gli ostacoli fiscali alle operazioni transforntaliere, includendo la Direttiva sulle fusioni (90/434)10, la Direttiva madre - figlia (90/435)11 e la Convenzione relativa all’eliminazione della doppia imposizione, anche conosciuta come Convenzione sull’arbitrato (90/436)12.

La concorrenza fiscale dannosa è stata in primis analizzata dal Comitato Affari Fiscali dell’OCSE, in una relazione sottoposta all’attenzione dell’organizzazione del Consiglio dei Ministri nel 1998; il Consiglio approvò le (non vincolanti) linee guida proposte per contenere le pratiche fiscali dannose ed istituì un forum per permetterne la loro attuazione tra gli Stati membri e gli Stati terzi. La relazione dell’OCSE era focalizzata sulla mobilità geografica dei finanziamenti e delle attività del terziario, senza particolare attenzione alla tassazione delle attività commerciali, e prevedeva criteri per l’identificazione di un regime fiscale preferenziale dannoso nonchè delle misure per contrastarne gli effetti.

All’interno dell’Unione, il Consiglio Europeo, radunatosi nel 1996 a Dublino, ha riconosciuto la necessità di affrontare il problema della concorrenza fiscale, e ciò ha condotto, un anno dopo, all’emanazione, da parte della Commissione Europea della Comunicazione “Verso il coordinamento fiscale nell’Unione Europea - UnPage 6 pacchetto di misure volte a contrastare la concorrenza fiscale dannosa nell'Unione europea13. La comunicazione ha previsto un set coordinato di misure, conosciuto come “pacchetto Monti”: un Codice di Condotta sulla concorrenza fiscale dannosa, misure di armonizzazione circa la tassazione del risparmio e l’eliminazione delle ritenute fiscali sui pagamenti intrasocietari di interessi e royalties. Il pacchetto originario, chiaramente, aveva ambizioni che andavano oltre il mero contrasto alla concorrenza fiscale dannosa ed il controllo delle politiche fiscali di armonizzazione, ma la negoziazione che ne è seguita lo ha ricondotto dentro il suo obiettivo “primario”. Il Codice di condotta è stato approvato nel 1998 ed il resto del pacchetto solo nel 2003.

Nel Codice di Condotta14, i fattori per identificare la concorrenza fiscale dannosa erano, essenzialmente, gli stessi proposti...

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