La complessa vicenda dei diritti sociali fondamentali nell'Unione europea

AuthorEnnio Triggiani
PositionOrdinario di Diritto dell'Unione europea nell'Università degli studi di Bari Aldo Moro
Pages9-33
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Studi sull’integrazione europea, IX (2014), pp. 9-33
Ennio Triggiani*
La complessa vicenda
dei diritti sociali fondamentali
nell’Unione europea**
S: 1. La fase “economica” dell’integrazione sociale europea. – 2. I primi passi verso la
costruzione del modello sociale europeo. – 3. La valorizzazione degli obiettivi sociali dopo
Maastricht. – 4. La tutela dei diritti sociali attraverso direttive e la Carta di Nizza. – 5. Il
dialogo sui diritti sociali fondamentali tra Corti europee e Comitati di esperti. – 6. La “sof-
ferta” evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia: l’equivalenza gerarchica fra
diritti e libertà fondamentali. – 7. Il Trattato di Lisbona e il principio di solidarietà. – 8. La
distinzione, nella Carta dei diritti fondamentali, tra principi e diritti. – 9. I possibili riflessi
dell’adesione dell’Unione alla Convenzione di Roma del 1950. – 10. Le ripercussioni della
crisi economica sui diritti sociali e la crisi d’identità europea.
1. Esistono due ragioni principali per ricollocare e riqualificare in sede europea
i diritti sociali, partendo da quelli fondamentali. La prima è data dalla dimensione
sovranazionale delle relazioni sociali quale conseguenza inevitabile di quella,
ben più consolidata, dell’economia; essa ha prodotto la necessità di sviluppare
un nuovo compromesso sociale per le conseguenti ed ovvie difficoltà dei sistemi
nazionali di assicurare un’adeguata protezione. Tale esigenza trova le sue rilevanti
premesse ed i necessari adattamenti successivi, pur con i limiti del corrispondente
grado di effettività, anzitutto nelle convenzioni dell’Organizzazione internazionale
del lavoro (OIL) ed i suoi core labour standards finalizzati ad integrarne la tutela
nella regolazione del mercato e del commercio internazionale1. In questo ambito,
la Dichiarazione sulla giustizia sociale per una mondializzazione giusta, adottata
a Ginevra il 10 giugno 2008, ha sancito che “la violazione dei principi e dei diritti
fondamentali del lavoro non possono essere invocati né utilizzati come vantaggi
comparativi legittimi”. Difficile, pertanto, non riconoscere ai suddetti standards
portata di norme aventi carattere consuetudinario.
* Ordinario di Diritto dell’Unione europea nell’Università degli studi di Bari Aldo Moro.
** Il presente scritto è destinato anche agli “Scritti in onore di Giuseppe Tesauro”.
1 La Dichiarazione dell’ILO sui principi e i diritti fondamentali del lavoro e suoi seguiti, adottata
dall’OIL il 16 giugno 1988, ha individuato quali principi riguardanti i diritti fondamentali oggetto delle
Convenzioni dell’Organizzazione: a) libertà di associazione e riconoscimento effettivo del diritto di
contrattazione collettiva; b) eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligatorio; c) abolizione
effettiva del lavoro minorile; d) eliminazione della discriminazione in materia di impiego e professione.
Ennio Triggiani
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La seconda ragione risiede nel trasferimento di una pluralità di competenze e
poteri normativi, anche per quanto riguarda la sfera sociale, nelle istituzioni euro-
pee, estendendo lo spazio di operatività dei diritti sociali dalla dimensione nazionale
a quella continentale. A questo proposito, e ci si limiterà ad occuparci di tale profilo,
appaiono inizialmente scarsi i riferimenti rintracciabili nel sistema del Consiglio
d’Europa in quanto i diritti economici e sociali sono sanciti solo nella Carta sociale
europea (Torino, 1961). Essa presenta, tuttavia, le caratteristiche tipiche del soft
law con i conseguenti limiti, anche se nel 1995 è stato aggiunto un Protocollo che
prevede una procedura di reclami collettivi basata sul ricorso al Comitato europeo
dei diritti sociali, i cui contenuti sono stati arricchiti a seguito di apposita revisione
operata nel 1996 (ed entrata in vigore nel 1999).
Maggiore rilievo, nell’ambito del Consiglio d’Europa, per lo meno sotto il pro-
filo dell’efficacia giuridica, assume la Convenzione europea dei diritti dell’uomo di
Roma del 1950 (d’ora in poi CEDU), peraltro caratterizzata nei termini dei diritti
civili e politici individuali e non di quelli sociali. E comunque, alcuni dei primi, letti
successivamente anche in riferimento alla normativa dell’Unione europea in parti-
colare con l’interpretazione fornitane dalla Corte europea di Strasburgo, consentono
a loro volta di contribuire, come vedremo, alla costruzione di una dimensione
sociale della Convenzione.
I diritti sociali presentano invece ben altra portata nell’ambito dell’ordinamento
comunitario, anche se inizialmente essi sono pressoché assenti e vengono comunque
sacrificati sull’altare del mercato comune e della concorrenza. Nella prima fase i
riferimenti fondamentali vanno ricercati soltanto nel principio di eguaglianza e nel
divieto delle discriminazioni, peraltro coniugati in funzione della libertà di circola-
zione e soggiorno dei lavoratori dei Paesi membri. È vero, infatti, che il Trattato di
Roma istitutivo della Comunità economica europea indica ab initio tra gli obiettivi
“un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita” (art. 2) e con l’art. 117
esprime l’accordo tra gli Stati membri “sulla necessità di promuovere il migliora-
mento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera che consenta la loro
parificazione nel progresso”. Ma fra le c.d. “clausole sociali” (articoli 117-122)
solo la parità retributiva uomo-donna diviene successivamente, grazie alla Corte di
giustizia, il primo “cavallo di Troia” di un’effettiva tutela del lavoro. Non a caso
proprio in occasione dell’applicazione di tale parità la Corte di giustizia sancisce,
nel noto caso Defrenne II del 19762, che “il principio della parità di retribuzione è
uno dei principi fondamentali della comunità” e che “l’art. 119 può essere appli-
cato direttamente e può quindi attribuire ai singoli dei diritti che i giudici nazionali
devono tutelare”.
Lo stesso Comitato economico e sociale – istituito già nel 1957 e formato attual-
mente da 353 rappresentanti dei datori di lavoro, dei lavoratori dipendenti e di altri
attori rappresentativi della società civile – nasce come mero forum di discussione
delle questioni legate al mercato unico per trasmettere i propri pareri alle maggiori
istituzioni. Esso è oggi, con il Comitato delle Regioni, organo consultivo dell’U-
nione pur se può formulare pareri anche di propria iniziativa (articoli 301-304
TFUE).
2 Sentenza dell’8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne II, Raccolta, p. 455.

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