La responsabilità delle stazioni appaltanti per ritardato pagamento

AuthorMariano Robles
PositionRicercatore di Diritto privato nell’Università degli studi di Bari
Pages571-598

    Il presente contributo, con l’aggiunta delle note bibliografiche, riproduce il testo della relazione svolta il 22 giugno 2007, nell’ambito del Corso di Alta Formazione in Diritto e tecniche degli appalti pubblici organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Bari, in collaborazione con la locale Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università degli studi di Bari.

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@1. Ritardi di pagamento negli appalti pubblici e distorsioni della concorrenza

1. Nell’ambito di una riflessione più ampia sulle responsabilità delle stazioni appaltanti inadempienti, un’attenzione tutta particolare merita certamente il profilo dei ritardi di pagamento in danno delle imprese affidatarie delle commesse. Le patologie della fase del pagamento, con cui si conclude la procedura appaltistica, possono avere un impatto rilevante sulla dinamica concorrenziale.

Un ingiustificato trattamento differenziato da parte della pubblica amministrazione riguardo ai tempi complessivi di pagamento può creare un effetto distorsivo della concorrenza, in funzione dei vantaggi o degli svantaggi che tale comportamento arreca agli offerenti, fino a configurare l’impiego delle risorse finanziarie pubbliche come forma impropria di “aiuto di Stato”. I ritardi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni possono, inoltre, alterare l’allocazione delle risorse tra i diversi settori economici, a motivo delle penalizzazioni che si creano in quei settori produttivi, come quello sanitario, i quali sono più diffusamente caratterizzati di altri da rapporti con l’acquirente pubblico.

Come ripetutamente sottolineato dalla Commissione europea, i ritardi di pagamento e le differenze nelle prassi amministrative tra gli Stati membri sono anche di ostacolo agli scambi transfrontalieri ed alla realizzazione del mercato interno. Più in generale, quando i tempi dei pagamenti sono incerti, l’impresa si trova, indirettamente, a “finanziare” l’amministrazione pubblica. Non tutte le imprese sono in grado di assolvere agevolmente a questa funzione impropria ePage 572 le condizioni di accesso dell’impresa alle risorse finanziarie non sono sempre univocamente connesse all’efficienza ed alla qualità della produzione. Inoltre, quest’onere aggiuntivo, quanto ingiustificato, può risultare particolarmente gravoso per le piccole e medie imprese (P.M.I.), per le quali il fenomeno dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali costituisce una tra le principali cause di fallimento e di perdita di posti di lavoro1.

Il rischio del mancato rispetto dei tempi di pagamento da parte delle amministrazioni può determinare ex ante un effetto dissuasivo alla partecipazione di alcune categorie di imprese alle gare d’appalto. Ma, più probabilmente, le aspettative sui ritardi di pagamento possono determinare una lievitazione dei prezzi delle prestazioni offerte dalle imprese alle amministrazioni. Così, l’inaffidabilità di alcune amministrazioni può comportare maggiori esborsi anche per quelle che rispettano i tempi di pagamento.

Nel momento in cui l’amministrazione appaltante deroga ex post alle condizioni di pagamento originariamente concordate, ovvero ne ritarda l’esecuzione, viene sostanzialmente meno lo schema concorrenziale sulla base del quale è stata condotta la gara; in pratica, il mancato rispetto delle condizioni di pagamento riduce il valore reale del corrispettivo pattuito. Ne possono derivare varie conseguenze negative, sia per la concorrenza, sia per l’efficienza complessiva della domanda pubblica incorporata negli appalti. Il mancato rispetto delle condizioni di pagamento potrebbe indurre ad un “aggiustamento” della prestazione dovuta dall’impresa appaltatrice, anche con il tacito consenso dell’amministrazione appaltante, e ciò può comportare uno scadimento quali-quantitativo della prestazione pattuita, con ricadute negative sull’utenza finale nonché sui costi da essa sopportati.

Una diffusa situazione di mancato rispetto delle condizioni di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni contribuisce a scoraggiare la partecipazione delle imprese estere al mercato interno degli appalti pubblici. In questo senso, il fenomeno non rientra soltanto tra i profili generalmente trattati nel descrivere il “rischio commerciale” (cioè tra gli elementi che le imprese dovrebbero considerare, attraverso l’acquisizione di opportune informazioni, nell’intrattenere rapporti economici e finanziari con altre imprese), ma costituisce uno degli elementi determinanti per definire il c.d. “rischio Paese”2.

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@2. L’evoluzione della disciplina

2. In Italia, le regole relative al pagamento delle transazioni commerciali tra imprese e pubbliche amministrazioni hanno avuto una profonda evoluzione nel corso del tempo. Alla base di questo comportamento dilatorio è rinvenibile la concezione, risalente addirittura al periodo pre-unitario, di una forte sovraordinazione delle pubbliche amministrazioni nei rapporti con i privati. Questa concezione, anche se progressivamente ridimensionata nel corso del tempo da sostanziali cambiamenti istituzionali e normativi, nella concreta esperienza degli attuali rapporti commerciali con le amministrazioni sembra talora non del tutto superata.

Per certi versi, è ragionevole che l’amministrazione, nel momento in cui instaura rapporti commerciali con soggetti privati, debba operare sulla base di princìpi e regole speciali. Ciò risulta particolarmente evidente proprio in materia di appalti pubblici. Tuttavia, tali peculiarità, mentre sono giustificate nella fase di selezione del contraente (per varie ragioni, non ultimo il rispetto della concorrenza, la trasparenza della selezione e l’efficienza della spesa), risultano meno condivisibili nella fase di esecuzione del contratto e dovrebbero scomparire del tutto nella fase di conclusione, ossia all’atto della corresponsione del corrispettivo pattuito.

Tale interpretazione non pregiudica le esigenze di interesse generale, prevalentemente volte al controllo della spesa e perseguite dalla disciplina sulla contabilità pubblica, a cui sono assoggettate le amministrazioni, proprio con riferimento alle procedure da seguire nella fase finale del contratto. In passato, queste esigenze venivano richiamate per giustificare una posizione di privilegio dell’amministrazione, determinando l’esclusione di qualsiasi azione di tutela da parte dei privati contraenti, dato che gli atti di perfezionamento dell’obbligazione (c.d. impegno di spesa) erano ritenuti atti “interni” alla stessa amministrazione. Ciò ha consentito l’adozione di comportamenti decisamente discrezionali, essendo l’amministrazione libera da ripercussioni in caso di inadempimento o ritardo3.

L’evoluzione costituzionale, con l’introduzione di princìpi come quello di responsabilità, ha consentito una più stretta assimilazione delle obbligazioni pecuniarie pubbliche a quelle private. Pur trattandosi di un significativo passo in avanti, il superamento della concezione di sovraordinazione dello Stato non è stato subito assimilato nella normativa e nella regolamentazione amministrativa.

Il ricorso in via giurisdizionale per la tutela degli effetti di mancato o ritardato adempimento, consentito esattamente nei termini privatistici (e con le medesime caratteristiche di un intervento ex post e con i ritardi aggiuntivi dovuti all’esercizio della giurisdizione), ha prodotto esiti giurisprudenziali non sempre univoci, in materia di pagamento degli interessi e risarcimento del danno, non-Page 574ché effetti “reputazionali” molto limitati rispetto a quelli tipici dei rapporti tra privati, alla stregua della buona fede, ossia dell’affidabilità del contraente.

L’ammodernamento delle regole organizzative della pubblica amministrazione, attraverso la progressiva introduzione dei fenomeni di semplificazione e di delegificazione dell’attività amministrativa, nonché l’espansione dei fenomeni di privatizzazione dei servizi pubblici, ha evidenziato l’esigenza sempre più marcata di contrastare la c.d. devianza finanziaria, la quale impone la revisione del rapporto fra trasparenza ed efficienza di amministrazione, al fine di rinvenire soluzioni equilibrate fondate sulla pari ordinazione dei due valori. La “devianza finanziaria” è il principale fattore di arresto dei processi di crescita reale delle organizzazioni pubbliche, ed in una logica di massima semplificazione essa è contraddistinta dalla inidoneità strutturale e/o funzionale della pubblica amministrazione a conformarsi alle regole fondamentali del modulo d’azione prescelto, o normativamente imposto, con la conseguente elevazione del rischio di diseconomicità d’amministrazione, derivante dalle connesse responsabilità patrimoniali del soggetto pubblico nei confronti del terzo4.

Le recenti tendenze normative di lotta ai fenomeni di c.d. “devianza finanziaria” prospettano una pluralità di scelte eterogenee, non accomunabili tra loro, talune delle quali – se confrontate con metodo comparativo – esaltano la ricerca di un equilibrio che assicuri, all’interno dell’impianto giuridico, la combinazione tra finalità preventive e repressive. L’introduzione dei princìpi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, sanciti a livello costituzionale e ribaditi nella l. 7 agosto 1990, n. 241 s.m.i., non ha prodotto significativi miglioramenti. L’obbligo per ogni amministrazione di definire i termini massimi per la conclusione dei procedimenti amministrativi avrebbe dovuto coinvolgere anche le procedure di pagamento, ma il carattere ordinatorio e non perentorio dell’obbligo, non essendo comminata alcuna sanzione in caso di inosservanza del termine, non ne ha incentivato il rispetto. A ciò, occorre aggiungere i dubbi circa l’applicazione dei richiamati princìpi procedimentali all’attività puramente “interna” dell’amministrazione, quale quella derivante dall’assunzione di un’obbligazione pecuniaria5.

Si è, così, determinata una situazione di incertezza circa i termini da rispettare nei pagamenti delle pubbliche...

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