I diritti sociali nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo

AuthorChristian Tomuschat
PositionEm. Professor der Juristischen Fakultät der Humboldt-Universität di Berlino. Mitglied des Institut de droit international
Pages231-254

    Traduzione dall’inglese di Francesco Cherubini.

Page 231

@1. Introduzione

1. In un fondamentale contributo sui diritti sociali, pubblicato nel 1972, Luzius Wildhaber sottolineava l’importanza di questo gruppo di diritti quale necessario complemento dei diritti umani tradizionali, così come sono emersi nella tradizione occidentale1. In detto contributo, egli si soffermava sulla accentuata tendenza a riconoscere nei diritti umani, quale che sia la loro classificazione, un sistema coerente. Il richiamo del Presidente Roosevelt alla “libertà dal bisogno e dalla paura”, enunciato nel 1941 in occasione dell’annuale messaggio al Congresso americano, già aveva sintetizzato in poche parole questa idea cruciale. Allo stesso modo, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite, elencava, in un unico documento entrambi i gruppi di diritti, non solo quelli “classici” così come emergevano dalla storia costituzionale, principalmente, dell’Europa occidentale e dell’America del Nord, ma anche i diritti economici e sociali che appartenevano al nucleo essenziale delle costituzioni di tutti i Paesi socialisti2.Page 232 Tuttavia, quando si decise di tradurre i diritti umani da proclamazioni politiche a contenuti giuridici vincolanti, l’unità venne meno. I redattori ritenevano che vi fossero differenze molto profonde non solo rispetto alla natura delle due categorie di diritti, ma pure riguardo ai metodi per la loro attuazione. Di conseguenza, sembrò opportuno separarli, fissando le rispettive discipline in due differenti strumenti. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 4 novembre 1950 (di seguito: CEDU) aveva un contenuto limitato essenzialmente ai diritti civili e politici, mentre la Carta sociale europea (di seguito: CSE)3, che ha introdotto un considerevole numero di diritti di “seconda generazione”, l’ha seguita a distanza di più di dieci anni (18 ottobre 1961)4. Egualmente, a livello delle Nazioni Unite, il progetto di redigere un’unica e onnicomprensiva convenzione per la protezione dei diritti umani fu abbandonato a beneficio di due distinti strumenti, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, da un parte, e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (di seguito: Patto), dall’altra – adottati peraltro lo stesso giorno5. In tal modo, una profonda dicotomia è parsa caratterizzare l’effettiva attuazione dei diritti umani. A tal proposito, Luzius Wildhaber, riferendosi alla spinta che i diritti sociali hanno ricevuto dai trattati internazionali, non ha ricordato fra questi la CEDU.

Quest’ultima, infatti, è stata volutamente predisposta come strumento di garanzia di quei soli diritti che avevano avuto un ruolo essenziale nella tradizione occidentale6. In un momento in cui l’Europa cominciava lentamente a superare gli effetti devastanti della seconda guerra mondiale, i redattori compresero che sarebbe stato troppo rischioso prevedere degli impegni che gli Stati membri del Consiglio d’Europa avrebbero avuto gravi difficoltà ad adempiere. Perfino quando nel 1961 decisero di procedere a concordare il testo della CSE, essi mostrarono grande cautela. Essi chiarirono che i diritti elencati nella Parte I della CSE venivano accettati solamente come “obiettivi” delle loro politiche, nella Parte II specificarono, in termini piuttosto ristretti, la natura e l’ambito degli obblighi derivanti da tali obiettivi e, infine, nella Parte III dell’Appendice della CSE sottolinearono che gli obblighi giuridici che avevano contratti erano di natura internazionale e la loro applicazione era rimessa unicamente al meccanismo di supervisione previsto nella Parte IV. Difficilmente avrebbero potuto fare di più per palesare l’intenzione di non creare diritti soggettivi a favore dei beneficiari dei singoli diritti. Peraltro, l’esclusione dei diritti sociali dal contenuto vincolante del sistema europeo dei diritti umani non è stata del tutto completa. V’è una disposizione che si distingue dalla restante parte della CEDU inPage 233 modo piuttosto evidente7, cioè l’art. 2 del Protocollo n. 1, che enuncia, sebbene in termini negativi, il diritto all’istruzione (“il diritto all’istruzione non può essere negato a nessuno”)8. Nonostante questa cauta formulazione, ai fanciulli è riconosciuto il diritto di accedere alle istituzioni scolastiche esistenti in un dato momento; essi, invece, non possono pretendere che nuove istituzioni siano create secondo i loro desideri (o secondo quelli dei loro genitori)9.

@2. Obblighi positivi e negativi

2. È noto che la tradizionale regola approssimativa sulla linea di demarcazione tra i diritti umani “classici” e quelli “moderni” di seconda generazione non ha mai veramente rispecchiato la reale situazione. L’affermazione secondo cui i diritti civili e politici prevedono obblighi meramente “negativi”, nella misura in cui cercano di proteggere gli individui dalle ingerenze dello Stato, mentre i diritti economici e sociali impongono allo Stato l’obbligo di prendere misure “positive” per il benessere degli individui, è stata errata sin dall’inizio. Fin dai primi del Settecento, quando ebbe inizio la codificazione dei diritti umani in carte di larga portata, la richiesta di una protezione giudiziaria ha costituito un pilastro centrale delle istanze dei cittadini, desiderosi di essere protetti dall’arbitrio del monarca. La Costituzione americana (art. 3, sez. 2, par. 3) richiede un processo dinanzi a un tribunale e gli emendamenti dal quarto all’ottavo contengono ulteriori garanzie processuali10, mentre le costituzioni degli Stati germanici all’epoca della Confederazione germanica proclamavano costantemente il principio secondo cui nessuno può essere privato del proprio giudice naturale, unico ad avere titolo per imporre delle pene11. In altre parole, era pacifico che uno Stato costituzionale dovesse avere un sistema giurisdizionale efficiente a garanzia dei diritti dei cittadini. Ovviamente, la realizzazione di un siffatto sistema richiede uno sforzo notevole, consistente non solo nella emanazione di norme legislative, ma anche nella fornitura di strutture adeguate, nella formazione e nel reclutamento di personale competente ecc. – in breve, una considerevole spesa di denaro pubblico assieme a misure organizzative di vasta portata. Le libertà “negative” possono essere effettive solo in uno Stato che abbia una certa soglia minima di coesione. I molti esempi di Stati in via di fallimento o falliti nella nostra epoca hanno fornito a tutti l’amara lezione che la legge e l’ordine richie-Page 234dono gli sforzi coordinati di una comunità umana e non sorgono in modo spontaneo, semplicemente grazie al desiderio di pace e sicurezza degli esseri umani.

Invero, come riconosce largamente la filosofia costituzionale, gli Stati nascono allo scopo di proteggere gli individui dalla violenza che verosimilmente dovrebbero subire dai propri simili nello stato di natura. La funzione primaria dello Stato consiste nel prevenire tutte le situazioni in cui la libertà personale verrebbe minacciata o perfino annullata dai membri più potenti della società. I governi sono chiamati ad evitare il bellum ominium contra omnes12. Ci si affida a loro quali autorità comuni di tutti i cittadini, eppure non si può escludere che tali fiduciari dimentichino le proprie responsabilità, violando essi stessi quei diritti e quelle libertà che sono chiamati a garantire. Per tale eventualità i diritti umani furono previsti e protetti in documenti costituzionali. Quale logico corollario, gli obblighi positivi e negativi sono legati in maniera inestricabile. Le autorità dello Stato hanno il compito di proteggere la vita e l’integrità fisica dei propri cittadini prendendo le misure richieste a tale scopo. D’altra parte, essi non devono rivolgere i propri poteri contro gli individui la cui salvaguardia è loro affidata. In molti ambiti della vita, una stessa azione può avere un duplice carattere: l’incriminazione dei presunti colpevoli è diretta a scongiurare pericoli per i cittadini che osservano la legge, ma per un presunto colpevole – che ben può essere un cittadino rispettoso della legge! – le misure di incriminazione penale costituiscono, inevitabilmente, una grave ingerenza nella propria libertà13.

Nel testo della CEDU, l’art. 1 impone agli Stati di “assicurare” a ciascuno i diritti elencati nelle disposizioni seguenti. Il significato letterale di queste parole implica chiaramente che tali diritti debbono essere effettivi, non solo retoriche proclamazioni; una posizione, questa, che attraversa come un filo rosso la giurisprudenza della Corte14. Si aggiunga che il diritto alla vita è particolarmente sottolineato. Secondo l’art. 2 “[i]l diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge”, il che, naturalmente, comporta qualcosa di più della semplice emanazione di leggi, e cioè l’effettiva protezione della vita umana da parte di tutte le componenti di governo. La vita è la base stessa dell’esistenza umana. Senza la vita tutti gli altri diritti perdono il loro significato.

L’art. 1 depone in favore di una estensione della filosofia della protezione in maniera simile agli altri diritti della CEDU, in quanto essi definiscono tutti uno standard minimo di autonomia personale di cui ciascuno dovrebbe fruire allo stesso modo senza alcun ostacolo. Tuttavia, è più semplice circoscrivere le interferenze vietate che specificare quali misure di protezione debbano essere assuntePage 235 dalle autorità statali. La prima questione è quali diritti necessitino similmente di un’azione di sostegno. Nell’assegnare agli Stati ovvero agli stessi individui interessati la responsabilità di preservare e mantenere il contenuto dei singoli diritti, è evidente che le autorità di governo dovrebbero essere investite solo dei compiti più urgenti. I governi non possono fare da balia ai propri cittadini, accompagnandoli ad ogni passo, né essere dei mostri...

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