Principio di non discriminazione e cittadini extracomunitari

AuthorFrancesca Ippolito
Pages279-299
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Francesca Ippolito
Principio di non discriminazione
e cittadini extracomunitari
S: 1. La formulazione del principio di non discriminazione nella clausola generale del
TFUE e nella Carta dei diritti fondamentali: rilevanza per i cittadini di Stati terzi. – 2. I cit-
tadini extracomunitari e la non discriminazione nelle misure attuative della clausola genera-
le di cui all’art. 19 TFUE. – 3. Non discriminazione sulla base della nazionalità e condizioni
di ingresso nell’Unione. – 4. Il contenuto variabile del principio di non discriminazione sulla
base della nazionalità negli accordi di associazione. – 5. La legislazione comunitaria in mate-
ria di immigrazione: una gerarchia della parità di trattamento in base allo status del cittadino
extracomunitario. Il soggiornante di lungo periodo e i familiari extracomunitari dei cittadini
comunitari. – 6. Segue: la protezione più attenuata: rifugiati, richiedenti asilo, familiari extra-
comunitari di extracomunitari; beneficiari della protezione temporanea. – 7. Considerazioni
conclusive.
1. Nonostante il principio di non discriminazione sia, come sostenuto recen-
temente da Erika Szyszczak, “not merely a political ideal and aspiration but one
of the fundamental principles of Community law”1, la sua applicazione poten-
zialmente universale risulta appannata ogni qual volta sia riferita a coloro che
non sono in possesso della cittadinanza dell’Unione europea. Prova ne è la for-
mulazione della clausola di non discriminazione contenuta nel Trattato di
Lisbona e nella Carta dei diritti fondamentali, strutturalmente dissimile da clau-
sole analoghe contenute in altri strumenti internazionali di tutela dei diritti fon-
damentali. Esse, in particolare, si limitano a sancire e considerare il principio di
non discriminazione simultaneamente quale “value, objective, fundamental
right, positive duty and a legal competence”2.
Infatti, da un lato, l’art. 2 TUE delinea la portata dell’uguaglianza quale
“valore comune agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo e
dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e
1 E. S, Antidiscrimination Law in the European Community, in Fordham ILJ, 2009,
p. 624 ss., spec. p. 640.
2 In tal senso si esprime M. B, Equality and The European Union Constitution Introduc-
tion, in Industrial Law Journal, 2004, p. 242 ss., spec. p. 256.
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dalla parità tra uomini e donne”3, la cui violazione grave e persistente può com-
portare l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 7 TUE e il cui rispetto, al
contrario, condiziona l’adesione all’organizzazione internazionale ai sensi
dell’art. 49 TUE. D’altro lato, il nuovo art. 10 TFUE, secondo il quale “nella
definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione mira a com-
battere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la reli-
gione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”,
ne introduce la dimensione di “obiettivo” dell’Unione.
Per quanto l’introduzione di una siffatta “clausola orizzontale” di lotta contro
le discriminazioni non costituisca una nuova base giuridica per l’adozione di atti,
dovrà pur sempre essere tenuta in debita considerazione nella definizione e
attuazione di tutte le politiche dell’Unione (anche quelle esterne). Parallelamente,
l’art. 3, par. 3, TUE introduce l’idea del “dovere” positivo per l’Unione di com-
battere le discriminazioni. Le disposizioni di cui agli articoli 18 e 19 TFUE
chiariscono, in particolare, la possibilità per il Consiglio e per il Parlamento
europeo di stabilire regole volte a vietare/combattere le discriminazioni fondate
sulla nazionalità, sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convin-
zioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale4. La direttiva
2000/43/CE5 e la direttiva 2000/78/CE6 rappresentano ad oggi le misure attua-
tive della clausola generale di non discriminazione di cui all’art. 19 TFUE che,
non modificando in nulla per questa parte il precedente art. 13 TCE7, continua
a non sancire essa stessa un diritto direttamente invocabile da parte dei singoli
davanti alle giurisdizioni nazionali8.
3 Anche la Carta dei diritti fondamentali rappresenta la dimensione del valore del principio
allorquando, nel suo preambolo specica che, “consapevole del suo patrimonio spirituale e mora-
le, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’ugua-
glianza e della solidarietà”.
4 È da notare che, laddove l’art. 19 TFUE prevede la procedura speciale per l’adozione degli
atti di diritto derivato, e conseguentemente l’unanimità in seno al Consiglio, maggiore sarà il peso
della volontà degli Stati rispetto alla procedura ordinaria, invece prevista per gli atti che vengano
adottati sulla base dell’art. 18 TFUE.
5 Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità di
trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, GUCE L 180, 19
luglio 2000, p. 22 ss.
6 Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro genera-
le per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, GUCE L 303, 2
dicembre 2000, p. 16 ss.
7 Le uniche modiche sono consistite, infatti, nell’inserimento tra i motivi di discriminazione
della disabilità e nella previsione di un potere maggiore per il Parlamento in fase di adozione degli
atti che costituiscano il quadro generale per la lotta alle discriminazioni basate sui diversi motivi:
non più mera consultazione, bensì necessità di una sua previa approvazione dell’atto.
8 Si veda con riferimento all’art. 13 TCE la riessione di M. B, Not the Same? The
Judicial Role in the New Community Anti-Discrimination Law Context, in Industrial Law Journal,
2002, p. 82 ss., spec. p. 164, sul fatto che “the Treaty does not speak the language of rights, but the
language of power”.

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