Il giudice comunitario e i rapporti tra diritto comunitario, diritto UE e diritto penale

AuthorMaria Luisa Tufano
PositionOrdinario di Diritto internazionale nell'Università degli studi di Napoli "Parthenope"
Pages93-103

Comunicazione al Convegno "Verso un sistema di giustizia europeo", Università degli studi di Napoli "Federico II", 8-9 novembre 2007.

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1. Il titolo del convegno "Verso un sistema di giustizia europeo" induce a proporre qualche riflessione intorno al ruolo svolto dalla Corte di giustizia per quanto concerne l'influenza del diritto comunitario e del diritto dell'Unione europea sul diritto penale e processuale penale degli Stati membri.

Che la Corte di giustizia abbia svolto e svolga un ruolo di primo piano nello sviluppo e nel rafforzamento in generale del processo di integrazione europea non costituisce certo una novità.

Fin dai primi anni '60, infatti, con riguardo alla struttura delle relazioni tra Comunità e Stati membri, essa è andata progressivamente scolpendo i tratti e i valori dell'ordinamento comunitario come ordinamento giuridico autonomo da quello degli Stati, di tipo sopranazionale (gli aspetti sui quali ha inciso sono notissimi: penso alla dottrina del primato del diritto comunitario sul diritto degli Stati membri; a quella dell'effetto diretto, con cui la Corte ha dato senso al contenuto delle libertà del Trattato di Roma; a quella dei poteri impliciti, con cui ha superato il principio delle competenze di attribuzione; e, ancora, penso alle pronunce con cui essa ha garantito per via pretoria la tutela dei diritti fondamentali in ambito comunitario; infine, a quelle sul principio di leale cooperazione e sulla costituzionalizzazione dei Trattati).

Per quanto riguarda la materia che ci occupa, il ruolo della Corte non è stato da meno, inizialmente poco appariscente, di recente molto più marcato.

Infatti, per quanto i Trattati originari non prevedessero alcuna attribuzione espressa di competenza penale alle Comunità1, la Corte è riuscita, fin dalla Page 94 metà degli anni '70, a coinvolgere la materia penale nell'ambito del diritto comunitario. Pur riconoscendo che la "legislazione penale e le norme di procedura penale sono in linea di principio riservate agli Stati membri", essa ha ammesso che "le norme considerate non possono limitare le libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario" ed ha dichiarato che la competenza nazionale può essere circoscritta dal diritto comunitario2.

Di conseguenza le disposizioni comunitarie possono influenzare il diritto penale degli Stati membri sia con un impatto negativo, incidendo sulla sfera di applicazione di una norma incriminatrice3, sulla tipologia e sulla misura delle sanzioni4, sia con un impatto positivo. In tal senso vanno le sentenze con cui la Corte ha iniziato ad inquadrare l'autonomia procedurale degli Stati affermando che l'art. 5 TCEE obbliga gli Stati membri ad equiparare la tutela degli interessi finanziari comunitari a quella dei propri interessi finanziari e a prevedere un dispositivo di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive5.

Così, mentre il diritto interno finiva col risentire della spinta comunitaria, dal canto suo, la cooperazione giudiziaria penale tra gli Stati membri procedeva sulla base della cooperazione intergovernativa secondo modalità puramente ad hoc. Page 95

2. L'istituzionalizzazione della cooperazione giudiziaria penale operata dal Trattato di Maastricht (titolo VI) e la sua integrazione in un quadro unitario non hanno comportato progressi decisivi.

Infatti, a parte l'asimmetria dei pilastri su cui è articolata la costruzione dell'Unione europea6, va evidenziato che i dubbi sull'idoneità delle disposizioni del terzo pilastro a costituire base giuridica sufficiente per armonizzare il diritto penale sostanziale degli Stati membri7 e la complessità della ripartizione di competenze tra pilastro comunitario e terzo pilastro con riferimento a materie che rivestivano carattere ibrido8, hanno posto immediatamente problemi di delimitazione tra il primo e il terzo pilastro.

Mentre il processo decisionale registrava un approccio bifronte9, che testimoniava la volontà di confermare la netta ripartizione di competenze, lasciando alla Comunità la sola facoltà di intervenire in materia di repressione amministrativa, ad esclusione della repressione penale, la Corte, dal canto suo, pur confer- mando che in via di principio la legislazione penale non rientra nella competenza della Comunità10, ancorava all'art. 5 TCE l'obbligo degli Stati membri di limitare la portata e il contenuto del diritto penale nazionale al fine di garantire la compatibilità con il diritto comunitario11.

3. Con il Trattato di Amsterdam, nonostante il meccanismo di cooperazione intergovernativa continui a caratterizzare la cooperazione di polizia e giudiziaria penale, si sono registrati progressi in termini di strumenti giuridici12, di procedure13, Page 96 di controllo giurisdizionale14 e non ultimo in termini sostanziali, aprendo la strada ad un approccio globale, in cui non è solo questione di cooperazione ma di creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la prevenzione e la lotta alla criminalità.

In particolare, sotto quest'ultimo profilo, il titolo VI presenta un contenuto più vasto e più ambizioso che concerne, oltre alla facilitazione e accelerazione della cooperazione15, anche l'armonizzazione, che diventa per la prima volta un obiettivo dell'Unione europea nella prospettiva dell'attuazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. E su questa via si è posta l'Unione, tanto è che sono state adottate varie decisioni quadro finalizzate al ravvicinamento e all'armonizzazione tanto del diritto sostanziale quanto processuale16. Page 97

Tuttavia, la triplice frammentazione - materiale, istituzionale e procedurale - del nuovo spazio che appare spezzettato tra Trattato CE (articoli 61, 62, 67), Trattato UE (articoli 29, 31, lett. e) e 42), protocolli allegati al Trattato CE e al Trattato UE o allegati al solo Trattato CE, dichiarazioni adottate dalla Conferenza intergovernativa e infine dichiarazioni unilaterali di cui la Conferenza intergovernativa ha preso nota, consentendo l'interoperabilità tra il primo e il terzo pilastro e la cross-pillarization delle politiche dell'Unione (interconnessione tra differenti politiche esterne CE e UE e conseguente superamento della separazione dei pilastri)17, oltre a far riemergere conflitti di competenze18, ha dato luogo ad un contenzioso di seconda generazione relativo agli effetti degli strumenti giuridici del TUE, alla scelta della base giuridica, alla questione della protezione dei diritti fondamentali nel terzo pilastro, aspetti che sottendono problematiche più ampie relative al carattere del terzo pilastro dell'UE e al suo rapporto con il primo pilastro.

Il contenzioso in parola ha costituito l'occasione per il giudice comunitario di poter svolgere un ruolo importante nel rafforzamento dell'integrazione giuridica e giudiziaria tra gli Stati dell'Unione europea sotto il profilo che ci interessa.

Ed infatti, nonostante la dicotomia tra diritto comunitario, "sopranazionale", e diritto dell'UE, "intergovernativo"19, nonostante i differenti approcci nel configurare i rapporti tra diritto comunitario e diritto del terzo pilastro20, di fronte all'interpretazione restrittiva da parte degli Stati degli obblighi assunti con il TUE, la Corte non ha esitato a stemperare la specificità della cooperazione disciplinata nel terzo pilastro e a ravvicinare il terzo pilastro a quello comunitario. Page 98

Ciò appare evidente laddove si consideri la giurisprudenza con cui ha esteso al pilastro intergovernativo il metodo interpretativo usato per il diritto comunitario e, poi, proseguendo per tale via, ha finito col far rientrare nell'ambito di operatività di quest'ultimo materie che il Consiglio invece aveva ritenuto di disciplinare con atti del titolo VI del TUE.

Sotto il primo profilo ricordo la nota sentenza Pupino21 del 2005, in cui la Corte, affermando che i principi enunciati in materia di rinvio pregiudiziale ex 234 TCE operano anche, in via di principio, per le questioni relative al terzo pilastro ex art. 35 TUE, ha applicato al rapporto tra ordinamento italiano e decisione quadro non trasposta in diritto interno e priva, ex art. 34 TUE, del carattere dell'efficacia diretta, un principio fino ad allora affermato solo per le direttive, quello dell'interpretazione conforme, facendo leva sull'obbligo di leale cooperazione desunto dall'art. 1 TUE ("nuova tappa nel processo di integrazione") e sul fatto che il titolo VI è interamente fondato sulla "cooperazione tra gli Stati". La sentenza è importante sia perché relativizza le differenze tra gli atti del primo e del terzo pilastro sia perché attesta il grado di penetrazione del diritto dell'UE nei sistemi penali nazionali.

E penso anche alle, forse meno note, sentenze Gestoras22 e Segi23 del 2007 in cui la Corte, investita della richiesta di risarcimento danni derivante dall'iscrizione dei ricorrenti nell'elenco di coloro cui si applicano misure antiterrorismo ai sensi di una posizione comune adottata in base all'art. 34 TUE, pur negando che tra i rimedi giuridici del terzo pilastro vi sia il ricorso per il risarcimento dei danni, ha fissato due principi che permettono per altra via di assicurare tutela giurisdizionale a coloro i cui interessi siano toccati dagli atti in questione. Il primo principio concerne la possibilità di un più ampio sindacato attraverso la riqualificazione dell'atto quale atto suscettibile di produrre effetti giuridici e dunque oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte ex art. 35 TUE24. Il secondo principio muove dalla giurisprudenza comunitaria Union de Pequeños Agricultores del 2002, secondo cui spetta agli Stati membri, in particolare agli Page 99 organi giudiziari, interpretare e applicare le norme processuali nazionali disciplinanti il diritto di azione in modo da consentire alle persone fisiche e giuridiche di contestare in sede giudiziaria la legittimità di ogni provvedimento nazionale relativo all'applicazione nei loro confronti di un atto dell'UE e di chiedere, se del caso, il...

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