I principi democratici dell’Unione europea nel Trattato di Lisbona

AuthorUgo Draetta
PositionOrdinario di Diritto internazionale nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Pages513-525

    Il presente lavoro, destinato anche agli Studi in onore di Fausto Pocar, costituisce la rielaborazione di una relazione preparata dall’autore per il Convegno su “L’Unione europea di fronte alle sfide dell XXI secolo: quali progressi con il Trattato di Lisbona?”, svoltosi il 9 maggio 2008 presso l’Università Cattolica di Milano.

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@1. Premessa

1. Il Trattato firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 modifica il Trattato sull’Unione europea (qui di seguito TUE) e il Trattato che istituisce la Comunità Europea, il quale ultimo assume anche il nuovo nome di Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (qui di seguito TFUE)1. Il Trattato di Lisbona, tra le varie innovazioni rispetto ai testi precedenti, introduce nel TUE un titolo II intitolato “Disposizioni relative ai principi democratici”, nel quale sono raggruppate una serie di norme nuove insieme a norme preesistenti, tutte volte a migliorare la democraticità dell’intero sistema dell’Unione europea. Tali norme, già in parte contenute nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e successivamente abbandonato, costituiscono la risposta ai pressanti inviti inclusi nella Dichiarazione di Laeken, emessa dal Consiglio europeo il 15 dicembre 2001, la quale, nel definire il mandato della Convenzione sul futuro dell’Europa, faceva riferimento ben dodici volte alla necessità diPage 514 “legittimità democratica”, “controllo democratico”, “valori democratici” e simili, a testimonianza del fatto che il livello di democraticità del sistema rimaneva ancora a quel momento il nodo cruciale irrisolto della costruzione europea.

Come è ampiamente noto, infatti, ognuno dei vari Trattati di revisione del Trattato di Roma, che si sono susseguiti a partire dall’Atto Unico Europeo, si è proposto tra gli obiettivi principali quello di risolvere, o almeno attenuare, il problema del cosiddetto deficit o gap democratico, che ha accompagnato fin dalle origini il processo di integrazione comunitaria e che è parso aggravarsi con il progressivo allargamento delle competenze dell’Unione europea. Si tratta, in sostanza, della percezione di un inadeguato livello di rappresentatività democratica da parte di istituzioni comunitarie che possono emettere atti di natura sostanzialmente legislativa suscettibili di applicarsi direttamente ai cittadini e di un altrettanto inadeguato livello di controllo parlamentare cui è sottoposto il Consiglio, in quanto organo legislativo dell’Unione europea stessa. Alcuni, sulla base dell’aumento dei casi di coinvolgimento del Parlamento europeo nel processo decisionale comunitario attraverso la procedura della codecisione, nonché della considerazione che ogni membro del Consiglio in definitiva risponde al suo Parlamento nazionale, hanno sminuito la portata e la gravità del problema. Altri, invece, osservando che la procedura di codecisione non dà comunque al Parlamento europeo la possibilità di orientare l’azione comunitaria secondo il suo volere e che il controllo dei Parlamenti nazionali sui membri del Consiglio dei rispettivi Stati di appartenenza appare troppo remoto per essere significativo, hanno mostrato maggiore preoccupazione per il problema stesso.

Comunque, la soluzione del problema del deficit democratico è stata rinviata di volta in volta da ogni revisione di Trattati alla successiva, senza, però, che ricorressero mai le condizioni politiche per una definitiva soluzione dello stesso. Questo non deve sorprendere ed appare, in certa misura, scontato nell’attuale contesto dell’integrazione europea. Infatti, l’unico sistema per eliminare completamente il deficit democratico resta quello di rispettare nell’ambito dell’Unione europea il principio della separazione dei poteri, attribuendo quello legislativo ad un organo democraticamente eletto, a cui affidare anche il controllo politico dell’esecutivo. Ciò si potrebbe compiutamente realizzare solo in due modi: o conferendo al Parlamento europeo (già eletto a suffragio universale diretto) il potere di avere l’ultima parola in merito all’emanazione degli atti legislativi, anche in caso di disaccordo del Consiglio, o facendo eleggere il Consiglio direttamente dai cittadini europei, così da trasformarlo da organo rappresentante degli Stati in una sorta di Camera Alta, o Senato, di una struttura bicamerale federale, in cui fossero rappresentate le istanze statali e/o regionali. Ma queste soluzioni implicherebbero svolte in senso federale, con conseguente perdita della sovranità degli Stati membri. Tali svolte sono apparse fino a questo momento politicamente improponibili, così che il problema del deficit democratico può essere solo attenuato, ma non completamente risolto.

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@2. I principi democratici e la democrazia rappresentativa

2. In questo contesto, e con questi precedenti, i redattori del Trattato di Lisbona, consapevoli del fatto che i cittadini degli Stati membri si sentiranno veramente vicini all’Unione europea solo se sarà migliorato il livello della loro partecipazione democratica al funzionamento della stessa, hanno introdotto per la prima volta nel TUE, come detto, un titolo II significativamente intitolato “Disposizioni relative ai principi democratici”, nel quale è inclusa l’enunciazione di principio (art. 10, par. 1 TUE) secondo cui il funzionamento dell’Unione europea si fonda sulla “democrazia rappresentativa”. Le relative norme sono volte a coinvolgere nel funzionamento dell’Unione europea i cittadini europei (sia direttamente sia attraverso i Parlamenti nazionali che li rappresentano) nella maggior misura possibile, senza oltrepassare, ovviamente, quella soglia al di là della quale il coinvolgimento stesso farebbe venire meno la sovranità degli Stati membri. Infatti, se l’Unione europea fosse compiutamente basata sul principio della democrazia rappresentativa, essa, come appena accennato, sarebbe un’entità federale che si sostituirebbe agli Stati membri. La necessità politica di non valicare il limite suddetto ha come conseguenza che le norme di cui discuteremo risentono della innegabile difficoltà a realizzare difficili equilibri istituzionali nell’attuale contesto dell’integrazione europea e, quindi, la loro formulazione è spesso il frutto di qualche ambiguità ed acrobazia redazionale.

L’art. 10 TUE articola le basi su cui si fonda il principio della democrazia rappresentativa, riferendosi ai seguenti dati: (i) i cittadini europei sono direttamente rappresentati, a livello dell’Unione europea, nel Parlamento europeo; (ii) i rappresentanti degli Stati membri nel Consiglio europeo e nel Consiglio sono democraticamente responsabili dinanzi ai loro Parlamenti nazionali o ai loro cittadini; (iii) ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione europea; (iv) i partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione europea.

La norma in esame, nel suo encomiabile sforzo di sistematicità, offre elementi che costituiscono indubbi progressi nella direzione dell’attenuazione del problema del deficit democratico, pur nei limiti intrinseci che abbiamo appena menzionato.

Scendendo ad un’analisi più particolareggiata, il riferimento alla rappresentatività del Parlamento europeo assume senz’altro un rilievo significativo dato il maggior numero di decisioni che ora, sulla base del testo di Lisbona, devono adottarsi secondo la procedura legislativa ordinaria sostanzialmente equivalente a quella di codecisione. Tale procedura, prevedendo l’adozione congiunta dell’atto da parte del Consiglio e del Parlamento europeo, dà a quest’ultimo, in sostanza, un diritto di veto, ma non gli consente, in mancanza dell’accordo del Consiglio, di orientare l’azione dell’Unione europea secondo il suo volere, come il concetto di democrazia rappresentativa richiederebbe. Il riferimento, poi, al fatto che ciascun membro del Consiglio europeo o del Consiglio risponde politicamente dinanzi al rispettivo Parlamento nazionale, in quanto Capo di Stato o di governo o membro del governo nazionale, è una ovvia considerazione che non vale, tuttavia, a conferire una legittimità democratica a tali istituzioni a livelloPage 516 dell’Unione europea. Esse, infatti, continuano ad essere sottratte collegialmente al controllo politico del Parlamento europeo, restano espressione degli esecutivi dei rispettivi Stati e i loro membri sono responsabili politicamente dinanzi ai rispettivi Parlamenti nazionali in relazione al perseguimento degli interessi nazionali, non di quelli generali dell’Unione europea. Nessuna delle due istituzioni può, quindi, essere considerata come seconda camera, democraticamente eletta, di un sistema parlamentare bicamerale, né sarebbe, quindi, lecito intendere l’affermazione secondo cui la funzione legislativa è esercitata nell’Unione europea congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio (art. 14, par. 1 e art. 16, par. 1 TUE) come una qualsiasi assimilazione di tale funzione a quella caratteristica di un Parlamento bicamerale in un sistema democratico.

Quanto alla partecipazione dei cittadini alla vita democratica dell’Unione europea, l’art. 10, par. 3 TUE contiene innanzitutto l’esplicito riferimento ai principi di prossimità e di trasparenza, secondo cui le decisioni vanno adottate nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini. Inoltre, l’art. 11, par. 1 TUE ricorda la possibilità per i cittadini di far conoscere e scambiare pubblicamente le loro...

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