Limiti e controlimiti nell'applicazione del diritto comunitario

AuthorGirolamo Strozzi
PositionOrdinario di Diritto dell'Unione europea nell'Università degli studi di Firenze
Pages23-41

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1. La giurisprudenza della Corte di giustizia è notoriamente uno dei fattori che maggiormente hanno contribuito all'evoluzione del processo di integrazione europeo, e il principale strumento utilizzato a tal fine è la teorizzazione e l'elaborazione dei principi generali o fondamentali dell'ordinamento comunitario. Ê tramite essi che la Corte ha cercato di assicurare la coerenza, l'unità, il consolidamento dell'ordinamento comunitario, ma anche è riuscita a dirigere tale processo e farlo evolvere verso un ordinamento giuridico maggiormente integrato, ossia più omogeneo e meno frammentario.

Al di là dunque di alcuni celebri assiomi entrati a far parte del "DNA" comunitario e fondamenti oramai imprescindibili dell'integrazione - supremazia, efficacia diretta, effetto utile, leale cooperazione - l'enunciazione variegata nel tempo di una serie di principi generali dell'ordinamento comunitario, che rivestono dunque valore vincolante anche per gli ordinamenti degli Stati membri, ha consentito di ricondurre, o tentare di ricondurre a unità le diverse articolazioni, espressioni dei diritti statali, al fine di realizzare una compenetrazione o armonizzazione, o comunque un maggiore coordinamento, tra principi degli ordinamenti statali e principi comunitari.

Così, in una prima fase si assiste all'affermazione dell'esistenza di principi non scritti dell'ordinamento comunitario che si impongono al rispetto non solo delle istituzioni comunitarie ma anche degli Stati membri. Con il successivo e inevitabile corollario della superiorità di tali principi generali che, facendo parte del diritto comunitario, godono dello stesso carattere di preminenza nonché di efficacia diretta negli ordinamenti giuridici nazionali, con il solo limite - ovvio, ma non tanto definito, come vedremo - che la loro osservanza si impone solamente nell'ambito delle materie di rilevanza comunitaria. Page 24

Il secondo passaggio, indubbiamente assai delicato, è costituito dall'opera di rilevazione di tali principi ad opera della Corte, quando terrà conto non solo delle esigenze e delle finalità dell'ordinamento comunitario, ma anche dei principi fondamentali dell'uomo ricavabili dagli strumenti internazionali e dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

Il terzo passaggio, ancor più delicato e problematico, è costituito da un ulteriore ampliamento del nucleo dei principi generali comunitari rilevandoli anche con riferimento ai principi fondamentali vigenti negli ordinamenti giuridici degli Stati membri, o anche di un singolo Stato membro.

Infine, assistiamo a una funzione espansiva dei principi generali affermati dalla Corte, poiché la loro efficacia viene estesa anche a materie rimaste essen- zialmente nella sfera di competenza degli Stati membri o riconducibili solo in senso ampio, o indiretto, alle competenze comunitarie. Conseguentemente questo processo porta a un inevitabile ridimensionamento delle autonomie e della sovranità degli Stati membri, andando a intaccare anche sfere normalmente riservate alla loro competenza normativa.

Strumento dunque, quello dei principi generali, rivolto a realizzare una effettiva armonizzazione e integrazione degli ordinamenti statali con quello comunitario tramite l'enunciazione e il rispetto di principi che, in virtù della loro gene- ralità, divengono comuni e condivisi.

Ê in questo contesto e alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali della Corte di giustizia, che si colloca la vexata quaestio del primato del diritto comunitario e dei suoi limiti e che deve (ri)considerarsi la pur sempre attuale problematica delle "resistenze" che talora taluni ordinamenti interni frappongono alla supremazia del diritto comunitario in certi ambiti ritenuti particolarmente delicati e attinenti alla loro stessa sovranità, come quando siano messi in discussione loro principi costituzionali.

2. Il primato del diritto comunitario sui diritti nazionali, così fermamente e tenacemente affermato dalla Corte di giustizia comunitaria nella sua consolidata giurisprudenza - e del resto mai seriamente contestato dalle corti interne - è divenuto un assioma, un principio fondamentale essenziale e indispensabile per un'integrazione compiuta ed effettiva, ma ha incontrato, come noto, alcune resistenze da parte delle Corti supreme di alcuni Stati membri (Italia, Germania, Francia, Spagna ...), elaborate a "difesa" delle sovranità statali quando si rilevassero minacciate dal "primato" comunitario in certi valori considerati irrinunciabili del proprio ordinamento interno.

La teoria dei controlimiti ha avuto un notevole impatto, talora con risvolti anche positivi, nel processo di integrazione, ma in pratica non ha trovato mai concreta applicazione e quindi non ha avuto conseguenze giuridiche di particolare rilievo. Si tratta comunque di una posizione a nostro avviso "datata", nel senso che ha trovato una sua giustificazione obbiettiva, una sua ragion d'essere e motivazioni apprezzabili in un periodo storico in cui il processo di integrazione era in piena evoluzione, in cui i rapporti tra corti interne e Corte di giustizia europea non erano ancora ben definiti, in cui certi principi fondamentali come Page 25 quelli dell'uomo non avevano ancora trovato completo riconoscimento e tutela da parte della Corte di giustizia, la quale non aveva ancora "perfezionato" la propria giurisprudenza in merito: quando dunque era diffuso - e forse giustificato - il timore che la supremazia del diritto comunitario potesse condurre a un conflitto con diritti fondamentali caratterizzanti l'ordinamento costituzionale interno.

Oggi, in un quadro generale profondamente cambiato, la teoria dei controlimiti si pone in netta contraddizione con il concetto stesso di integrazione quale risulta "maturato" alla luce dei suoi recenti sviluppi: in primo luogo, appare più difficilmente giustificabile alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, che ha fornito prove convincenti di saper offrire adeguata ed efficace tutela ai diritti fondamentali quali principi generali dell'ordinamento comunitario, e anche a seguito della garanzia loro accordata dall'art. 6 del Trattato UE, che impone all'Unione il loro rispetto; a ciò si aggiunga la Carta di Nizza dei diritti fondamentali che, sebbene a tutt'oggi ancora sprovvista di valore vincolante (ma lo diverrà con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona), tuttavia costituisce un punto di riferimento costante e un parametro preciso di riferimento per la Corte per la rilevazione, lo sviluppo e l'enforcement di tali diritti nella sua giurisprudenza1; in secondo luogo, in una visione più ampia estesa in generale ai principi costituzionali interni, si pone anche in contraddizione, perché sottintende il presupposto che nel comune ordinamento sopranazionale possano affermarsi norme e principi in conflitto con certi valori specifici nazionali, quando invece in quell'ordinamento integrato questi devono trovare necessaria armonizzazione, pena il successo dell'integrazione stessa. Intendiamoci, non è escluso affatto che tale conflitto possa verificasi - come molteplici esempi testimoniano - ma riconoscere unilateralmente prevalenza ai principi fondamentali interni nel caso che una simile divergenza sia ravvisata dalle corti supreme nazionali significa porsi al di fuori, in qualche modo "rompere" con il processo di integrazione e dunque comporta, o può comportare, una scelta "politica" radicale e dirompente2.

I principi fondamentali dello Stato - che la difesa dei controlimiti intende appunto salvaguardare - funzionerebbero come un limite all'applicazione nell'ordinamento giuridico statale del diritto comunitario, il quale, in caso di contrasto con i primi, non potrebbe più avvalersi del crisma del primato. Si è talora accostata la dottrina dei controlimiti a quell'istituto ben noto nel diritto internazionale privato che è il limite costituito dall'ordine pubblico internazionale ravvisando una loro identica funzione, cioè quella di impedire l'applicazione nell'ordinamento del foro di un diritto estraneo, o esterno, che risulti in contrasto con il nucleo dei suoi principi fondamentali. Un accostamento difficilmente condivisibile: quando una situazione ricada nell'ambito del diritto comunitario, Page 26 questo non può considerarsi un diritto estraneo o esterno, ma è l'unico diritto applicabile, l'unico diritto competente a disciplinare quella situazione, al quale devono conformarsi gli ordinamenti interni anche nei loro aspetti fondamentali se non si vuole snaturare il concetto stesso di integrazione.

Un'antinomia conflittuale diritto statale-diritto comunitario non è dunque, a rigore, più concepibile o ammissibile in uno spazio giuridico europeo integrato cui faticosamente tende tutto il processo: quando il carattere "imperativo", o di applicazione necessaria, di alcune norme comunitarie (si vedano in tal senso le sentenze Benetton3, Ingmar4), venga a scontrarsi col carattere imperativo di certi principi interni, il contrasto dovrà risolversi o a favore delle prime (normalmente, in virtù della loro supremazia), o eventualmente anche a favore dei secondi, quando il principio fondamentale statale rappresenti un valore degno di essere riconosciuto ed imporsi come tale anche a livello comunitario: ma comunque si impone un confronto tra le divergenti valutazioni per ricercare una loro composizione. In altri termini, l'integrazione tra ordinamenti deve investire anche l'insieme dei principi fondamentali che li caratterizzano ai diversi livelli a seguito di una (difficile ma doverosa) collaborazione che deve instaurarsi tra i diversi organi giudiziari operanti ciascuno nei propri ambiti di competenza: è all'interno di questo "dialogo" che dovrà ricercarsi e scaturire un'armonizzazione, o comunque un coordinamento tra i rispettivi valori giuridici.

Pertanto, se come affermato dalla Corte di giustizia, certi principi o norme fondamentali dell'ordinamento comunitario, ritenute indispensabili...

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