La libertà di prestazione dei servizi nella giurisprudenza comunitaria: i principi generali

AuthorRoberto Mastroianni
PositionOrdinario di Diritto dell’Unione europea nell’Università degli studi "Federico II" di Napoli
Pages523-541

    Relazione tenuta alla XXVII Tavola rotonda di diritto comunitario (Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2 febbraio 2007), sul tema “Il mercato unico dei servizi”. Desidero ringraziare il dott. Luigi Zannella, dottorando di ricerca in “Disciplina del mercato e della concorrenza nell’Unione europea” presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, per il prezioso contributo fornito in sede di ricerca del materiale e di elaborazione del testo.

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@1. Premessa

1. Questo lavoro persegue l’obiettivo di evidenziare i principi generali e le linee di tendenza rinvenibili nella giurisprudenza recente della Corte di giustizia relativa alla libertà di prestazione dei servizi. Si tratta, voglio dirlo a mia anticipata e parziale discolpa, di un compito arduo, non solo per la gran quantità di pronunce in merito, ma anche per la difficoltà, a volte, di individuare sentieri certi e coerenti battuti dal giudice comunitario. Tuttavia, l’incertezza insita in una giurisprudenza in piena evoluzione è anche ciò che rende particolarmente affascinante il ripercorrerla in questa sede.

Alcuni profili interessanti della libertà di prestazione dei servizi, come il rapporto con le altre libertà e gli aspetti relativi alle giustificazioni, alla luce del diritto comunitario, delle restrizioni statali, non saranno oggetto di analisi specifica in questa sede. Mi soffermerò invece su profili, quali l’ambito di applicazione crescente della libertà di prestazione dei servizi, il principio del mutuo riconoscimento, l’attenzione riposta dalla Corte nella protezione dei diritti fondamentali e le c.d. situazioni meramente interne.

@2. L’incidenza della giurisprudenza della Corte di giustizia nella regolamentazione comunitaria dei servizi

2. Il punto di partenza è tanto scontato quanto incontestabile. La Corte di giustizia ha da sempre rivestito un ruolo centrale e determinante in vista dellaPage 524 realizzazione piena ed effettiva del mercato comune. Ciò è tanto più vero oggi in materia di prestazione di servizi, una libertà le cui potenzialità ed aspetti problematici sembrano ricevere in questi ultimi anni un’attenzione sempre crescente.

Bastano alcuni semplici dati per avere un’idea del contributo, almeno quantitativo, della Corte in tema di prestazione di servizi: nel quinquennio 1995-1999 i casi decisi dalla Corte sono stati quaranta; dal 2000 al 2005 addirittura 140, dunque più del triplo del periodo precedente; circa1 15 le sentenze nel solo 2006 e la prima pronuncia del 2007 è dell’inizio di gennaio2. Certo, l’aumento del lavoro della Corte si spiega con il peso sempre maggiore che il settore dei servizi riveste per il PIL3 e l’occupazione degli Stati membri, cui fa da contraltare una liberalizzazione della circolazione dei servizi non ancora compiuta del tutto. A mio avviso, però, non è questo il solo motivo. Si può dire, infatti, che in un certo senso la Corte è divenuta vittima del suo successo: il favor dimostrato dalla Corte, a partire dalla sentenza Säger4, nell’applicazione estensiva della disciplina dei servizi anche a situazioni limite, è stato ed è tuttora un motivo altrettanto determinante dell’aumento dei casi sottoposti alla sua giurisdizione. E questo gli operatori del settore – e soprattutto i loro avvocati – lo sanno bene.

È ormai un dato acquisito, infatti, che nell’interpretazione della Corte di giustizia costituiscono restrizioni alla libertà di prestazione dei servizi, e sono dunque vietate dal Trattato CE, non solo le misure nazionali discriminatorie, ma anche le misure applicabili indistintamente ai prestatori nazionali ed a quelli degli altri Stati membri, allorché esse siano tali da vietare, ostacolare o anche solo rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisce legittimamente servizi analoghi5. L’ampiezza della definizione di restrizione ora riportata comporta, da un lato, la possibilità di mettere direttamente in discussione – almeno in teoria – ogni possibile ostacolo all’accesso al mercato, incidendo in maniera profonda sulle scelte economiche effettuate dagli Stati membri; dall’altro, che la soluzione raggiunta in tema di prestazione di servizi ha creato un certo effetto, per così dire, di “trascinamento” neiPage 525 confronti delle altre libertà, ed in particolare quella di stabilimento, posto che sia in merito all’ampiezza del principio, sia con riferimento alle deroghe lasciate agli Stati membri, la giurisprudenza della Corte sembra equiparare le due libertà (sono emblematiche la sentenza CAF6 per il primo aspetto, la sentenza Gebhard7 per il secondo), mettendo in discussione il dato consolidato (quanto meno alla luce della lettera del Trattato e di un filone giurisprudenziale ricchissimo), per cui “la posizione dei cittadini che si avvalgono della libertà di prestazione dei servizi non è paragonabile a quella dei soggetti stabiliti, poiché nel complesso gli obblighi imposti a questi ultimi sono ben più rigidi di quelli che gravano sui primi”8. Affermazione che trova certamente sponda nella lettera del Trattato e che si giustifica – in linea di principio, e salvo quanto si dirà rispetto alle attività continuativamente prestate da un altro Paese membro – con riferimento alla maggiore integrazione che il soggetto stabilito ha con lo Stato di destinazione, rispetto al prestatore di servizi.

@3. L’evoluzione dell’ambito di applicazione materiale della libera prestazione dei servizi

3. Quel che sembra in continuo divenire ed in costante crescita è l’ambito di applicazione materiale della disciplina sui servizi. La Corte ha saputo modulare il requisito della “retribuzione”, quale corrispettivo della prestazione convenuto tra il prestatore ed il destinatario del servizio9. La definizione contenuta nella sentenza Humbel del 1988 è stata utilizzata dalla Corte in maniera estensiva e ciò ha permesso, ad esempio, di applicare l’art. 49 TCE anche a regimi di assicurazione volontaria o integrativa per la pensione di vecchiaia10, nei quali il corrispettivo è pagato ben in anticipo rispetto al servizio che verrà fornito parecchi anni più tardi. Anche le prestazioni mediche rientrano così nella previsione dell’art. 50 TCE, siano esse dispensate in ambito ospedaliero o meno, ed indipendentemente dalla circostanza che in alcuni Stati membri esse facciano parte del sistema previdenziale e dunque non siano pagate direttamente dal paziente11.

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Se è oramai scontata l’applicazione delle norme sui servizi anche a discipline sportive quali il ciclismo12, nonché all’attività dei calciatori professionisti o di altri sportivi che si concretano in una prestazione di servizi retribuita13, alla luce della recente giurisprudenza va aggiunto che le medesime norme vengono in rilievo perfino nel caso in cui gli atleti siano dei dilettanti ai sensi della legislazione nazionale, ma ricevano comunque un compenso per i loro “servizi” anche se in via indiretta, attraverso partecipazioni a trasmissioni televisive, sponsorizzazioni, campagne pubblicitarie e così via14. Al contrario, non è sottoposta agli articoli 49 e seguenti del Trattato CE la composizione di squadre sportive, ed in particolare delle rappresentative nazionali, operata esclusivamente in base a criteri tecnico-sportivi15: ciò in ragione della “gratuità” che contraddistingue questo tipo di prestazioni. Il Tribunale di primo grado ha poi avuto modo di precisare ulteriormente, nella sentenza Meca-Medina16 del 2004, che sono estranee alle libertà economiche fondamentali garantite dal Trattato CE le regole puramente sportive e che non attengono all’attività economica, come quelle concernenti l’organizzazione dello sport, nonché la regolamentazione antidoping adottata dal CIO.

@4. Segue: la nozione di servizio e i rapporti con le altre libertà economiche fondamentali

4. L’ambito di applicazione della libertà in discorso è cresciuto, poi, anche in ragione di due elementi ulteriori.

In primo luogo, la Corte sembra confermare il suo approccio particolarmente “generoso” nella definizione dei servizi rilevanti ai fini del Trattato, includendoPage 527 anche servizi “virtuali” (è il caso della famosa sentenza Carpenter17) o futuri (sentenza Omega18), ma non anche servizi “ipotetici” (sentenza Oulane19). In Carpenter, la Corte ha ritenuto applicabili le norme del Trattato sui servizi ad una situazione in cui l’elemento “transfrontaliero” appariva quanto meno debole: non è probabilmente estranea a questa soluzione la necessità, evidenziata dalla Corte, di garantire una piena e concreta tutela al diritto fondamentale della protezione della vita familiare. Ma su questo torneremo più in là. In Oulane, invece, la Corte ha inteso porre un argine alla possibilità di invocare il diritto comunitario contro misure nazionali limitative della libertà personale, posto che la persona coinvolta (un francese sottoposto in Olanda a procedimento penale per mancanza di documenti di identità) non aveva provato la sua condizione di turista al fine di godere della qualifica di destinatario di servizi ai sensi della giurisprudenza Cowan20.

In secondo luogo, la Corte sembra ulteriormente allontanarsi dalla nozione di “libertà residuale”, quale emerge dal Trattato, per seguire un criterio più economically oriented nel qualificare un’attività come prestazione di servizi rilevante ai sensi del Trattato CE. Tale approccio ha fatto sì che la disciplina in esame guadagnasse progressivamente terreno, sottraendolo, in particolare, all’ambito di applicazione della disciplina sullo stabilimento. E ciò può dirsi sia con riguardo all’ipotesi in cui il passaggio di frontiera sia dovuto allo spostamento del prestatore o del destinatario del servizio, oppure addirittura di entrambi i soggetti, sia con riguardo all’ipotesi in cui sia invece il servizio stesso a spostarsi. Nel primo caso, la Corte ha infatti avuto modo di precisare l’affermazione contenuta nella nota sentenza Gebhard, secondo cui il carattere occasionale o...

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