Obblighi e poteri degli Stati membri nell’Unione europea

AuthorPaolo Fois
PositionDocente di Diritto dell’Unione europea nell’Università degli studi di Sassari
Pages325-340

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@1. L’art. 5 del Trattato istitutivo della CEE nel pensiero di Rolando Quadri e nella sentenza Costa contro ENEL (15 luglio 1964)

1. Nel suo commento dell’art. 5 (ora art. 10) del Trattato istitutivo della CEE1, Rolando Quadri valutava criticamente una certa dottrina, specialmente tedesca, che faceva discendere dalla prima parte dell’articolo stesso2 il sorgere dell’“obbligo di osservare le varie prescrizioni del Trattato aventi carattere materiale, nonché quelle analoghe contenute negli atti degli organi comunitari”3. Dopo aver puntualizzato che gli obblighi di cui gli Stati membri sono destinatari sono da desumere non già dall’art. 5, ma unicamente da quelle prescrizioni del Trattato e degli atti delle istituzioni comunitarie che tali obblighi prevedono, Egli teneva a sottolineare che con la disposizione in parola, e più precisamente nella sua prima parte, gli autori del Trattato avevano voluto “mettere l’accento sulla natura, almeno al momento della fondazione, essenzialmente internazionale ed interstatuale della istituzione che conta in tutto e per tutto sul contegno dei membri come soggetti di diritto internazionale”. Insisteva, quindi, sul con-Page 326cetto secondo il quale andava riconosciuto agli Stati il ruolo di “protagonisti principali” nel sistema del Trattato4.

L’interesse di questa Sua visione, qui pur così sommariamente richiamata, risalta con particolare evidenza ove si consideri che la data di pubblicazione del Commentario sopra citato è di appena un anno successiva all’emanazione, da parte della Corte di giustizia comunitaria, della fondamentale sentenza Costa contro ENEL del 15 luglio 1964 (causa 6/64), imperniata su una concezione diametralmente opposta del ruolo degli Stati membri e dei loro rapporti con la Comunità. In questa sentenza, come è noto, la Corte denuncia il rischio che determinate condotte degli Stati possano mettere in pericolo “l’attuazione degli scopi del Trattato contemplata nell’art. 5”, insistendo sul fatto che gli obblighi assunti dagli stessi Stati hanno carattere “assoluto” e nient’affatto “condizionato”. Gli Stati membri, in altri termini, sono visti dalla Corte unicamente come destinatari di obblighi, con una conseguente limitazione della loro libertà di azione. È alla Comunità, attraverso le sue istituzioni, che spetta esclusivamente curare la realizzazione degli scopi del Trattato, a seguito del trasferimento “definitivo” di una serie di competenze effettuato a suo favore dagli Stati membri. Questi ultimi, in ultima analisi, sono chiamati unicamente a dare attuazione alle decisioni della Comunità, e a collaborare con essa. Di un ruolo attivo (e men che meno da protagonisti) degli Stati all’interno del sistema comunitario non è dato cogliere la benché minima traccia in una giurisprudenza che, interpretando l’art. 5, non va oltre l’affermazione del principio di solidarietà e di leale collaborazione5. Profonda è, insomma, la differenza fra la concezione del Quadri e quella dei giudici comunitari per quel che attiene al ruolo degli Stati membri. Secondo l’illustre studioso, infatti, da un lato non sarebbe corretto desumere dall’art. 5 obblighi ulteriori rispetto a quelli ricavabili dalle disposizioni del Trattato che prevedono obblighi determinati (l’art. 5, pertanto, non potrebbe essere concepito come fonte autonoma di obblighi per gli Stati membri); dall’altro, gli Stati non dovrebbero più essere considerati unicamente come destinatari di obblighi, tenuto conto delle scelte che gli stessi sono chiamati a compiere nello sviluppo del sistema dei Trattati. La Corte, invece, vede soltanto la questione del rigoroso rispetto degli obblighi, ricavati direttamente anche dai principi posti alla base dell’articolo in parola6. Il ruolo che gli Stati membri possono svolgere nello sviluppo del sistema comunitario7 non viene in rilievo nella giurisprudenza comunitaria8.

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@2. Gli sviluppi della giurisprudenza comunitaria, a partire dalla sentenza AETS (31 marzo 1971) e Simmenthal (9 marzo 1978)

2. Il richiamato orientamento della Corte, caratterizzato dal rilievo dato agli obblighi assunti dagli Stati membri in forza del Trattato e, segnatamente, dell’attuale art. 10, acquista contorni sempre più definiti nel corso degli anni ’70, con due fondamentali e ben note sentenze: la sentenza AETS del 31 marzo 1971 (causa 22/70) e la sentenza Simmenthal del 9 marzo 1978 (causa 106/77). Riprendendo un punto che la sentenza Costa contro ENEL, nel suo generico riferimento agli “Stati membri”, aveva lasciato nell’ombra, la prima delle due decisioni chiarisce in modo inequivocabile che gli obblighi si indirizzerebbero sia al singolo Stato, sia agli Stati visti nella loro collettività. Anche questi ultimi, invero, sarebbero tenuti all’adempimento degli obblighi “derivanti dal Trattato, ovvero dagli atti delle istituzioni”, in conformità a quanto previsto dall’art. 10 del Trattato9. Qualche anno più tardi, con la sentenza Simmenthal la Corte teneva a chiarire un altro punto, parimenti di grande rilievo: gli obblighi per gli Stati membri derivanti dal Trattato sarebbero stati assunti “incondizionatamente ed irrevocabilmente”. La loro violazione, veniva precisato, avrebbe messo in pericolo “le basi stesse della Comunità”10.

Una sintesi della successiva giurisprudenza della Corte in materia di obblighi degli Stati membri, e segnatamente di quelli ricavabili dall’attuale art. 1011 permette di constatare come non siano emersi mutamenti di un qualche rilievo rispetto ai punti ora evidenziati. Trova cioè costantemente conferma il principio secondo cui detti obblighi deriverebbero, oltre che dalle singole disposizioni del Trattato, dai principi contenuti nell’art. 10. La Corte ha, in particolare, affermato:

- l’esistenza di un obbligo generale di collaborazione, che tutti gli organi dello Stato, inclusi quelli del potere giudiziario, sarebbero tenuti ad osservare12;

- l’insorgere di una responsabilità dello Stato nei confronti dei singoli per danni causati dall’inadempimento degli obblighi derivanti dal diritto comunitario13.

@3. Segue: gli Stati membri visti dalla Corte essenzialmente come destinatari di obblighi

3. La concreta possibilità che la qui richiamata giurisprudenza della Corte relativa all’art. 10 conduca ad un aumento esponenziale degli obblighi gravantiPage 328 sugli Stati membri in virtù dei Trattati non è l’unico motivo che giustifica una certa perplessità riguardo all’orientamento seguito dai giudici di Lussemburgo. Ad alimentare una più che fondata presa di distanza da questa giurisprudenza si aggiunge infatti, se ben si osserva, la constatazione di una pressoché totale assenza di argomenti che sorreggano la fondamentale affermazione del carattere irrevocabile e definitivo degli obblighi che gli Stati membri avrebbero assunto ratificando i Trattati comunitari14.

L’assenza di una convincente argomentazione si avverte particolarmente nel momento in cui la Corte, come si è rilevato, invoca l’esistenza di obblighi di questo tipo per giungere alla conclusione che anche gli Stati membri nella loro collettività sono tenuti al rispetto degli obblighi stessi. In definitiva, infatti, la Corte, invece di esporre il fondamento di una tesi così “rivoluzionaria”, si limita ad affermare puramente e semplicemente che i Trattati comunitari sono da ritenere distinti dai “comuni trattati internazionali”15, le cui regole non troverebbero applicazione in ambito comunitario, se non in quanto, e nella misura in cui, siano richiamate espressamente dallo stesso diritto dell’Unione.

In precedenti studi, chi scrive non ha mancato di motivare il suo dissenso nei confronti della concezione sostenuta dalla Corte, che condurrebbe a privare gli Stati membri collettivamente considerati del potere di modificare i Trattati istitutivi della Comunità e dell’Unione e, in ultima analisi, di incidere sugli obblighi originati dall’accordo fra gli stessi in precedenza intervenuto16. Conviene qui aggiungere che l’adesione all’orientamento giurisprudenziale in discorso implicherebbe un totale “oscuramento” della questione che forma invece oggetto del presente studio, vale a dire quella relativa alla valutazione del ruolo che agli Stati membri va riconosciuto in ordine allo sviluppo del sistema comunitario, anche mediante l’introduzione delle modifiche che a questo fine dovessero rendersi necessarie.

Indubbiamente, la funzione esercitata dalla Corte – quella di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato – aiuta a comprendere perché nella sua giurisprudenza trovi uno spazio trascurabile la questione consistente nel sapere se agli Stati membri spetti il potere di influire sullo sviluppo del sistema creato con i Trattati, una volta che non si ponga un problema di osservanza o meno degli obblighi assunti. Un analogo silenzio sarebbe invece difficilmente comprensibile nel caso della dottrina, considerato il rilievo, sul piano teorico, che la suaccennata questione riveste. Il paragrafo che segue permetterà di accertare quali siano i prevalenti orientamenti dottrinali al riguardo.

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@4. Valutazione degli orientamenti dottrinali che trascurano il ruolo degli Stati membri in ordine allo sviluppo del processo di integrazione europea

4. È generalmente condivisa l’opinione che la giurisprudenza della Corte abbia esercitato una marcata influenza sugli orientamenti della dottrina, ad iniziare dalla definizione dei caratteri del diritto comunitario e dei rapporti fra lo stesso e i diritti interni. Altrettanto può dirsi in merito al più specifico aspetto della posizione degli Stati membri nell’ambito del sistema creato dai Trattati istitutivi: risulta infatti assai diffusa, fra gli studiosi, la tendenza a vedere la questione, in conformità agli insegnamenti della Corte, essenzialmente sotto il profilo della ricostruzione degli obblighi di cui gli Stati membri sono destinatari; per contro, ben poco spazio è riservato ad un secondo profilo, quello della...

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