La questione pregiudiziale di validità rispetto al diritto internazionale pattizio secondo la sentenza IATA

AuthorGiacomo Gattinara
PositionDottore di ricerca dell’Università di Roma "La Sapienza"
Pages343-365

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@1. Introduzione

1. Il 10 gennaio 2006, nel caso The Queen, ex parte: International Air Transport Association, European Low Fares Airline Association c. Department for Transport (di seguito “sentenza IATA”)1, la Corte di giustizia si è pronunciata su un rinvio pregiudiziale proposto dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court), in merito alla validità degli articoli 5, 6, e 7 del regolamento comunitario riguardante la tutela dei passeggeri nel trasporto aereo2, alla luce di alcune norme della Convenzione di Montreal in materia di trasporto aereo internazionale conclusa dal Consiglio3.

Tale pronuncia si segnala per l’interpretazione dell’art. 234 TCE e per alcune valutazioni sulla possibilità di utilizzare le disposizioni di trattati vincolanti la Comunità come parametro di legittimità del diritto comunitario derivato.

Senza dunque analizzare il merito della sentenza4, nei paragrafi che seguono, ci si soffermerà anzitutto sulla conferma del principio stabilito dalla Corte diPage 344 giustizia in Foto-Frost5, secondo il quale i giudici nazionali non sono competenti a dichiarare l’invalidità degli atti delle istituzioni comunitarie (par. 2). Si analizzerà quindi la parte della pronuncia in epigrafe in cui la Corte non ha ritenuto necessario individuare l’effetto diretto della norma internazionale pattizia fatta valere dai ricorrenti dinanzi al giudice nazionale per svolgere il proprio sindacato di legittimità (par. 3). Infine, si individuerà il contributo della sentenza IATA al chiarimento della definizione dei rapporti tra diritto internazionale e diritto comunitario (par. 4).

@2. La conferma della giurisprudenza Foto-Frost e le sue implicazioni

2. La Corte di giustizia risponde anzitutto alla questione del giudice del rinvio volta a sapere se l’art. 234, comma 2, TCE debba essere interpretato nel senso che un giudice nazionale è tenuto a sollevare dinanzi alla Corte una questione pregiudiziale di validità “solo al di là di un certo grado di dubbio”6.

La Corte risponde alla questione ribadendo senza alcuna modifica la giurisprudenza Foto-Frost, appena ricordata, in virtù della quale il giudice comunitario è il solo competente a dichiarare l’invalidità di un atto comunitario, in quanto il rinvio pregiudiziale di validità deve garantire l’uniforme applicazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali, soprattutto quando viene messa in dubbio la validità del diritto comunitario, poiché le divergenze fra i giudici nazionali su tale validità “potrebbero compromettere la stessa unità dell’ordinamento giuridico comunitario e ledere il principio fondamentale della certezza del diritto”7. In tal senso, ribadisce ancora la Corte, la sola esistenza di una contestazione di validità di un atto comunitario dinanzi al giudice nazionale non basta da sola a giustificare il rinvio alla Corte: i giudici di ultima istanza vi saranno obbligati in base all’art. 234, comma 3, TCE, mentre i giudici non di ultima istanza solo se ritengono fondati i motivi di invalidità sollevati dalle parti o d’ufficio. Per contro, ove tali motivi non sembrino fondati al giudice non di ultima istanza, questi li potrà disattendere concludendo per la validità dell’atto: così tale giudice non mette in discussione l’“esistenza” dell’atto comunitario8.

La Corte conferma quindi un principio che rimane parte integrante dell’acquis comunitario, nonostante il suo mancato inserimento nei Trattati istitutivi a seguito delle varie revisioni che si sono succedute sin dal 1987, anno della sentenza Foto-Frost9.

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Una codificazione di tale principio si potrebbe però individuare in alcune disposizioni del regolamento 1/03, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 TCE10. Gli articoli 20 e 21 di tale regolamento prevedono che il giudice nazionale richiesto di concedere l’autorizzazione all’esecuzione di una decisione della Commissione relativa ad accertamenti presso imprese, associazioni di imprese o altri locali possa valutare solo l’autenticità della decisione della Commissione e che le misure coercitive previste non siano né arbitrarie né sproporzionate, in relazione ad una serie di elementi. Tuttavia, a parte altre limitazioni, “il controllo della legittimità della decisione della Commissione è riservato alla Corte di giustizia”11.

Poiché tali disposizioni riproducono il contenuto dell’importante sentenza Roquette12, in cui l’esclusione del giudizio di legittimità sulle decisioni della Commissione dalla delibazione del giudice nazionale è stata fatta derivare proprio dal principio affermato nella Foto-Frost13, si può ritenere che il regolamento 1/03 abbia confermato in via legislativa questo principio giurisprudenziale.

La Corte dunque ritiene ancora il giudice nazionale incompetente a sindacare la validità del diritto comunitario derivato, dimostrando di continuare a non condividere quella interpretazione dell’art. 234, comma 2, TCE secondo la quale il controllo di validità degli atti comunitari si sarebbe potuto realizzare tramite l’intervento dei giudici nazionali non di ultima istanza, le cui decisioni non avrebbero pregiudicato l’uniforme applicazione del diritto comunitario essendo impugnabili dinanzi al giudice di ultima istanza, a sua volta obbligato a sollevare la questione pregiudiziale in virtù del terzo comma dell’art. 234 TCE.

Secondo tale interpretazione, non seguita dalla Corte, la mancata previsione di un obbligo di rinvio per il giudice non di ultima istanza all’art. 234, comma 2, TCE non era necessariamente frutto di un errore degli autori del Trattato CE. Al contrario, essa sarebbe stata la conseguenza di una loro espressa scelta: “non si intendeva con ciò soltanto evitare un carico di lavoro eccessivo per la Corte, ma si voleva anche riconoscere ai giudici interni il ruolo di ‘giudici comunitari’ lasciando ad essi, quanto meno in prima battuta, il compito di interpretare gli atti comunitari e di apprezzarne la validità”14.

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La conferma della giurisprudenza Foto-Frost rende anzitutto più difficile per i giudici nazionali esercitare il proprio ruolo di strumenti a garanzia di una tutela giurisdizionale effettiva, un compito ad essi spettante in virtù del principio di leale cooperazione, come ricordato dalla Corte di giustizia nel caso UPA15. In tal senso, l’accentuare la natura di public remedy del rinvio pregiudiziale di validità ostacola la valorizzazione delle competenze dei giudici nazionali, e quindi la loro capacità di dare tutela a quei diritti derivanti per il singolo dal diritto comunitario16: essi rimangono principalmente strumenti necessari al controllo della Corte di giustizia sulla validità del diritto comunitario derivato. Come rilevato dall’Avvocato generale Jacobs nel caso UPA, “la competenza rigidamente limitata dei giudici nazionali nelle cause aventi ad oggetto la validità degli atti comunitari contrasta con l’importanza del ruolo che essi svolgono nelle cause riguardanti l’interpretazione, l’applicazione e l’esecuzione del diritto comunitario”17.

Da un altro punto di vista, l’aver ribadito la giurisprudenza Foto-Frost rafforza un recente orientamento giurisprudenziale, con cui la Corte di giustizia ha cercato di controbilanciare la tendenza alla crescente decentralizzazione nell’applicazione del diritto comunitario, tendenza accentuata soprattutto in relazione al diritto comunitario della concorrenza con il ricordato regolamento 1/03, il quale ha senz’altro potenziato il ruolo di organi di applicazione del diritto comunitario dei giudici nazionali e delle autorità nazionali antitrust.

Tale opera di riequilibrio condotta dalla Corte è risultata strumentale alla salvaguardia dell’uniforme applicazione del diritto comunitario e della certezza del diritto e si è manifestata in due pronunce. Con la prima, il caso Syfait18, la Corte ha escluso la possibilità di un’autorità nazionale antitrust di sollevare una questione pregiudiziale di validità, non essendo detta autorità una “giurisdizione nazionale” ai sensi dell’art. 234 TCE. Nella seconda pronuncia, il caso ABNA19, la Corte ha confermato l’estraneità delle autorità antitrust al meccanismo di cooperazione giudiziaria del rinvio pregiudiziale, escludendo il potere di taliPage 347 autorità di adottare provvedimenti provvisori negativi e positivi riguardanti atti nazionali di esecuzione di atti comunitari ritenuti invalidi, potere invece notoriamente riconosciuto ai giudici nazionali nell’attesa che la Corte si pronunci sulla questione pregiudiziale della validità degli atti comunitari20.

L’aver confermato la giurisprudenza Foto-Frost è un ulteriore passo verso questo riequilibrio: non solo le giurisdizioni nazionali degli Stati membri rimangono la controparte esclusiva della Corte di giustizia nell’ambito del meccanismo di cooperazione del rinvio pregiudiziale21, ma all’interno del sistema di cooperazione tra giudice comunitario e giudice nazionale istituito dall’art. 234 TCE al primo rimane l’esclusiva competenza di dichiarare l’invalidità degli atti comunitari.

Dell’intero sistema di applicazione del diritto comunitario la Corte di giustizia continua dunque a rimanere il vertice.

A fronte della conferma della giurisprudenza Foto-Frost, occorre tuttavia chiedersi quali possano essere i temperamenti alla regola dell’esclusiva competenza del giudice comunitario a sindacare la validità degli atti comunitari, ossia gli spazi di valutazione autonoma che rimangano eventualmente nella disponibilità del giudice nazionale.

In primo luogo, nel recente caso Schul22, la Corte ha escluso che il giudice nazionale possa rifiutarsi di sollevare la questione pregiudiziale di validità qualora egli sia chiamato ad applicare le disposizioni di un atto comunitario analogo ad un altro atto già dichiarato invalido dalla Corte di giustizia.

La Corte non ha quindi seguito l’interpretazione suggerita dall’Avvocato generale23, di estendere alla questione...

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