Obiettivi di diritto materiale e tendenze del diritto internazionale privato e processuale comunitario

AuthorSergio M. Carbone
PositionOrdinario di Diritto internazionale nell’Università degli studi di Genova
Pages285-304

    Relazione presentata in occasione del Convegno organizzato dalla Fondazione Italiana per il Notariato, in collaborazione con l’Università degli studi di Bari, Dipartimento di Diritto internazionale e dell’Unione europea ed il Consiglio Notarile di Bari, nei giorni 23-24 marzo 2007, su “Il nuovo diritto europeo dei contratti: dalla Convenzione di Roma al regolamento ‘Roma I’”. Si ringrazia la Fondazione Italiana per il Notariato per aver consentito la pubblicazione su questa Rivista del presente lavoro, la particolare circostanza della cui redazione giustifica la mancanza di specifici riferimenti bibliografici.

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@1. La caratteristica del diritto internazionale privato comunitario: la non neutralità

1. È noto che la Comunità europea persegue gli obiettivi materiali posti dal Trattato CE e tra essi, in particolare, la realizzazione di un c.d. mercato interno tra gli Stati comunitari. Non stupisce, quindi, se al perseguimento di queste finalità sono state indirizzate anche le norme che concorrono a formare il diritto internazionale privato e processuale. Si tratta allora di verificare se, a causa di tale circostanza, si sia progressivamente affermato, in ambito comunitario, lo specifico metodo di coordinamento degli ordinamenti giuridici denominato “metodo materiale” dei conflitti di legge, che si va ad affiancare al metodo classico della “localizzazione” delle fattispecie dotate di caratteristiche di internazionalità, proprio delle tradizionali norme di conflitto indifferenti al contenuto delle leggi da esse richiamate. E, sotto questo profilo, pertanto, si tratta di verificare se, almeno in parte, in ambito comunitario, sia stata contraddetta la tradizionale “neutralità” dei sistemi di diritto internazionale privato e processuale.

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Quanto ora indicato sembra trovare un immediato riscontro positivo sul versante del diritto processuale civile comunitario; in questo senso, il trasferimento del titolo IV dal terzo pilastro al primo ha, infatti, anzitutto confermato la necessità che le regole di diritto processuale civile internazionale di stampo comunitario siano funzionali ad esigenze materiali. Tra esse, in primo luogo, la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, così come indicato dall’art. 61 del Trattato CE. Parimenti, anche nell’ambito del diritto internazionale privato, negli ultimi decenni si è progressivamente maturata una compiuta consapevolezza circa la necessità e l’urgenza del superamento delle differenze delle norme di conflitto dei singoli Stati membri, proprio al fine di perseguire compiutamente ed in modo uniforme obiettivi di diritto materiale. Al riguardo, in tal senso, particolarmente significative sono le norme della Convenzione di Roma del 1980 (attualmente in corso di trasformazione in regolamento comunitario c.d. “Roma I”, con modifiche ed integrazioni anche significative), relative alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. Essa, infatti, pur adottata attraverso uno strumento di diritto internazionale, ha in realtà avviato il processo di comunitarizzazione del diritto internazionale privato, funzionale a politiche comunitarie di settore, attualmente proseguito, grazie al nuovo ambito di applicazione del titolo IV del Trattato CE, attraverso l’elaborazione di un progetto preliminare di regolamento relativo ai rapporti obbligatori extracontrattuali (c.d. “Roma II”), nonché di una normativa di diritto internazionale privato in materia di regimi matrimoniali, di diritti patrimoniali tra coniugi e di successioni.

@2. L’evoluzione della disciplina dello spazio giudiziario europeo: da “Bruxelles I” al pacchetto di regolamenti CE

2. Come già accennato, da tempo la progressiva integrazione economica tra i Paesi membri ha evidenziato che la compiuta realizzazione del mercato interno europeo richiede il superamento delle diversità delle normative nazionali relative al c.d. diritto processuale civile internazionale, da un lato, al fine di determinare, secondo parametri uniformi, i criteri di individuazione dei giudici competenti in ambito comunitario per la risoluzione delle controversie civili e commerciali, e, dall’altro, al fine di garantire identici effetti, all’interno dei territori dei singoli Paesi membri, delle decisioni pronunciate dai loro giudici oltreché degli atti pubblici adottati nel loro ambito.

D’altronde, l’importanza, per l’instaurazione del mercato unico europeo, di soddisfare l’esigenza di garantire a tali decisioni una circolazione facilitata all’interno delle frontiere comunitarie era già stata avvertita in sede di conclusione del Trattato di Roma, dal momento che l’art. 220 (ora art. 293 TCE) aveva già previsto l’obbligo, in capo agli Stati membri, di procedere a “semplificare le formalità cui sono sottoposti il reciproco riconoscimento e la reciproca esecuzione delle decisioni giudiziarie”. È proprio sulla base di questa disposizione che, nel settembre del 1968, è stata conclusa a Bruxelles una convenzione internazionale di diritto uniforme, che, peraltro, come è noto, non si è limitata a perseguire l’obiettivo sancito dall’art. 220 del Trattato di Roma (garantendo che le decisioni dei giudici comunitari esplichino i medesimi effetti nell’ambito del mercato interno), ma ha previsto, sulla base di criteri uniformi, norme in tema di competenza giurisdizionale in relazione a ogni controversia che presenti carat-Page 287tere di transnazionalità e ricada nell’ambito di applicazione, ratione materiae e personarum, della Convenzione stessa.

È proprio in ragione di queste considerazioni che la Convenzione di Bruxelles è dotata di carattere “doppio”, in quanto non soltanto ha mirato ad agevolare l’estensione degli effetti che le decisioni producono nell’ordinamento di origine all’intera area comunitaria, ma ha previsto anche meccanismi atti a scongiurare la pendenza di più procedimenti relativi alla medesima controversia innanzi a giudici di Stati membri diversi, riducendo in tal modo possibili contrasti di giudicati. E, d’altro canto, la disciplina in esame, nonostante la sua caratteristica di normativa di diritto uniforme, ha svolto anche una funzione propulsiva per quanto attiene gli sviluppi di una disciplina diretta, all’interno della Comunità, di quegli aspetti del diritto processuale civile e commerciale che presentano implicazioni transfrontaliere. Si spiega così il consolidamento nel tempo di una volontà sempre più ferma di comunitarizzare definitivamente e completamente la disciplina contenuta nella Convenzione, affermando parallelamente la competenza della Comunità in materia, nella convinzione che lo sviluppo dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia è essenziale alla formazione di un compiuto funzionamento ed al rafforzamento del mercato interno.

Il passaggio dall’unificazione avente carattere interstatuale alla disciplina comunitaria ha avuto luogo, come già accennato, in virtù dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, che ha comportato la trasposizione del settore della cooperazione giudiziaria e giuridica in materia civile dal terzo pilastro al primo. Le nuove competenze comunitarie nell’ambito del diritto internazionale privato e processuale trovano, infatti, il loro fondamento nell’art. 61, lett. c) del Trattato, che attribuisce alla Comunità europea, assegnando, al riguardo, un ruolo particolarmente significativo al Consiglio, il potere di adottare “misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, come previsto all’art. 65”. Pertanto, i settori oggetto dell’azione comunitaria sono: “a) il miglioramento e la semplificazione: del sistema per la notificazione transnazionale degli atti giudiziari ed extragiudiziali; della cooperazione nell’assunzione dei mezzi di prova; del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, comprese le decisioni extragiudiziali; b) la promozione della compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di competenza giurisdizionale; c) l’eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri”.

La progressiva creazione di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, dunque, riservata tradizionalmente all’azione intergovernativa ed attuata mediante il ricorso allo strumento delle convenzioni internazionali, deve essere ora realizzata in maniera diretta, per mezzo dell’adozione di tutti gli atti normativi di cui la Comunità è solita avvalersi nell’esercizio delle proprie competenze e, segnatamente, di direttive e regolamenti. È su queste basi che la Comunità europea ha provveduto a sviluppare, nello spazio giuridico del mercato interno, un’intensa attività normativa volta a garantire, per quanto concerne i procedi-Page 288menti aventi implicazioni transnazionali, un vero e proprio spazio privo di frontiere interne per l’amministrazione della giustizia in materia civile.

In questo quadro normativo si collocano il regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000 (c.d. “Bruxelles I”), recante una disciplina generale in materia civile e commerciale, che, dal 1º marzo 2002, sostituisce la Convenzione di Bruxelles del 1968, collocandosi in una posizione di assoluta continuità rispetto al passato, nonché il regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure transfrontaliere di insolvenza; il regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, che abroga il precedente regolamento (CE) n. 1347/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, concernente la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi (rispettivamente noti anche come disciplina “Bruxelles II-bis” e “Bruxelles II”); il regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, in tema di notificazione e comunicazione negli...

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