Il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati e l’effettività della tutela giurisdizionale

AuthorAngela Maria Romito
PositionRicercatore di Diritto dell’Unione europea nell’Università degli studi di Bari
Pages119-156

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@1. Premessa: il TEE ed il fenomeno della armonizzazione delle norme di diritto processuale civile comunitario

1. Il 21 gennaio 2005 è entrato in vigore il regolamento (CE) n. 805/20041 (d’ora in poi regolamento 805/2004), che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati (in seguito TEE). Tale provvedimento, operante con-Page 120cretamente a partire dal 21 ottobre 20052, consente che determinate decisioni, appositamente certificate, siano direttamente eseguite in uno Stato membro diverso da quello del giudice che le ha emesse, senza bisogno di alcuna procedura di riconoscimento e/o di exequatur.

Prosegue così l’impegno, assunto nel 1999 dalle istituzioni comunitarie3, di istituire progressivamente nei Paesi dell’Unione uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel quale sia semplificato l’accesso agli strumenti di tutela giurisdizionale dei diritti4.

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Il regolamento in commento si inserisce, dunque, nella scia della copiosa produzione normativa comunitaria nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile5. Tale cooperazione, come è noto, è espressamente prevista nell’art. 61, lett. c), TCE, che rimanda, per la indicazione delle misure da adottare, al successivo art. 65 TCE6; quest’ultima disposizione, a sua volta, individua,Page 122 seppure in termini molto ampi, le aree nelle quali intervenire per la creazione nel mercato interno di uno spazio giudiziario unitario in materia civile nel quale siano assicurati, per i procedimenti con implicazioni transnazionali, l’accesso alla giustizia, il rispetto delle fondamentali garanzie processuali e il riconoscimento di decisioni giudiziarie secondo regole comuni ed uniformi7.

Al fine di cogliere i tratti salienti ed innovativi dell’appena istituito titolo esecutivo europeo, ma anche di individuare le linee guida per i futuri sviluppi della attività normativa comunitaria nel settore che ci occupa, appare utile riprendere alcuni profili del dibattito sulla normazione europea in materia di processo civile. Il punto di partenza è la semplice considerazione che le divergenze nelle legislazioni processuali degli Stati membri si riflettono sul gioco della concorrenza ed alterano le regole del mercato unico: per evitare che i singoli siano disincentivati a concludere transazioni transfrontaliere, nell'incertezza che i loro diritti siano riconosciuti anche all’estero e che le sentenze rese dal giudice straniero possano poi essere applicate senza difficoltà né difformità nell’ambito dell’UE, diviene una priorità dell'Unione introdurre norme che assicurino in tutti gli Stati membri una protezione uguale o equivalente dei diritti sostanziali. Per raggiungere questo obiettivo, occorre muoversi su due piani: da un lato, si deve fare in modo che i cittadini e gli operatori economici europei non siano ostacolati o scoraggiati dalla complessità dei sistemi giudiziari o amministrativi dei singoli Stati membri per il solo fatto che i diritti in gioco devono essere provati, per un segmento, in un altro Stato membro8; dall’altro, si deve loro garantire l’accesso alla giustizia dinanzi ad un giudice di uno qualsiasi deiPage 123 Paesi dell’Unione in modo semplice, come se si trattasse dei ricorsi al giudice nazionale9. Per assicurare l’equilibrio nel mercato unico, non basta, dunque, la sola semplificazione dei meccanismi di accesso alla giustizia, ma è anche necessario che la giustizia stessa fornisca, nell’intero ambito comunitario, prestazioni comparabili in termini di costi, di tempi processuali e di organizzazione giudiziaria10.

Nel rinviare alla fine del presente lavoro le considerazioni sul grado di effettiva tutela raggiunto attraverso l’istituzione del TEE, occorre anzitutto porre l’accento sulla scelta di metodo operata a livello europeo e, in particolare, sul fatto che, ancora una volta, per assicurare la libera circolazione delle decisioni straniere (ispirata al principio della reciproca fiducia nell’amministrazione della giustizia degli Stati aderenti all’UE) si è preferito optare per la armonizzazione delle norme processuali nazionali, e cioè sulla loro compatibilità, piuttosto che per la loro unificazione11. D’altro canto in concreto sarebbe stato difficile percorrere una via diversa, atteso che un conto è imporre agli Stati membri di conformare i diritti nazionali a taluni principi dettati in sede sopranazionale (lasciando che tuttavia i regimi giuridici “interni” in una certa materia restino diversi), ben più complesso (e di ben più difficile realizzazione) sarebbe sostituire, in tale materia, le norme nazionali con una disciplina comune per creare un corpo di regole processuali identiche12.

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Si tratta di una scelta metodologica ben consapevole ed ampiamente meditata: la riprova rinviene dal fatto che se ne trova già traccia nella relazione conclusiva presentata alla Commissione nel febbraio 1993 dal gruppo di lavoro di dodici esperti incaricati di valutare l’utilità e la realizzabilità di un progetto di armonizzazione delle legislazioni dei Paesi dell’UE presieduta dal prof. Storme13.

Ma è soprattutto il dato letterale dell’art. 65 TCE a non lasciare dubbi interpretativi: l’obiettivo delle istituzioni europee è la creazione non di un codice processuale unitario, ma di una rete di norme processuali comuni, di carattere generale, che assicurino l’integrazione progressiva dei sistemi processuali nazionali, dei quali va comunque rispettata l’autonomia14. Ed ancora, un riscontro assai significativo della scelta compiuta sembra desumibile dall’art. III-269 del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, il quale, riprendendo, modificando ed ampliando il contenuto dell’art. 65 TCE, porta quale dato innovativo solamente una diversa prospettiva in relazione alle condizioni per l’intervento del legislatore sopranazionale15, ma non una mutata scelta nella direzione della armonizzazione; infatti l’art. I-14, par. 2, lett j) dello stesso Trattato annovera le materie dello spazio, di libertà e giustizia tra quelle di competenza concorrente tra Comunità e Stati membri.

Nel porre mano al settore della cooperazione giudiziaria in materia civile si è dunque preferito rafforzare la tutela processuale e garantire la pienezza di difesa, pur nel rispetto dei sistemi processuali nazionali, in luogo della via pocoPage 125 realistica di un codice unico per un processo civile europeo16; e così fino ad oggi l’intervento normativo comunitario ha implicato la creazione di un corpus di regole comuni che investe solo le materie per le quali il riavvicinamento delle leggi nazionali sul processo civile appare necessario ai fini del buon funzionamento del mercato unico. In particolare, ex art. 65 TCE, lett. c), in assenza di una vera propria unificazione a livello comunitario, gli interventi volti alla “eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri” per il buon funzionamento del mercato, sono stati considerati in settori specifici una valida alternativa17.

Nello scenario normativo appena descritto si colloca il regolamento 805/2004, che – è bene precisarlo subito – non impone agli Stati membri l’obbligo di adeguare gli ordinamenti nazionali alle norme minime procedurali contenute nello stesso regolamento, ma offre un incentivo agevolando una più efficiente e rapida esecuzione delle decisioni giudiziarie in un altro Stato membro solo a condizione che siano rispettate tali norme minime. Esso è dunque da ricondursi tra le misure volte al miglioramento e alla semplificazione del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

@2. Il procedimento di ingiunzione europeo e l’iter di adozione del regolamento sul titolo esecutivo europeo

2. Gli incoraggianti risultati relativi all’incremento della libera circolazione delle decisioni in materia civile e commerciale conseguiti dal regolamento n. 44/2001 (cd. quinta libertà), hanno ben presto posto in evidenza l’inadeguatezza della stessa disciplina sotto il profilo della esecuzione.

In particolare, il procedimento concernente l’esecuzione in ambito comunitario delle decisioni straniere, nonostante le semplificazioni introdotte nei regolamenti n. 2201/2003 (che ha modificato il regolamento n. 1347/2000)18 e n.Page 126 44/200119, risultava per alcuni versi ancora perfettibile: di qui il progetto della Commissione europea di .elaborare uno strumento di accesso immediato alla tutela giurisdizionale esecutiva20.

La spinta ad intervenire è scaturita dalla necessità di garantire ai creditori una tutela privilegiata, tale da non far loro subire i ritardi propri dei sistemi giurisdizionali degli altri Paesi.

Tale iniziativa comunitaria discende dalla constatazione che la tutela del credito costituisce essa stessa un fattore economico: il rapido recupero dei crediti non contestati riveste una importanza primaria per gli operatori europei – e di conseguenza per il corretto funzionamento del mercato interno – poiché i ritardi nei pagamenti rappresentano una delle principali cause di insolvenza in grado di minacciare la sopravvivenza stessa delle aziende e produrre numerosi licenziamenti.

Come si potrà osservare meglio nelle pagine seguenti, tuttavia, il risultato raggiunto con il regolamento 805/2004 attesta il superamento della prospettivaPage 127 “mercantile” del recupero del credito, per affermare ed applicare il “diritto all’esecuzione” inteso quale segmento imprescindibile della effettiva tutela giurisdizionale riconosciuta e garantita alle persone fisiche e giuridiche21.

Inizialmente, per la verità, il problema del rapido recupero dei crediti commerciali in ambito europeo aveva sollecitato un intervento comunitario di portata ben più ampia teso alla creazione di un’unica “procedura di ingiunzione europea”22.

La proposta di creare a livello sovranazionale una procedura uniforme di ingiunzione in grado di dar luogo...

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