Opinion of Advocate General Rantos delivered on 25 February 2021.

JurisdictionEuropean Union
ECLIECLI:EU:C:2021:143
Date25 February 2021
Celex Number62019CC0821
CourtCourt of Justice (European Union)

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ATHANASIOS RANTOS

presentate il 25 febbraio 2021 (1)

Causa C821/19

Commissione europea

contro

Ungheria

«Inadempimento di uno Stato – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 33, paragrafo 2 – Motivi di inammissibilità delle domande di protezione internazionale – Carattere esaustivo – Motivo di inammissibilità ulteriore nel diritto nazionale – Articolo 8, paragrafo 2 – Accesso ai valichi di frontiera delle organizzazioni e delle persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti protezione internazionale – Articolo 12, paragrafo 1, lettera c) – Possibilità per i richiedenti protezione internazionale di comunicare con le organizzazioni e con le persone che prestano consulenza e assistenza – Articolo 22, paragrafo 1 – Possibilità per i richiedenti protezione internazionale di consultare, a loro spese, un avvocato o altro consulente legale – Direttiva 2013/33/UE –Articolo 10, paragrafo 4 – Possibilità per gli avvocati e per gli altri consulenti legali di comunicare con i richiedenti protezione internazionale – Configurazione come reato, nel diritto nazionale, dell’attività realizzata in modo strutturato al fine di prestare assistenza ai richiedenti protezione internazionale – Divieto d’ingresso alle organizzazioni e alle persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti protezione internazionale nella zona di transito frontaliero»






I. Introduzione

1. Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del diritto dell’Unione per i seguenti motivi:

– l’introduzione di un motivo di inammissibilità delle domande di protezione internazionale ulteriore rispetto a quelli elencati tassativamente all’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2013/32/UE (2);

– la configurazione come reato dell’attività organizzativa realizzata al fine di consentire l’avvio di una procedura di asilo da parte di persone che non soddisfano i criteri per la concessione della protezione internazionale previsti dal diritto nazionale e l’adozione di misure che comportano restrizioni nei confronti delle persone sottoposte a procedimento penale o sanzionate per un siffatto reato, in violazione dell’articolo 8, paragrafo 2, dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera c), e dell’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, nonché dell’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva 2013/33/UE (3).

2. Sono dell’avviso che la prima censura non presenti particolari difficoltà e che si possa decidere in merito guardando alle recenti sentenze della Corte del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa) (4), e del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (5).

3. La seconda censura solleva la questione inedita della possibilità per uno Stato membro di configurare come reato l’attività organizzativa realizzata al fine di consentire l’avvio di una procedura di asilo da parte di persone che non soddisfano i criteri per la concessione della protezione internazionale stabiliti dal diritto nazionale.

II. Contesto normativo

A. Diritto dell’Unione

1. Disposizioni riguardanti i motivi di inammissibilità delle domande di protezione internazionale

4. L’articolo 33 della direttiva 2013/32, intitolato «Domande inammissibili», al suo paragrafo 2, prevede quanto segue:

«Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se:

a) un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale;

b) un paese che non è uno Stato membro è considerato paese di primo asilo del richiedente a norma dell’articolo 35;

c) un paese che non è uno Stato membro è considerato paese terzo sicuro per il richiedente a norma dell’articolo 38;

d) la domanda è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta(6)]; o

e) una persona a carico del richiedente presenta una domanda, dopo aver acconsentito, a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, a che il suo caso faccia parte di una domanda presentata a suo nome e non vi siano elementi relativi alla situazione della persona a carico che giustifichino una domanda separata».

2. Disposizioni riguardanti il sostegno ai richiedenti protezione internazionale

a) Direttiva 2013/32

5. L’articolo 8 della direttiva 2013/32, intitolato «Informazione e consulenza nei centri di trattenimento e ai valichi di frontiera», al suo paragrafo 2, così dispone:

«Gli Stati membri garantiscono che le organizzazioni e le persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti abbiano effettivo accesso ai richiedenti presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito, alle frontiere esterne. Gli Stati membri possono adottare norme relative alla presenza di tali organizzazioni e persone nei suddetti valichi e, in particolare, subordinare l’accesso a un accordo con le autorità competenti degli Stati membri. I limiti su tale accesso possono essere imposti solo qualora, a norma del diritto nazionale, essi siano obiettivamente necessari per la sicurezza, l’ordine pubblico o la gestione amministrativa dei valichi interessati, purché l’accesso non risulti in tal modo seriamente ristretto o non sia reso impossibile».

6. Il suo articolo 12, intitolato «Garanzie per i richiedenti», al paragrafo 1, prevede quanto segue:

«In relazione alle procedure di cui al capo III, gli Stati membri provvedono affinché tutti i richiedenti godano delle seguenti garanzie:

(…)

c) non è negata al richiedente la possibilità di comunicare con l’[Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati] o con altre organizzazioni che prestino assistenza legale o altra consulenza ai richiedenti a norma del diritto dello Stato membro interessato;

(…)».

7. L’articolo 22 della suddetta direttiva, intitolato «Diritto all’assistenza e alla rappresentanza legali in ogni fase della procedura», così recita:

«1. Ai richiedenti è data la possibilità di consultare, a loro spese, in maniera effettiva un avvocato o altro consulente legale, ammesso o autorizzato a norma del diritto nazionale, sugli aspetti relativi alla domanda di protezione internazionale, in ciascuna fase della procedura, anche in caso di decisione negativa.

2. Gli Stati membri possono acconsentire a che le organizzazioni non governative prestino assistenza e/o rappresentanza legali gratuite ai richiedenti nell’ambito delle procedure di cui al capo III e al capo V conformemente al diritto nazionale».

b) Direttiva 2013/33

8. L’articolo 10 della direttiva 2013/33, intitolato «Condizioni di trattenimento», al suo paragrafo 4, così dispone:

«Gli Stati membri garantiscono ai familiari, avvocati o consulenti legali e rappresentanti di organizzazioni non governative competenti riconosciute dallo Stato membro interessato la possibilità di comunicare con i richiedenti e di rendere loro visita in condizioni che rispettano la vita privata. Possono essere imposte limitazioni all’accesso al centro di trattenimento soltanto se obiettivamente necessarie, in virtù del diritto nazionale, per la sicurezza, l’ordine pubblico o la gestione amministrativa del centro di trattenimento, e purché non restringano drasticamente o rendano impossibile l’accesso».

B. Diritto ungherese

1. Disposizioni riguardanti i motivi di inammissibilità delle domande di protezione internazionale

9. L’articolo 51, paragrafo 2, lettera f), della menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge n. LXXX del 2007 sul diritto d’asilo; in prosieguo: la «legge sul diritto d’asilo» (7)), introdotto dall’articolo 7, paragrafo 1, della egyes törvényeknek a jogellenes bevándorlás elleni intézkedésekkel kapcsolatos módosításáról szóló 2018. évi VI. törvény (legge n. VI del 2018 di modifica di determinate leggi in relazione alle misure contro l’immigrazione illegale; in prosieguo: la «legge n. VI del 2018» (8)), prevede un nuovo motivo di inammissibilità delle domande di protezione internazionale, definito nei seguenti termini:

«La domanda è inammissibile qualora (...) il richiedente sia arrivato in Ungheria attraversando un paese in cui egli non è esposto a persecuzioni ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1 [, della legge sul diritto d’asilo] o al rischio di danno grave, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1 [, di detta legge] o in cui è garantito un adeguato livello di protezione».

2. Disposizioni riguardanti il sostegno ai richiedenti protezione internazionale

a) Codice penale

10. L’articolo 353/A della Büntető Törvénykönyvről szóló 2012. évi C. törvény (legge n. C del 2012 che istituisce il codice penale; in prosieguo: il «codice penale» (9)), intitolato «Favoreggiamento dell’immigrazione irregolare», introdotto dall’articolo 11, paragrafo 1, della legge n. VI del 2018, così dispone:

«1. Chiunque svolga attività organizzative dirette

a) a consentire l’avvio di una procedura di asilo in Ungheria da parte di una persona che non è perseguitata nel suo paese di origine, nel suo paese di residenza abituale o in un altro paese attraverso il quale è giunta [in Ungheria], per motivi di razza, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale, religione e opinioni politiche, o che non abbia un fondato timore di essere direttamente perseguitata, o

b) ad...

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