L'Unione Economica e Monetaria: genesi e prospettive future

AuthorFranco Praussello
Pages85-104

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@1. Introduzione

La creazione della zona euro, con il lancio della moneta unica all’inizio del 1999, costituisce una realizzazione decisiva per l’unificazione economica dei paesi dell’UE, di gran lunga più importante di quelle che avevano caratterizzato il processo di integrazione economica nei quarant’anni precedenti: l’unione doganale e l’unione agricola negli anni Sessanta e il mercato unico all’inizio degli anni Novanta.

Lo scopo di questo scritto consiste nel chiarire come si è giunti all’Unione Economica e Monetaria (UEM) e quali ne siano le caratteristiche strutturali, nonché le prospettive future, utilizzando un criterio di giudizio situato in un orizzonte temporale di mediolungo periodo.

Come punto di partenza, va subito chiarito che l’avanzamento cruciale dell’unificazione economica deciso con il Trattato di Maastricht era stato anticipato dal Rapporto Delors del 1989, il quale aveva preparato il terreno alle misure istituzionali che l’avrebbero caratterizzata, sulla base dell’esperienza negativa del primo tentativo fallito di dar vita all’unificazione monetaria all’inizio degli anni Settanta. Rispetto ad allora, venne mantenuto il metodo di passaggio per tappe alla moneta unica proprio del Piano Werner, subordinando tuttavia l’ammissione dei paesi membri alla zona monetaria comune al rispetto rigoroso di criteri di convergenza nominale di alcune variabili economiche fondamentali. Con Maastricht l’impianto del progetto venne reso chiaro e coerente nei singoli dettagli, dando corpo al metodo della convergenza ex ante delle condizioni economicofinanziarie dei paesi che potevano es-

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sere ammessi all’unione monetaria, individuando i parametri di riferimento di tali condizioni e specificando le tappe del passaggio alla moneta unica: da quella iniziale della liberalizzazione dei movimenti di capitale, a quella intermedia della convergenza finanziaria e della nascita dell’Istituto Monetario Europeo, a quella finale della creazione del Sistema Europeo delle Banche Centrali e della fissazione dei rapporti di cambio fra le monete nazionali e la moneta unica in base a tassi fissi e irrevocabili, nonché della successiva sostituzione delle prime con l’euro nella sua forma di moneta di pagamento corrente.

Fatta questa breve premessa, affrontiamo ora nei paragrafi che seguono gli interrogativi principali, cui lo scritto si propone di fornire una possibile risposta: perché, a differenza di quanto avvenne negli anni Settanta, negli anni Novanta il tentativo di passaggio alla moneta unica ebbe successo (Par. 2), quali siano i principi teorici che stanno alla base della costruzione monetaria comune, come si è realizzata con il Trattato di Maastricht (Par. 3), quali siano i limiti di tale costruzione (Par. 4) e quali ne siano le prospettive future, alla luce anche della grave recessione internazionale che ha colpito l’Europa e il resto dell’economia mondiale a partire dal 2008 (Par. 5). Lo scritto si conclude con alcune sintetiche considerazioni.

@2. L’UEM e il rilancio del processo di integrazione negli anni Ottanta

Il primo interrogativo che viene spontaneo esaminando il contenuto economico del Trattato di Maastricht può essere formulato in termini assai semplici: perché l’esperienza dell’unificazione monetaria riesce nel corso degli anni Novanta, dopo che negli anni Settanta il primo il tentativo di dar vita alla moneta europea si era concluso con una pesante sconfitta? Quali sono i fattori che spiegano l’esito opposto dei due processi: il fallimento nel primo caso e il successo nel secondo? All’inizio degli anni Settanta, l’obiettivo dichiarato dell’integrazione economica era di giungere all’unificazione monetaria entro la fine del decennio, come affermavano i documenti licenziati a conclusione dei vertici europei di quegli anni. Ma nel corso di quel periodo, sul fronte dell’unificazione

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monetaria si registrarono battute d’arresto e arretramenti, anziché progressi.

L’unificazione monetaria costituisce un elemento indispensabile per il successo delle esperienze di integrazione economica internazionale a livello sia regionale, sia mondiale. Trascurando i rapporti fra globalizzazione e assetti del sistema monetario internazionale, molteplici sono i legami che intercorrono fra l’integrazione dei mercati e quella delle monete nel caso dell’esperienza europea. Nel contesto che qui ci interessa, la liberalizzazione degli scambi che si verificò nella prima fase del processo di integrazione economica con la formazione dell’unione doganale e di un primo embrione di mercato interno era stata ad esempio preceduta dal passaggio alla convertibilità monetaria nel quadro dell’Unione Europea dei Pagamenti. D’altro canto, l’unificazione dei mercati dei prodotti richiedeva, se non l’unificazione monetaria, almeno una situazione di stabilità dei cambi, dato che politiche di svalutazione competitiva sarebbero state incompatibili con la liberalizzazione degli scambi: quale paese avrebbe rinunciato alle misure di protezione del mercato domestico in presenza della concorrenza sleale esercitata tramite il deprezzamento del tasso di cambio? Il legame fra moneta e integrazione economica risultava poi particolarmente stringente nel caso della istituzione della Politica Agricola Comunitaria (PAC), avvenuta nel corso degli anni Sessanta nella forma di una unione economica settoriale, per quanto incompleta. Per poter funzionare, l’unione economica agricola richiedeva l’esistenza di una vera e propria moneta comune, con cui esprimere i prezzi europei ed effettuare gli interventi sui mercati richiesti dal trasferimento delle politiche economiche del settore dal livello nazionale a quello europeo. E in effetti in quel periodo esisteva un’unità di conto europea, che di fatto aveva lo stesso contenuto aureo del dollaro USA, e che veniva utilizzata nelle operazioni associate al funzionamento della PAC.

In questo quadro, la crisi del sistema monetario internazionale che si verificò fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta agì come un potente elemento di disturbo nei confronti, non soltanto del piano di passaggio alla moneta unica, ma anche della tenuta dello stesso processo di integrazione dei mercati. La fine del sistema del Gold exchange standard e del legame fra il dollaro e

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l’oro nel 1971, in un primo tempo, e quindi l’abbandono dei cambi fissi e la generalizzazione dei cambi flessibili a partire dal 1973, si tradussero in un aumento della volatilità dei cambi intraeuropei, in una misura che ben presto risultò incompatibile con la prosecuzione del processo di integrazione economica. A tutto ciò si aggiunsero poi gli shock petroliferi della metà e della fine del decennio, con il loro seguito di inflazione e di caduta dei livelli di attività. L’integrazione dei mercati registrò una battuta di arresto se non un arretramento e il mercato agricolo europeo fu salvato solo da un complicato sistema di dazi e di premi (i cosiddetti importi compensativi) destinati a contrastare gli effetti della volatilità dei cambi intracomunitari, a sua volta fonte di accentuati squilibri. L’esigenza della moneta unica divenne, nei fatti, più evidente, ma la risposta dei paesi membri non si rivelò all’altezza della situazione. In presenza di andamenti divergenti delle loro economie, essi accantonarono il progetto dell’unificazione monetaria tentando, senza successo, con i vari artifizi del serpente monetario europeo, di rendere meno accentuati i movimenti dei cambi intracomunitari.

Per contro, gli anni Ottanta e i primi anni Novanta furono caratterizzati da tutta una serie di fattori, che nel loro insieme segnarono un rilancio del processo di integrazione. In primo luogo, vi furono nuove spinte di natura politica che operarono in direzione di un approfondimento del processo. L’elezione a suffragio diretto del Parlamento europeo, avvenuta nell’immediata vigilia di tale periodo, fu subito seguita da un tentativo di ampliamento dei poteri dell’istituzione rappresentativa dei cittadini europei. I parlamentari europei iniziarono una prima prova di forza con i governi sul tema dei poteri di bilancio e proseguirono poi una politica di rivendicazione che di fatto assumeva caratteri di natura costituente con l’approvazione, nel 1984, del Progetto Spinelli di riforma costituzionale. Successivamente, venne firmato l’Atto unico, che chiudeva con una sconfitta del Parlamento europeo questa fase iniziale della battaglia costituente, ma manteneva comunque in vita il processo di integrazione, indicandone una nuova tappa, che si sarebbe tradotta nell’obiettivo del completamento del mercato interno a partire dai primi anni Novanta. Infine, dopo la caduta del muro di Berlino si ebbe la riunificazione tedesca, con l’impegno da parte della Germania di rinunciare definitivamente alla sovranità

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monetaria, in cambio dell’accettazione da parte degli altri paesi della Comunità della ricostituzione di uno forte stato tedesco situato al centro dell’Europa.

Sul fronte dell’integrazione economica, proprio nello stesso anno in cui i cittadini europei andavano alle urne per eleggere il loro parlamento, veniva lanciato uno strumento efficace di convergenza delle politiche monetarie dei paesi membri con il varo del Sistema Monetario Europeo (SME). A differenza dei falliti esperimenti del serpente monetario del periodo precedente, lo SME non si limitava a imbrigliare la volatilità dei cambi, ma aveva l’obiettivo più ambizioso di dar vita in modo progressivo a una situazione di convergenza ex post delle politiche monetarie e finanziarie dei paesi membri, allo scopo di contrastare i sintomi di disgregazione del mercato europeo che erano emersi nel decennio precedente e di preparare il terreno per ulteriori avanzamenti dell’integrazione, in primis nel settore della messa in comune della sovranità monetaria. Nel contempo, come abbiamo già accennato, con la produzione di una vasta legislazione europea basata sul principio del mutuo...

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